16 marzo 2016

cinema – PERFETTI SCONOSCIUTI


PERFETTI SCONOSCIUTI
di Paolo Genovese [Italia, 2016, 97]
Con Giuseppe Battiston, Anna Foglietta, Marco Giallini, Edoardo Leo, Valerio Mastandrea

cinema10FBOtto amici, quattro coppie, decidono di incontrarsi a cena. La sera offre due eventi: l’eclisse lunare e la nuova fidanzata di Peppe: Lucilla. La casa della cena è la dimora pariolina di Eva (Smutniak) e Rocco (Giallini), una coppia rodata e, forse, un po’ slabbrata composta da un chirurgo plastico di origine proletaria e da una psicoanalista di famiglia borghese dotati di figlia adolescente. Gli altri sono: Cosimo (Leo) ora tassista, in transito verso altre carriere più remunerative e con maggiore appeal sociale, Bianca (Rorwacher) la sua giovane moglie di professione veterinaria, Lele l’amico consulente legale (Mastrandrea) e la moglie Carlotta (Foglietta) casalinga frustrata, Peppe (Battiston), insegnante di ginnastica sfortunato e licenziato. Manca Lucilla, la nuova fiamma di Peppe che tutti attendono di conoscere ma che pare malata.

Quando i protagonisti giungono all’appuntamento li conosciamo già: sappiamo che Bianca e Cosimo tentano di avere un figlio, che Eva ha un rapporto burrascoso con la figlia adolescente a cui trova una confezione di condom e che Carlotta patisce la convivenza con la suocera e si consola con l’alcool e incontri sui social.

La cena ha inizio tra scherzi e battute tipiche delle persone che si conoscono e che si stuzzicano ma si vogliono bene, poi la brillante idea di socializzare i telefonini, metterli al centro della tavolata e condividere messaggi, whatsapp e telefonate. Il clima cambia subito: tensioni, imbarazzi e colpi di ingegno si susseguono ogni volta, che un telefono prende vita.

Si sospettano tradimenti veri o immaginati, si scopre una vita quotidiana basata sul non detto quando non direttamente sulla menzogna. Tutti provano paura di tradirsi, indugiano in atteggiamenti ipocriti, rivelano al contempo tratti di umanità. La narrazione cinematografica alterna toni da commedia a toni drammatici con grande maestria che gratificano lo spettatore. Certo gli attori sono bravi e molto affiatati e sanno muoversi tra toni leggeri e conviviali e toni più crudi e drammatici, ma un grande merito è anche quello della sceneggiatura con dialoghi ben scritti, forse fin troppo. Il piacere di una sceneggiatura forte e brillante sembra avere un contraltare: farsi sentire e, di fatto, limitare un po’ la libertà degli attori. Nella prima parte il ritmo della narrazione è piacevolmente incalzante, nella seconda il clima cambia, ma c’è una ragione e la si conosce alla fine.

Una nota a margine: questo film di Paolo Genovese (Una famiglia perfetta, Tutta colpa di Freud, Sei mai stata sulla Luna?), come Il nome del figlio di Francesca Archibugi, I nostri ragazzi di Ivano Di Matteo e Dobbiamo parlare di Sergio Rubini ha un’impostazione teatrale ed è quindi ambientato in uno spazio chiuso, intorno a una tavola. Sarà un caso?

Dorothy Parker

 

 

questa rubrica è a cura degli Anonimi Milanesi

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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