23 marzo 2016

MILANO E LE BORSE IN EUROPA: I PROMESSI SPOSI


London Stock Exchange e Deutsche Börse il 23 febbraio hanno annunciato che la loro «fusione tra eguali» è in «discussioni di dettaglio» sulla nuova borsa europea, al 54,4% di DB e il resto LSE. Si sposano mentre UK decide se divorziare o stare separata in casa UE. «La fusione fra le due società è puramente economica, ma potrà assumere un’altra dimensione» [Éric Albert, «Le London Stock Exchange et la Deutsche Börse préparent leur fusion. La mariage de deux opérateurs boursier créerait un champion européen du secteur», Le Monde Economie&Entreprise, 25/02/2016, p. 4]. Dimensione politica ed europea, va da sé, a servizio dell’establishment detestato dai manipolati tifosi di Brexit: «”Il referendum, è l’establishment politico e finanziario contro il popolo”, sintetizza George Harlock, responsabile dello UKIP a Olney» [Ph. B., «Nous voulons quitter le train fou de l’Union européenne», Le Monde, 18/02/2016, p. 3].

09gario11FBPolitica e finanza prendono qui strade opposte, e si capisce. Dalla mia tesi di laurea su François Perroux ho imparato che l’economia non è localizzabile, e le politiche che lo dimenticano sono nocive. Anzitutto a se stesse: «Brexit avrebbe effetti anche sulla sopravvivenza del Regno Unito. Lo Scottish National Party fa campagna per il sì alla UE. Se, com’è probabile, con il voto inglese vince il no, chiederà un altro referendum sull’indipendenza e probabilmente vincerà. Anche l’Irlanda del Nord ha problemi: i legami economici, commerciali e politici con l’Irlanda dipendono fortemente dalla comune appartenenza UE, che ha già agevolato il processo di pace nell’Irlanda del Nord». «In conclusione, i presunti benefici di Brexit sono incerti e possono rivelarsi illusori, ma i rischi sono molto più gravi se gli elettori sceglieranno di lasciare» [The Economist, February 27th 2016, «The Brexit delusion», pp. 18 e 19].

«Ora si teme che alla campagna referendaria possa non sopravvivere anche una istituzione particolarmente anziana e onorevole: il Conservative Party» [ivi, «Blue on blue», p. 26]. La regina stessa, citata dal Sun per una presunta dichiarazione euroscettica del 2011, fa ricorso all’Indipendent Press Standards Organization, organo regolatore nato nel 2013 dopo gli scandali degli ascolti telefonici di News of the World, come il Sun di proprietà del magnate Rupert Murdoch. Tant’è. «”Cantiamo di cuore Dio Salvi La Regina perché siamo convinti che ci protegga dall’intrusione dell’Europa”, ha dichiarato il deputato conservatore euroscettico Jacob Rees-Mog» [Philippe Bernard, «Buckingham s’emporte contre le “Sun”», Le Monde, 11/03/2016, p. 5].

L’economia, specie finanziaria, non può essere confinata e va però governata, perché entrambe le pretese – di confinarla o di non essere governata, che oggi vanno insieme – hanno conseguenze calamitose, ben evidenti in questa crisi, prima finanziaria, poi economica, adesso sociale e politica.

Il regime rappresentativo «“gira a vuoto”, i rappresentanti non si sentono impegnati da ciò che la società dice e i rappresentati non si sentono impegnati dalle leggi dei loro rappresentanti. Il legame di rappresentanza è rotto in una tranquilla indifferenza. Tranquilla, ma probabilmente ingannevole». Ovunque «il Parlamento non è più il principale luogo di dibattito politico; gli eletti dal popolo, nell’insieme, non ispirano fiducia; il legame rappresentativo si disfa, sia perché i cittadini non votano, sia perché le leggi elettorali privano il 40% di loro della rappresentanza, sia ancora perché i rappresentanti non si sentono più tenuti – nel senso forte del termine, “tenuti al laccio del suffragio universale” – dal voto, atto di un istante, che non basta più a stabilire un legame rappresentativo duraturo e stabile» [Dominique Rousseau, Radicaliser la démocratie. Propositions pour une refondation, Seuil 2015, p. 29 e 28].

