9 marzo 2016

BILANCIO PARTECIPATIVO. A CHE PUNTO È MILANO?


Quello della partecipazione è una sorta di mantra che riempie da un po’ di anni le campagne elettorali di partiti e coalizioni soprattutto, ma non solo, di sinistra, di liste più o meno civiche e movimenti vari, ma che viene poi disatteso da chi governa. E sì che è dal 2001 che esiste un riferimento sufficientemente semplice e chiaro per orientare l’azione dei “local leader”: si tratta della Raccomandazione (Rec 2001)19 adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 6.12.2001 e rivolta ai governi degli Stati membri sulla “partecipazione dei cittadini alla vita pubblica locale”. L’ultimo dei cinque principi di base per una politica di partecipazione locale democratica afferma che «È ormai tempo di adottare un approccio ampio al tema della partecipazione, tenendo conto sia della “machinery” (apparato) della democrazia rappresentativa che di forme di partecipazione diretta al processo decisionale e alla gestione della cosa pubblica a livello locale».

03decindio09FBOltre quindici anni dopo l’enunciazione di questa raccomandazione, la domanda di partecipazione dal basso è cresciuta, anche grazie alla spinta abilitante delle tecnologie digitali e di rete.  «L’esistenza di una cultura di Internet fatta di bloggers, social network e cyberactivism» scrive Manuel Castells a proposito delle primavere arabe «è stata la precondizione delle rivolte». Ma quello stesso scenario che ha facilitato e reso virali le proteste in tante parti del mondo fatica poi, non solo nel tormentato mondo arabo, a offrire risposte alla domanda di partecipazione diretta al processo decisionale e alla gestione della cosa pubblica a partire dal livello locale.

I bilanci partecipativi – processi di coinvolgimento della cittadinanza finalizzati alla realizzazione di progetti proposti e scelti dai cittadini e finanziati con un budget messo a disposizione dall’amministrazione – sono una delle non molte pratiche emergenti che vanno in questa direzione. Non a caso ne è stata incoraggiata la diffusione tanto dalle Nazioni Unite che dalla Banca Mondiale. Il progetto EMPATIA (Enabling Multichannel Participation Through ICT Adaptations) – partito lo scorso gennaio, grazie al finanziamento EU nell’ambito della call Horizon2020, in particolare nell’iniziativa CAPS (Collective Awareness Platform for Sustainability and Social Innovation) – vuole lavorare proprio per dotare il bilancio partecipativo di strumenti digitali e di rete che estendano numericamente la partecipazione, senza mortificarne la ricchezza relazionale e comunicativa.

Questo l’obiettivo dichiarato dal coordinatore del progetto Giovanni Allegretti, professore al CES (Centro de Estudos Sociais) dell’Università di Coimbra, in occasione della presentazione del progetto in Italia, lo scorso 24 febbraio nella Sala Affreschi della Città Metropolitana. Allegretti ha anche presentato il consorzio che ha il polo centrale a Coimbra dove oltre al CES c’è OneSource, spin-off IT dell’università, che coordina lo sviluppo software; poi ci sono i tre partner responsabili della sperimentazione che avverrà in Portogallo (Lisbona), Germania (Bonn) e Repubblica Ceca (Ricany).

E c’è l’Università Statale di Milano che lavora gomito a gomito con i colleghi di Coimbra, sia sul fronte della ricerca che dello sviluppo software portando in dote l’esperienza maturata su entrambi i fronti, presentata negli interventi di Stefano Stortone e Leonardo Sonnante: le loro slide sono disponibili su http://www.progettoempatia.it/. Non è purtroppo previsto nel progetto un “pilot” in Italia. E quindi il vero obiettivo dell’incontro era preannunciare una sorta di “call” rivolta a Comuni italiani che hanno intenzione di avviare un bilancio partecipativo e sono interessati a collocarlo come sperimentazione “extra” del progetto EMPATIA. Guadagnando così il supporto metodologico e tecnologico dello staff del progetto, in particolare tramite UniMi, ma – purtroppo – non le risorse economiche per gestirlo.

All’incontro erano presenti oltre 80 persone, ed è interessante sbirciare nelle affiliazioni. Grazie al patrocinio e al supporto offerto dalla Città Metropolitana (in particolare dalla consigliera delegata Arianna Censi che nel suo saluto ha dichiarato grande interesse per tutte le iniziative che favoriscono la partecipazione dei cittadini; e dal consigliere Marco Cappato che, coerentemente con l’attenzione propria dei radicali per gli istituti di partecipazione popolare, sta lavorando al regolamento per il bilancio partecipativo previsto nello Statuto della Città Metropolitana) erano numerosi i comuni metropolitani. Vi erano anche vari comuni lombardi e piemontesi, spesso rappresentati da giovani amministratori. E numerosi erano anche i giovani attivisti chiamati a raccolta tramite le reti sociali, digitali e non.

Si notava l’assenza del Comune di Milano che pure lo scorso anno ha fatto il suo primo bilancio partecipativo e potrebbe forse trarre qualche vantaggio da un confronto. Se è vero quel che hanno sostenuto Allegretti e Stortone, che ciò che davvero conta in un processo di bilancio partecipativo, più ancora dei progetti da realizzare, sono le relazioni che, durante il processo, si creano tra i cittadini, allora il bilancio partecipativo di Milano, da questo punto di vista, è stato semplicemente inesistente. Chissà se una seconda edizione, presumibilmente in carico alla nuova amministrazione, vorrà impegnarsi a superare questo limite e allinearsi alle pratiche che davvero promuovono la valorizzazione dell’intelligenza collettiva di una città: perché, come dice Surowiecki nel suo “The Wisdom of Crowds” (2004): «the many are smarter than the few» e imparare a valorizzare questa risorsa davvero rinnovabile è forse la sola via per (ri)trovare lo slancio necessario a uscire dalla crisi.

 

Fiorella De Cindio

 

 



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