2 marzo 2016

SALA, I CONTI DI EXPO E LE RESPONSABILITÀ COLLETTIVE


Il redde rationem sui conti di Expo presto o poi ci sarà: un terribile pasticcio perché non solo di conti si parla ma di tante cose più o meno lusinghiere che li accompagnano. Se posso dare un consiglio agli amici di sinistra è di accelerare i tempi, di non cercare di ritardare il confronto anzi di essere quelli che conti e dintorni li vogliono vedere subito.

01editoriale08FBLa ragione è banale. I bilanci non sono né solo aritmetica (le quattro operazioni) né solo matematica (sinteticamente lo studio delle quantità), che possiamo definire scienze esatte ma si introduce il criterio delle “valutazioni” e delle relative regole (molte codificate per legge) che tutto sono fuorché scienza esatta e la stessa realtà di un’attività economica può essere descritta bilancisticamente in molte maniere diverse: in gioco c’è sempre l’onestà intellettuale di chi i bilanci li fa.

Questo per me è il criterio secondo il quale dovremo valutare l’operato di Giuseppe Sala AD di Expo spa. Anche chi lo valuterà sia da destra che da sinistra dovrà (dovrebbe) avere grande onestà intellettuale, cosa che in campagna elettorale non è così facile. Per pretendere l’onestà intellettuale di chi giudica bisogna che chi presenta i conti non cerchi di occultare nulla, anzi mostri la realtà con tutta la crudezza dei dati anche se negativi.

In un’operazione delle dimensioni di Expo2015 e di quella complessità un ruolo fondamentale hanno la durata degli ammortamenti previsti in bilancio, questione banale se si trattasse di macchinari, attrezzature, immobili di uso corrente ma tutt’altro che banale quando si tratti di immobili altamente specializzati come la cosiddetta “piastra” (l’infrastruttura necessaria a fornire collegamenti tecnologici, accessibilità e servizi ai padiglioni).

A chiarire anche ai meno addentro quanto il problema sia complicato, basta dire una sola cosa: l’area sulla quale è stata realizzata Expo, come fosse una semplice area nuda dotata di una sua edificabilità, è stata messa all’asta e non ha raggiunto i valori minimi indicati di 315 milioni ed esiste persino il rischio di un valore negativo se si dovesse provvedere alle demolizioni di quanto esistente e alla bonifica dei terreni che sembra non esser stata completata in occasione dell’esposizione.

Dunque stabilire quale sia il valore del patrimonio oggi di Expo2015 spa è un esercizio persino inutile, così come discuterne e per questa ragione ritengo che l’attuale maggioranza non abbia alcun interesse a tardare l’apertura del dibattito ma piuttosto aprire un confronto su questioni, quelle sì fondamentali: l’investimento fatto, un miliardo e cinquecento milioni, è stato ragionevole? Nel senso che i benefici attesi si sono concretizzati? Rispetto ai benefici attesi poteva essere fatto in investimento minore? Queste sono le vere chiavi di lettura per dire se è stato un successo o un insuccesso.

Sotto questi due ultimi profili gli eventuali errori di valutazione a chi vanno imputati? E dunque chi ne è il vero responsabile? Una ricostruzione difficile. Quello che con certezza si può dire è che chiunque abbia avuto nel corso degli anni, dall’avvio del percorso alla sua chiusura, qualcosa a che fare con Expo, ne è responsabile nel bene e nel male: dal Governo Prodi passando per Berlusconi, Monti  e Letta al Governo Renzi, dalla Giunta Moratti alla Giunta Pisapia.

Lascio da parte, per scelta, il lato ignobile e oscuro della vicenda, gli arresti, i sussurri, le ombre e le connivenze: quasi tutto è già stato detto, resta aperto il capitolo di chi ha voltato la testa dall’altra parte, chi a fin di bene – non posiamo fare brutte figure internazionali -, chi per opportunità politica di parte. Anche in questo caso il tempo farà giustizia.

Non si può chiudere il capitolo senza parlare del futuro. I fronti aperti sono tanti, troppi e ne cito disordinatamente solo i principali: i rapporti all’interno del mondo della ricerca, i rapporti tra Milano e il Governo nazionale, il problema dello sviluppo economico del Paese e dei suoi punti di forza, il problema dell’assetto urbanistico di Milano e della Città metropolitana e dunque del che fare nel dopo Expo.

Leggendo le cronache però un interrogativo non può essere taciuto perché si parla di fondi pubblici per la ricerca destinati a enti privati già concessi o da concedere: i prodotti di ricerca sono pure essi pubblici? ossia di pubblico dominio in modo che vadano a beneficio della collettività, intesa anche come collettività delle aziende nazionali?

Una bella sfida per i giovani leoni della politica.

 

Luca Beltrami Gadola

 

 



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