23 marzo 2016

arte – L’IMAGE VOLÉE ALLA FONDAZIAIONE PRADA


L’IMAGE VOLÉE

Chi cerca un approccio innovativo all’arte e una declinazione anticonvenzionale di “mostra”, non può non visitare Fondazione Prada a Milano. Quelli che all’inizio del Novecento erano spazi industriali, ospitano oggi gallerie ampie e modernissime, che nulla hanno a che fare con il tradizionale “museo”. Qui le mostre si destrutturano, sviluppandosi attraverso ambienti non contigui, intersecandosi tra loro e divenendo tutt’uno con gli spazi aperti: percorsi rebus lungo i quali il visitatore insegue il significato delle opere o della loro assenza.

arte11FBÈ questo ciò che avviene in L’image volée, la mostra collettiva curata dall’artista Thomas Demand, che fino al 28 agosto occuperà i due livelli della Galleria Nord e lo spazio cinema dell’ex distilleria Sis. Il progetto accoglie più di 90 opere realizzate da oltre 60 artisti tra il 1820 e i giorni nostri, e nasce dalla riflessione del curatore sul tema del “furto”, inteso sia come sottrazione fisica o mutilazione di un’opera artistica, sia come appropriazione dell’originalità altrui attraverso l’imitazione, la copia, il plagio, sia infine come frutto di una violazione dell’intimità umana.

I “furti” qui rappresentati possono essere reali” (come testimonia la cornice vuota del Ritratto del Dottor Gachet, di Vincent van Gogh, 1890), fittizi (come nel caso di Stole Rug, il tappeto persiano rubato “su richiesta” di Richard Artschwager nel 1969) o addirittura riguardare un’opera inesistente (come quella di cui Maurizio Cattelan denunciò il furto nel 1991, per poi incorniciare ed esporre Untitled, il verbale redatto dai carabinieri). A un’altra forma di “furto” sono ricondotte le pratiche di contraffazione, copia, collages di “immagini” decontestualizzate provenienti da diversi media (cinema, web, cartoni animati): tecniche che mettono in discussione i concetti stessi di “autore” e di “opera finita”.

Infine vi sono furti che non riguardano l’arte (o l’”artisticità”) bensì i momenti privati di individui sconosciuti, sottratti alla vita quotidiana con un atto di “spionaggio” che trasforma l’operazione artistica in violazione di intimità. È ciò che succede nella serie The Hotel (1981), in cui Sophie Calle immortala gli oggetti degli ospiti dell’albergo in cui lavora, o nell’installazione video Blue Line (Holbein) (1988) con cui John Baldessari dimostra che anche gli spettatori ripresi a loro insaputa possano trasformarsi in soggetti d’arte. Insomma quest’ultima parte della mostra (che si chiude con l’esposizione di una serie di strumenti di intercettazione russi e tedeschi) suggerisce come qualsiasi oggetto comune possa elevarsi a opera d’arte se guardato esteticamente, estratto dal suo contesto abituale e trasformato in spunto di riflessione.

Che scaturisca dal desiderio di possedere materialmente un oggetto o dal bisogno di superare i limiti dell’originalità creativa rappresentati dai modelli iconografici preesistenti, il “furto” dell’arte ha sempre un effetto distruttivo, poiché riduce l’opera a mero oggetto senza scopo (non fruito né interpretato pubblicamente) e mortifica il genio tanto di chi “crea” quanto di chi “ruba”.

Paradossalmente sembra che solo i dettagli della vita quotidiana, strappati all’anonimo privato di individui qualsiasi, sappiano conservare un’originalità genuina e farsi inconsapevolmente arte. Mentre l’“autore” non è osservatore, interprete e intermediario di esteticità del reale che si fa da sé e che egli deve solo “cogliere”. Ad essere “rubato” è, in definitiva, l’atto creativo stesso.

Chiara Di Paola

L’image volée fino al 28 agosto 2016 Fondazione Prada, Largo Isarco 2 Milano Biglietto Intero – 10 € Ridotto – 8 € orari: lunedì / mercoledì / giovedì, 10 – 19 ; venerdì / sabato / domenica, 10 -21

 

 

LA FOTOGRAFIA DI HERB RITTS, TRA SOGNO E REALTÀ

La nuova mostra ospitata al Palazzo della Ragione è una vera sorpresa: poco conosciuto ai non addetti ai lavori, Herb Ritts, ha il dono di rendere in fotografia il concetto di leggerezza. Corpi umani, tessuti, elementi naturali e paesaggi si intersecano e nelle immagini vengono elevati fino a perdere tangibilità per assumere un’aura astratta. Ritts inizia la sua carriera fotografica sul finire degli anni settanta guadagnandosi la reputazione di miglior fotografo sia in campo artistico che commerciale. Oltre a produrre ritratti per riviste di moda (fra gli altri Vogue, Vanity Fair e Rolling Stones) Ritts realizza le campagne pubblicitarie per Calvin Klein, Gianfranco Ferrè, Gianni Versace, Giorgio Armani, Levi’s, Pirelli, Polo Ralph Lauren, Valentino e altri. Ma non solo: dal 1988 dirige alcuni video musicali e commerciali, per i quali ricevette anche numerosi premi. È un maestro di straordinaria sensibilità artistica.

