9 marzo 2016

MILANO PRIMARIE. SCENE DA UN MATRIMONIO (DIFFICILE)


Quel filo di entusiasmo che mi aveva sorretto nella fase delle primarie sta via via scemando e credo che un’ombra di depressione stia oscurando l’attesa di molti altri, non solo mia. Ci annunciarono le primarie come la via ideale alla Soluzione. Passate le primarie, si ricompone invece lo scenario tradizionale della Nuova Politica Italiana, divisioni, incontri, scontri, pause, tregue, tatticismi, tensioni d’ogni genere (termini da tempo di guerra dedotti dalla lettura dei giornali). Non che si possa ignorare di che pasta da un’eternità sia fatta la politica, ma le consultazioni per la selezione del candidato e il sistema elettorale che avrebbe dovuto esaltare la stabilità del governo indicando un uomo solo al comando della corsa, spronato alla vittoria dal consenso del “popolo”, avrebbero dovuto risparmiarci le manfrine attribuite all’ancien régime, manfrine sceneggiate in trattative con il sapore della clandestinità salottiera, avrebbero dovuto evitare che si ripresentassero sotto altre spoglie e nella loro chilometrica resistenza i metodi e i discorsi che tanto siamo andati a deprecare: stiamo valutando, stiamo riflettendo, vediamo i programmi, consideriamo tutte le opzioni e via mascherando, chiediamo garanzie, discutiamo i ruoli, tra il fumo e la nebbia per chi non pratica da vicino.

02pivetta09FBLe trattative si sono sempre architettate, com’è ovvio, ma peraltro nell’era glaciale dei partiti, quando a voti contati si riunivano segreterie e direzioni, comitati federali e assemblee degli iscritti, risultavano molto più trasparenti, rettilinee, persino rigorose e le si poteva apprezzare nel loro aplomb istituzionale e nella loro fermezza burocratica: i comunicati susseguenti, cogliendo l’indirizzo dei votanti (il novanta per cento dell’elettorato, non quello smilzo cinquanta per cento cui ci stiamo abituando) e i desideri delle correnti (presenti ovunque, a onta del centralismo) indicavano sindaco e assessori, che avrebbero dovuto sostenere il giudizio del consiglio comunale, scelto e quindi delegato dai cittadini per adempiere a quelle funzioni decisive.

Non ho nostalgia per il passato, anche se l’età dovrebbe consentirmelo, ma penso che la democrazia d’allora non fosse peggio di quella d’oggi e che il distacco tra “governo” e società si sia variamente moltiplicato, per un’infinità di cause, alcune delle quali adducibili all’epoca (la crisi della cultura e della politica sono universali, come la moria dei cosiddetti “corpi intermedi” o come la dipendenza televisiva…), altre ai fenomeni criminosi, che sono ormai pane quotidiano nell’amministrazione pubblica, ma anche a quelle estenuanti recite mediatiche, in particolare radiotelevisive, che dovrebbero rassicurare e che invece terrorizzano per l’artificio, il vuoto e la ripetitività.

Vale ovunque, la malattia è trasversale, ma se stiamo a Milano quella parte che sta a sinistra della destra (non saprei come definirla: centrosinistra? sinistra- centro? sinistra-sinistra?) dà un ottimo esempio. Leggo sul Corriere un titolo, di qualche giorno fa, che recita: “Lista Balzani, l’accordo slitta ancora / Ma dopo lo scontro si torna a trattare” (sommario: “Sala: ripartiamo. Il vicesindaco: non escludo niente. Il 19 marzo via alla campagna”). Che cosa deve capire l’ingenuo lettore? Forse dovrebbe capire che si sta mercanteggiando, così come i procuratori calcistici mercanteggiano l’ingaggio di Dybala o di Higuain.

La Balzani non era nello stesso “gruppo” (non chiamiamolo partito, perché qualcuno si potrebbe offendere) che aveva indetto le primarie perché i cittadini scegliessero tra lei, l’uomo dell’Expo e Majorino? Le distanze si capiscono, ma distanze tanto vistose da risolversi in uno “scontro” lasciano a bocca aperta … . Che cosa dovrebbe capire poi l’ingenuo lettore se l’ex pm annuncia che si candiderebbe per la sinistra-sinistra purché l’ex vicesindaco rinunci a capeggiare la lista arancione, che dovrebbe sostenere l’altro candidato: che un pezzo degli elettori alle primarie come la truppa può andare di qua o di là a comando? O se il giornalista ed europarlamentare dice sì, mi candido, ma guai a qualsiasi accordo poi … . Tattica o autentica vocazione ultraminoritaria? Caos dei sentimenti e dei procedimenti … .

È vero che il ballottaggio chiarirà le idee a molti se non a tutti, si spera evitando guai immaginabili. Ma qui mi pare di assistere al giochino delle parti alla conquista di qualche centimetro di cielo e di visibilità, in attesa di quel giorno. Come in trincea prima di Caporetto e nei campi di rugby: si combatteva e si corre per guadagnare l’avamposto o l’area di meta. Viene il timore che il profumo del potere seduca più dei cosiddetti “contenuti” e che la responsabilità civica venga dopo le allocazioni.

Non so se a Milano finiremo come a Genova (lì per le regionali), mi piacerebbe che si facesse come a New York. In un libro che ricordo sempre in circostanze di questo genere, “Metropolis”, Jerome Charyn, scrittore americano, descriveva la sua città accompagnando il sindaco democratico Ed Koch (sindaco per oltre un decennio) nei suoi percorsi cittadini. Ed Kock camminava nei quartieri con i suoi collaboratori per scoprire il suo mondo, incontrava la gente, annotava quanto gli chiedevano e quanto lui stesso avvertiva, problemi, proteste, ritardi, il semaforo rotto, le buche, gli accumuli di sporcizia, i segni del disagio. Rimise in piedi New York, che stava vivendo tra anni settanta e anni ottanta una delle sue peggiori crisi. Demagogia? Populismo? Sono domande scontate e parole abusate. Forse bisognerebbe leggere quelle pagine per capire “come si fa” (e come farei, ma non sono candidato a nulla).

 

Oreste Pivetta

 

 



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