23 novembre 2009

EDIFICARE GLI SCALI FERROVIARI. UNO SCAMBIO INIQUO


Qualche giorno fa, partecipando a un dibattito sulla rete dei trasporti pubblici di Milano, ho avuto modo di esprimere le mie perplessità sui nuovi accordi stipulati tra il Comune di Milano e le Ferrovie dello Stato in merito all’utilizzo delle aree di proprietà FS.

In breve, nel 2005 il Comune aveva stipulato un accordo con le FS in cui s’impegnava a consentire l’edificazione delle aree ferroviarie da dismettere (Farini e Romana in primis) ottenendo in cambio l’impegno a investire i proventi in infrastrutture, e in particolare nel secondo passante. Le prime sommarie stime valutavano i proventi da reinvestire fino a un massimo di 750 milioni di euro. Lo scambio era quindi equilibrato, un grande patrimonio dei milanesi (circa un milione di mq), contro una grande infrastruttura strategica per il futuro della città, entrambi beni perpetui.

Successivamente, nel 2007, la nuova giunta modificò l’accordo eliminando l’impegno diretto al finanziamento del secondo passante (con una più sfumata definizione di “chiusura della cintura ferroviaria”) riportando invece impegni per la realizzazione di centri intermodali, parcheggi, ma soprattutto per il rinnovo del materiale rotabile. In quello stesso dibattito era fatto presente che la modifica era dovuta all’urgente necessità di reperire materiale rotabile per far funzionare le esistenti infrastrutture – ancorché insufficienti – del Servizio Ferroviario Regionale.

Per questo motivo, a quanto pare, anche in accordo tra Comune e Regione (e, presumo, con gran soddisfazione delle FS), si sarebbe deciso di riversare nell’acquisto dei rotabili le risorse derivanti dall’urbanizzazione delle aree ferroviarie. E’ assolutamente vero che l’emergenza di oggi riguarda la mancanza dei rotabili e le pessime condizioni di confort e di sicurezza di quelli in esercizio. Tuttavia, questo scambio appare ineguale, e si risolve a danno della collettività milanese.

I cittadini milanesi consentono l’edificazione di cospicue aree non edificate ma centrali e urbanizzate, il patrimonio più pregiato di cui una città possa disporre, consegnandole a un’utilizzazione edilizia che le trasformerà in modo definitivo. Lo scalo Farini è durato più di cento anni, ma una nuova urbanizzazione durerà ben di più.

In cambio dovrebbero ricevere poche infrastrutture minute (che possono ben essere finanziate in altro modo) e prevalentemente beni di consumo, perché tale è il materiale rotabile, anche se molto durevole.

Dopo i primi cinquant’anni i nuovi luoghi urbani costruiti saranno ancora giovani, ma i vagoni ferroviari saranno già stati rottamati. I bravi tecnici milanesi hanno pure scongiurato il rischio che i rotabili possano essere trasferiti altrove, individuando una tipologia di treni che può essere impiegata solo a Milano, ma in ogni caso sono destinati a diventare rottame.

Il tutto aggravato dal fatto che in Italia non esiste alcun sistema per l’ammortamento del materiale rotabile su ferro (fatto su cui nessuno riflette mai), e quindi nessun meccanismo economico per la ricostituzione dello stesso.

E’ pur vero che gli insediamenti costruiti sulle stazioni ferroviarie sono intrinsecamente meno congestivi, perché godono al massimo grado dell’accessibilità su rete pubblica, ma questo è un buon motivo per scambiarli con infrastrutture strategiche, non con beni di consumo. Lo scambio rimane iniquo.

Giorgio Goggi



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