Il percorso espositivo si sviluppa attorno alle tematiche più presenti nel suo lavoro: in primo luogo i ritratti, che hanno contribuito a creare la mitologia di alcune delle celebrità più acclamate dello star system mondiale. Da quelle della musica: da Madonna a Michael Jackson, da David Bowie a Tina Turner, fino ad arrivare a Jennifer Lopez e Britney Spears; alle icone del cinema, come un giovanissimo Richard Gere, fotografato ancor prima del suo esordio sul grande schermo, o Reese Witherspoon, Brad Pitt, Penelope Cruz, Elizabeth Taylor. Inoltre, i paesaggi e le suggestioni africane: il continente nero ha sempre esercitato un enorme fascino su Herb Ritts, al punto da dedicargli numerosi viaggi, anche a pochi giorni dalla sua morte. Le forti sensazioni che quella terra era in grado di comunicargli trovano spazio in sorprendenti reportage, tra volti e deserti.

Così come recita il titolo della mostra, le immagini di Herb Ritts vivono in perfetto equilibrio grazie al dosaggio attento degli elementi naturali, l’esaltazione del corpo in movimento, l’evidenza dei volti, in un ambiente dominato dalla luce naturale. Nella sua fotografia c’è tanto equilibrio quanta fragilità, portati dall’incontro con la realtà, dal peso delle cose e del tempo: il mondo di Ritts non è reale, ma è un racconto di come l’autore (e noi con lui) vorrebbe (vorremmo) che fosse. Herb Ritts è questo, assenza di tempo, assenza spazio: solo leggerezza ed equilibrio.

Herb Ritts In equilibrio fino al 5 giugno 2016 Palazzo della Ragione Fotografia piazza dei Mercanti Milano; martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 20.30; giovedì e sabato 9.30 – 22.30; biglietto € 12/10/6

 

 

AL LAC, MARKUS RAETZ VISTA LAGO

A Lugano, a settembre, è stato inaugurato uno spazio che, per chi si occupa di arte e cultura, si avvicina molto all’idea di paradiso terrestre. Si chiama LAC (Lugano Arte e Cultura) ed è il nuovo centro culturale dedicato alle arti visive, alla musica e alle arti sceniche; ha meno di un anno ma già si candida a diventare uno dei punti di riferimento culturali della Svizzera.

Al LAC, incredibile edificio a tre piani pieno di luce e affacciato sul lago, hanno sede il Museo d’Arte della Svizzera italiana (MASI), nato dall’unione tra il Museo Cantonale d’Arte e il Museo d’Arte della città di Lugano, e una sala concertistica e teatrale da 1000 posti, interamente rivestita in legno e dotata di una speciale conchiglia acustica modulare e rimovibile, che accoglie un ampio calendario di spettacoli performativi e concerti.

La prima mostra monografica ospitata dal MASI è dedicata a Markus Raetz, poco conosciuto ai più, è uno dei protagonisti della scena artistica svizzera contemporanea e artista sorprendente. L’esposizione nasce da una collaborazione con il Kunstmuseum di Berna e il Musée Jenisch di Vevey che ne hanno ospitato le prime tappe nel 2014; quella a Lugano assume particolare rilevanza non solo perché è la prima personale dedicata all’artista in Ticino, ma soprattutto perché include l’installazione intitolata “Chambre de lecture”, mai presentata al pubblico fino a ora.

Oltre 150 opere guidano il visitatore nel percorso artistico di Raetz dagli anni Settanta a oggi: tra parole, paesaggi e vedute, volti e fisionomie si segue il pensiero dell’artista come guardando un filo di fumo che corre, si arrotola e si sfugge via. Grazie a un approccio al tempo stesso ludico e concettuale questi soggetti, in apparenza semplici e accessibili, rivelano nelle creazioni di Raetz la complessità della realtà che ci circonda. Ampio spazio è dedicato all’opera incisa, ambito prediletto dall’artista che negli anni ha esplorato le varie tecniche calcografiche alla ricerca di una sempre maggiore libertà creativa. Le sperimentazioni grafiche di Raetz sono accompagnate da una parallela ricerca in ambito plastico come testimoniano le numerose sculture incluse nell’allestimento: si tratta sovente di opere che si trasformano sotto lo sguardo dello spettatore mutando aspetto e significato a seconda del punto di vista scelto. Una parola può quindi trasformarsi nel suo esatto contrario o il profilo del celebre artista Beuys apparire al tempo stesso come la sagoma di una lepre: nelle sculture di Raetz coesistono gli opposti e niente è come appare di primo acchito.

