23 novembre 2009

RUTELLI E BERSANI: POLITICA E NOMINALISMO


Debbo confessare una lacuna nella mia intelligenza: non ho capito perché Francesco Rutelli ha lasciato il partito democratico. La versione ufficiale è stata che, con la nomina di Bersani a segretario di quel partito, si sarebbe ristretto al suo interno lo spazio per i moderati e che perciò da un orientamento di centro-sinistra (con il trattino o senza?) si sarebbe passati a un orientamento meno di centro che con altri segretari.

Non ho partecipato alle primarie del partito democratico perché il 27 ottobre ero a Roma, ma se avessi potuto parteciparvi, avrei votato per Marino. Tuttavia non sono spaventato da Bersani, forse perché non sono moderato nel senso inteso da Rutelli (ma anche da Casini e da molti che sono francamente di destra). Resto al significato delle parole e constato che il contrario di moderato è eccessivo. In questo senso anche io sono un moderato, dato che detesto gli estremismi e sono incline a dare ascolto alle ragioni degli altri. Ma che cosa c’è di eccessivo in Bersani? Se c’è, mi sfugge completamente.

Debbo perciò fare uno sforzo per capire che cosa significhi moderato non nella lingua italiana che tutti parliamo, ma nel linguaggio politico e, più ancora, come questo aggettivo possa esprimere il punto di vista particolare di Rutelli. Una prima e più facile interpretazione è che egli consideri eccessivo il fatto che Bersani sia stato in passato comunista. Personalmente, a differenza di un ministro dell’attuale governo di destra, non sono mai stato comunista, ma mi pare che, se questa fosse l’idea di Rutelli, tutta la costruzione del partito democratico andrebbe all’aria, dato che persisterebbe la conventio ad escludendum nei riguardi della sua componente maggiore. E poi Veltroni non era stato anche lui comunista? Questo ci costringe ad analizzare il significato di un’altra parola preziosa nel vocabolario politico, che è proprio”centro”.

Teoricamente, e in accordo con i vocabolari della lingua italiana, la definizione è facilissima: si è al centro dello schieramento politico quando si prendono orientamenti che sono a metà strada tra quelli di destra e quelli di sinistra, così da essere sicuri di non essere eccessivi e, conseguentemente di essere moderati. Ma nel concreto le cose non vanno così. Abbondano i provvedimenti politici per i quali non è immaginabile una via di mezzo, per esempio lo scudo fiscale o la legge sul processo breve. Il buon centrista potrebbe fare una media non tra i singoli provvedimenti, ma tra le volte nelle quali si è d’accordo con la destra e le volte nelle quali si è d’accordo con la sinistra. Ma anche questo è un esercizio difficile e poi che appare, per così dire, senza anima. In politica ci vogliono anche la passione e la progettualità ed è difficile immaginare una connotazione centrista di queste qualità.

Perciò, forse vale la pena di abbandonare considerazioni astratte ed esaminare quelle che sono, sul piano tattico, le soluzioni possibili di una politica di centro. La prima è la politica che da Andreotti fu definita dei due forni. I centristi vogliono restare liberi di potersi alleare, secondo le convenienze, o con la destra o con la sinistra. Avanzo il tenue sospetto che questo sia il centrismo di Casini che ha governato con Berlusconi fino allo scorso anno. E’ per questa ragione che Rutelli ha lasciato il partito democratico? Ma, se questo fosse il caso, avrebbe dovuto abbandonare il partito senza attendere le primarie, dato che le alleanze delle quali anche Franceschini e Marino hanno parlato erano sempre nell’ambito della opposizione e del bipolarismo.

Esiste un’ altra considerazione più seria, che riguarda una connotazione particolare del partito italiano che più di ogni altro ha fatto del centrismo la sua bandiera, e cioè l’UDC di Casini, e che io definisco per facilità di discorso il clericalismo. Forse Rutelli ritiene che, con la elezione di Bersani alla segreteria, il partito democratico sia diventato troppo laico? Avrei considerato la ipotesi più ragionevole se avesse vinto Marino, ma gli abissi dell’animo umano sono insondabili. Ma questa spiegazione, pur ragionevole, sembra smentita dal fatto che Rutelli, lasciando il partito democratico, non ha aderito all’UDC, ma anzi ha fondato un movimento nuovo denominato Alleanza per l’Italia. E a questo movimento ha subito aderito Tabacci, al quale evidentemente va stretto l’abito clericale. Perciò continuo a non capire perché Rutelli abbia lasciato il partito democratico.

