16 marzo 2016

IL “DÉBAT PUBLIC” E IL PROGETTO “GRAND PARIS”: UN MODELLO PER MILANO


Il delicato tema della partecipazione e del coinvolgimento della cittadinanza da parte delle Amministrazioni Pubbliche assume una dimensione tanto più ampia quanto più forte è l’impatto che le grandi opere pubbliche producono nell’immediato sul territorio. Fra le misure adottate dalle istituzioni pubbliche al fine di contenere il rischio di distanze sempre maggiori fra eletti ed elettori, nel panorama europeo risalta chiaramente la profonda differenza fra l’approccio italiano, troppo spesso improntato all’annuncio di sontuosi programmi di collaborazione o coordinamento che non hanno poi alcun seguito nella quotidianità dei cittadini, e l’approccio francese, consolidato e collaudato nel tempo, che invece assicura un dialogo continuo e costruttivo fra la cittadinanza e gli enti pubblici di qualunque livello, sia questo locale, regionale o nazionale.

04cadenazzi10FBCome sottolineato la settimana scorsa dal Beltrami Gadola nell’editoriale “La Ministra Boschi e la cultura politica milanese“, il sistema francese del débat public è « non solo un’istituzione, ma un processo »: in Francia, la Commission nationale du débat public s’incarica di stabilire nel dettaglio i tempi e i modi in cui i cittadini potenzialmente interessati da uno o più aspetti di una grande opera pubblica debbono essere opportunamente informati e invitati a partecipare attivamente alla definizione ex-ante, allo sviluppo, alla concretizzazione e alla valutazione ex-post del progetto stesso.

A livello locale, tale approccio è perfettamente evidente nel caso del progetto Grand Paris, il piano di crescita della metropoli parigina lanciato dal governo francese nel 2010 e all’orizzonte 2030, con l’obiettivo, per Parigi, di essere annoverata fra le prime cinque global cities del mondo e che prevede l’estensione del sistema dei trasporti pubblici dell’Île de France, la costruzione di 70.000 alloggi l’anno e la riorganizzazione generale della governance metropolitana.

L’intero progetto Grand Paris, strutturato intorno a sette cluster strategici disposti in corrispondenza del perimetro esterno alla città di Parigi (la cosiddetta Petite Couronne), è stato concepito a partire dalle esigenze di coloro che vivono nella regione capitale. La trasformazione del territorio in una rete integrata di quartieri intelligenti dalle funzionalità multiple, opportunamente messi a sistema fra loro e aperti agli scambi e alle connessioni con l’esterno, passa proprio dalla concertazione costante delle istituzioni con gli abitanti direttamente interessati dagli interventi infrastrutturali.

Prima di avviare la costruzione di ognuna delle nuove settanta stazioni del trasporto pubblico, per esempio, i rappresentanti della Société du Grand Paris, incaricata della realizzazione del progetto, intraprendono un dialogo serrato con le collectivités locales di riferimento (soprattutto comuni e dipartimenti). In seguito, vengono avviati dibattiti e inchieste pubbliche riguardo alle implicazioni e alle attese create dalla novità infrastrutturale, cui chiunque è invitato a prendere parte, i semplici cittadini così come le imprese, le associazioni e le organizzazioni di ogni genere. Tale approccio consente di instaurare un meccanismo di public acceptance delle diverse fasi del progetto, nonché di ispirare un rapporto di fiducia e di confronto duraturo, che contribuisce a contenere gran parte delle possibili derive di protesta – la cosiddetta sindrome NIMBY (Not In My Back Yard) –, favorendo il perseguimento dell’interesse pubblico e diminuendo la distanza fra rappresentanti e rappresentati, binomio che non sempre corrisponde a quello eletti-elettori.

Nel tracciare un serio percorso di crescita nel medio – lungo periodo per il territorio, fissando obiettivi chiari e ambiziosi ma raggiungibili e delineando una precisa pianificazione strategica, Milano Città Metropolitana può senza dubbio prendere esempio dall’esperienza francese. Al di là delle evidenti lacune della legislazione italiana in materia di consultazioni pubbliche, infatti, nulla impedisce al (futuro) governo metropolitano di dare vita di propria iniziativa a incontri pubblici e a consultazioni con i cittadini in merito alla realizzazione di nuove grandi opere, rispettando peraltro una pratica che è ammessa anche dallo Statuto Metropolitano. Se disciplinato da norme precise o quantomeno gradualmente adottato come prassi, questo atteggiamento improntato a una logica d’intrapresa visionaria, volto a contribuire alla crescita della metropoli e a valorizzarne l’immagine a tutto tondo, consentirebbe a Milano di porre le basi per la costruzione di una governance inclusiva all’avanguardia, capace di dialogare con ogni categoria di stakeholder. In tal caso, è molto più probabile che a drammatiche derive NIMBY si sostituiscano piuttosto proficue situazioni PIMBY (Please, In My Back Yard).

Di fronte all’elevato e, diciamolo pure, non previsto tasso di partecipazione a Expo 2015, è stato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a osservare come l’origine di tale successo risieda soprattutto nell’intensa coscienza civica dei milanesi, il cui spirito di iniziativa e la capacità di fare rete si traducono nella ricerca di nuove ambiziose opportunità per l’intero tessuto metropolitano. Un sistema spontaneo ma ben organizzato di consultazioni pubbliche permetterebbe di colmare il deficit democratico creato dall’attuale configurazione istituzionale e di dare risposte credibili alle esigenze dei cittadini. Si tratta di operare un importante cambiamento nell’approccio alle politiche pubbliche, orientando tutti gli sforzi in modo proattivo e con piena consapevolezza alla produzione di valore, nel rispetto della creatività e dell’operosità di cui la tradizione milanese storicamente si fregia. Indubbiamente, Milano ne trarrebbe soltanto benefici.

 

Matteo Cadenazzi
Direzione Affari Pubblici di ERDF, Électricité Réseau Distribution France, Parigi

 

 

 



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