Presentata in uno spazio dedicato e distinto rispetto all’allestimento della mostra, la Chambre de lecture costituisce un ideale punto di partenza per avvicinarsi alla poetica di Markus Raetz. L’installazione è composta da 432 profili in filo di ferro modellati dall’artista e sospesi ordinatamente davanti alle pareti di una stanza. I profili si animano al più lieve spostamento d’aria, dando vita a una serie di affascinanti dinamiche. Contemplando il movimento delle teste si è portati al contempo a sorridere e riflettere. Come spesso avviene nelle opere di Markus Raetz, il passaggio dalla dimensione più universale a quella intimistica della fruizione è senza soluzione di continuità.

Lugano dista meno di 80 km da Milano e la proposta culturale del LAC è tale per cui il viaggio vale davvero la pena. Se questo può incentivare: il prossimo weekend è previsto brutto tempo, e la prima domenica del mese l’ingresso è gratuito.

LAC Lugano Arte e Cultura Piazza Bernardino Luini 6, Lugano Orari: Ma – Me, Do: 10:30 – 18:30 / Gi – Sa: 10:30 – 20:00 Intero: chf 15.- / Ridotto AVS/AI, over 65 anni, gruppi, studenti 17-25 anni: chf 10.- /Ingresso gratuito <16 anni, la prima domenica del mese

 

 

IL SIMBOLISMO, O DELLA PRIMAVERA SPIRITUALE DELL’ARTE

È una giovane donna che emerge dalle tenebre con un libro aperto tra le mani colei che accoglie i visitatori e li introduce in un mondo soggettivo e onirico fatto a volte di luci soffuse, colori scuri e immagini demoniache e talaltre di luce e chiarore per una realtà di perenne primavera. Il Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra è la grande mostra inaugurata all’inizio di febbraio a Palazzo Reale e mette per la prima volta a confronto i simbolisti italiani con quelli stranieri grazie a dipinti, sculture e un’eccezionale selezione di grafica, provenienti da importanti istituzioni museali italiane ed europee oltre che da collezioni private. Davvero si può parlare in questa occasione di grande mostra: oltre 2000 mq, con 24 sale per 21 sezioni che analizzano e offrono differenti declinazioni per un movimento a diffusione europea che ha segnato l’epoca a cavallo tra ‘800 e ‘900. Accomunate da una continua fuga dal quotidiano e dalla ricerca del superamento della realtà, ogni nazione trova la propria declinazione e i propri caratteri mantenendo come comuni denominatori, tra gli altri, la dimensione onirica, il mondo eroico della mitologia, l’amore erotico, la spiritualità.

Come all’epoca, anche nella mostra, letteratura, poesia, teatro e pittura sono continuamente intrecciate: testi, citazioni e frasi escono da cornici disegnate su pannelli come a creare immaginari collegamenti tra le opere e i visitatori, o come a suscitare aggiuntive suggestioni per facilitare l’immersione nell’atmosfera a cavallo tra i due secoli.

Tema ricorrente nel percorso, accentuato in alcune sezioni, è quello dell’acqua, metafora della vita: elemento primario in riti e rappresentazione magiche nell’800 trova nuova forza acquisendo un ruolo speciale. Apprezzata dagli artisti sul piano decorativo e luministico, ma soprattutto per le molteplici suggestioni evocative: sfuggente, cristallina o torbida, sorgente di vita ma anche pericolo letale, rivelatrice di paure inconsce o creatrice di stati ipnotici con il suo moto ondeggiante. Tra le altre La sirena (1893) di Giulio Aristide Sartorio, raccoglie in sé l’essenza del periodo: protagonista una giovane sirena dai fulvi capelli rossi mollemente abbandonata in un’onda verde, e un fanciullo bruno che la cinge; poco oltre alcuni teschi che suggeriscono la fine che la giovane vittima farà tra le braccia della donna.

Una delle sezioni più scenografiche della mostra saranno poi le sale dedicate alla Biennale del 1907: una straordinaria vetrina di confronto tra l’arte italiana più evoluta, cresciuta anche dal confronto con le grandi mostre della Secessione di Berlino e di Vienna. Giulio Aristide Sartorio è presente con l’imponente ciclo pittorico Il poema della vita umana, realizzato per la Biennale del 1907, la stessa dove venne allestita la famosa Sala dell’Arte del Sogno che ha rappresentato la consacrazione ufficiale del Simbolismo in Italia.

A conclusione del percorso espositivo lo spettatore attraversa l’atmosfera orientaleggiante e fantastica delle Mille e una notte, il ciclo decorativo realizzato da Zecchin alla vigilia della Grande Guerra, che lo lascia ancora più trasognante e spaesato quando superata la tenda nera si trova catapultato un secolo dopo nel bookshop della mostra.

Il Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra fino al 5 giugno 2016 Palazzo Reale piazza Duomo Milano orari lunedì 14.30 – 19.30 / martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30 / giovedì e sabato 9.30 – 22.30 biglietti € 12/ 10 / 6

 

questa rubrica è a cura di Benedetta Marchesi

rubriche@arcipelagomilano.org


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