Naturalmente, quelli che frequentano all’interno la politica italiana e sono meno ingenui di me lo avranno capito benissimo, ma se ho svolto questo discorso è perché mi sembra che questo caso rappresenti in modo esemplare quello che è un grave difetto della nostra comunicazione pubblica, che è il nominalismo. Sarò perdonato se, per spiegare meglio quello che voglio dire, ricorrerò alla filosofia scolastica. “Centro”, “destra” e “sinistra” applicati alla politica sono dei concetti generali che per i filosofi scolastici possono essere definiti degli “universali”. Ora, a partire dal secolo XI, gli scolastici si accapigliarono sulla natura degli universali e il monaco Roscellino fu fautore del nominalismo e cioè affermò che non sono altro che un flatus vocis. Un soffio di voce e niente altro sono, a mio parere, molte affermazioni che si fanno quando si parla di politica in Italia. Si potrebbe concludere che è centrista chi si definisce di “centro” e in questo senso la posizione di Rutelli e di molti altri ha una senso: non gli piace definirsi di sinistra. Il che ha una sua logica politica, dato che anche a molti elettori questa definizione non piace. Forse è per il collegamento che la parola “sinistra” ha storicamente avuto con la rivoluzione russa e con lo stalinismo. Ma al giorno d’oggi sarebbe francamente improprio allargare questo collegamento al partito democratico e al suo nuovo segretario. Perciò, nella sostanza mi pare che il problema sia eluso.

Per la verità, una definizione rigorosa di “destra” e “sinistra” in campo politico fu data anni fa da Norberto Bobbio, che però si era dimenticato del “centro” (N. Bobbio Destra e Sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica. Donzelli editore, Roma, 1994), ma temo che pochi lo abbiano letto e che i più preferiscano i nomi ai loro significati. Più modestamente mi riferirò a due proposizioni apparentemente contraddittorie: “gli uomini sono tutti uguali” e “gli uomini
sono diversi l’uno dall’altro”. Schematicamente, si potrebbe considerare di sinistra chi sottoscrive la prima osservazione e di destra chi è convinto della seconda. Ma, come ho osservato, io credo che entrambe siano vere, nel senso che gli uomini sino uguali per certe loro caratteristiche e diversi per altre. Ma penso che le differenze abbiano, per così dire, un rango, ossia che ve ne siano di rango più elevato e di rango più basso.

Aggiungo che il rango, ossia la nobiltà di una differenza tra gli umani, sia tanto più elevato quanto più sia inerente a una peculiarità della nostra specie e ci differenzi dagli animali. Perciò differenze nei gusti artistici, nella adesione a teorie scientifiche e no, persino nell’essere tifosi dell’Inter o del Milan credo che siano differenze di rango elevato, mentre essere ricchi o poveri sia una differenza di rango inferiore, ma non di lieve importanza. Infatti, per accedere alle differenze di rango superiore occorre non solo avere i mezzi per sopravvivere (il che ha importanza per il terzo mondo), ma anche, almeno da noi, un minimo di disponibilità economica che consenta di studiare, di comprarsi dei libri, di fare qualche viaggio, di potere visitare mostre e andare a cinema o a teatro, o anche allo stadio. Perciò, le differenze di rango inferiore possono rendere impossibili le differenze di rango superiore.

Mi pare che un errore commesso dalla sinistra politica nel passato sia stato di non tenere conto di questo e di avere dato l’impressione di essere contro tutte le differenze tra gli esseri umani. Sarebbe meglio dire che essere di sinistra significa volere innalzare il rango delle differenze tra gli umani e che, per ottenere questo, occorre non solo combattere le differenze di rango inferiore, ma anche promuovere le libertà politiche che sole possono consentire il pieno dispiegarsi delle differenze di rango superiore. Forse una posizione simile renderebbe più accettabile in politica la definizione di “sinistra” e farebbe in modo che questa parola susciti meno avversione che al giorno d’oggi, non solo in Rutelli, ma anche in molti elettori.

 

Claudio Rugarli



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