Docente di diritto costituzionale (Parigi I Panthéon-Sorbona) Rousseau ricorda che «la democrazia è un’idea-forza che attraversa i secoli con significati sempre rinnovati. Senza rifare tutta la storia politica, il significato attuale di “democrazia” è un evidente controsenso rispetto al secolo di Pericle, e a ciò che intendevano i Padri fondatori della politica moderna. Per Sieyès, infatti, la cosa pubblica inaugurata dai rivoluzionari non si poteva dire “democrazia”, ma “regime rappresentativo”» [p. 229], che tale rimane anche con gli effetti speciali della rete.

Ovunque, il regime rappresentativo non funziona più perché la democrazia esige ormai continuità, nel tempo e nello spazio. «Nutrirsi, vestirsi, abitare, vivere, credere, muoversi in pace sono bisogni non di francesi, canadesi, colombiani, cinesi, africani, cristiani, buddisti, musulmani, atei; sono comuni a tutti gli esseri umani e tutti gli esseri umani hanno affrontato rivolte e lotte perché siano riconosciuti come diritti, garantendone a “noi” tutti un uguale accesso. Questa rivendicazione a-nazionale non è naturale, è giuridica. Il “noi” prima percepito nazionale, ora è mondiale» [pp. 117-118]. «Tra lo Stato e il mercato c’è il diritto. Il diritto che fa di noi cittadini del mondo e il diritto che facciamo noi divenuti cittadini del mondo» [p. 119].

A prescindere dalla nazionalità, la democrazia continua consente a tutti noi di rivolgerci, anche con la protesta, a una istituzione giuridica costituzionale che vaglia i nostri diritti/doveri di esseri umani e, riconoscendoli, ne fa l’agenda di governo in modo continuo tra un’elezione e l’altra. È la strada dell’UE ora percorsa da rigurgiti nazionalisti non a caso di estrema destra: «il successo delle formazioni populiste non va interpretato come la rivendicazione di una politica sociale. Ciò che si vuole è una gerarchia sociale presunta legittima: l’esclusione degli uni vale come inclusione degli altri. Principio portato al parossismo dagli Stati di estrema destra» [Jean-Yves Camus e Nicolas Lebourg, Les droites extrêmes en Europe, Seuil 2015, pp. 294]. E in USA è il programma di Trump, «sostenitore ostentato della tortura, ammiratore di Vladimir Putin, ultranazionalista e xenofobo, patrocinatore dei programmi sociali, protezionista come l’estrema destra europea negli anni 1930» [Alain Fachon, «L’émergence du “trumpisme”», Le Monde, 11/03/2016, p. 22].

Una esclusione su cui si sono retti, e hanno fallito, i regimi comunisti «che, se per fatti e idee sono fondamentalmente diversi dagli Stati nazional-cattolici, è però con la stessa loro chiusura che sono durati». Ma alla fine «è questa assenza di proiezione nell’avvenire che li ha perduti» [Camus e Lebourg, cit., p. 295].

E perderà l’Europa di nuovo frammentata in confini utili solo al contrabbando, come già oggi nel traffico di esseri umani, fonte di corruzione e dissidi tali da travolgere i governi rappresentativi nazionali, ormai al capolinea. «It’s the politics, stupid», scrive The Economist sulla crisi economica: «Se i politici non agiscono ora, mentre sono ancora in tempo, li costringerà a farlo una spettacolare crisi dei mercati. Anche con risultati miseri, sarà sempre meglio dell’alternativa. La preoccupazione peggiore è che mercati in caduta e economie stagnanti consegnino il potere politico ai populisti già fortemente in crescita dopo la crisi del 2007-08. I populisti hanno le loro soluzioni economiche, quali le tariffe protezioniste, la manna delle tasse, le nazionalizzazioni e numerosi altri rovinosi espedienti» [Out of ammo?, February 20th 2016, p. 7].

In tutto questo, Milano è protagonista perché Borsa Italiana fa parte del London Stock Exchange Group, proprietario di LSE, uno degli sposi. E c’è poi tutto il resto: crisi del regime rappresentativo, spinta verso la democrazia continua, un’estrema destra fautrice di confini che uccidono l’economia. È ora di agire nell’unica direzione ragionevole, quella di LSE e DB: l’Europa, unita. Politicamente.

 

Giuseppe Gario

 

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti