2 marzo 2016

IL FUTURO DI UN PAESE CON MENO CAMPANILI


Si parla molto del destino delle ex Province per cercare di capire quali funzioni, quali risorse e con quale assetto agiranno dopo il referendum costituzionale, tuttavia, quello che a volte viene omesso, è la stretta relazione che intercorre (o che perlomeno dovrebbe intercorrere) tra i futuri enti di area vasta e la riforma, per ora mancata, dei Comuni. La necessità di una riorganizzazione istituzionale italiana ha inizio con la Legge 142/1990 quando, per la prima volta, vengono introdotte (ma non attuate) le città metropolitane e le prime forme di cooperazione intercomunale, che avevano l’obiettivo di incentivare processi aggregativi tra i piccoli comuni.

03righini08FBUn intervento di razionalizzazione (e riduzione) del numero dei Comuni è da tempo auspicabile al fine di rendere le scelte politiche locali più efficaci e la pubblica amministrazione più efficiente. Infatti per il 70% dei Comuni italiani con meno di 5.000 abitanti è sempre più difficile soddisfare le reali necessità dei cittadini a fronte di processi economici e territoriali che hanno spostato le dimensioni decisionali ad una scala superiore e di una crisi della finanza pubblica che ha pesato soprattutto sugli enti locali più piccoli.

Anche Piero Fassino, in qualità di Presidente dell’ANCI, nel 2014 aveva proposto di portare a 2.500 gli attuali 8.000 Comuni, eliminando quelli con meno di 15mila abitanti. Tuttavia è inutile nascondere che il tema è fortemente impopolare. Dagli anni Novanta sono stati fatti numerosi interventi normativi, che hanno integrato la disciplina con l’istituto delle convenzioni, delle Unioni e delle fusioni, prevedendo forme flessibili di cooperazione e agendo sugli incentivi economici (statali e regionali) per favorire le aggregazioni.

A partire dalle necessità di contenere la spesa pubblica sono poi stati emanati due provvedimenti: il D.L. 78/2010 che imponeva ai comuni con meno di 5.000 abitanti l’obbligo di gestire in forma associata, mediante unione o convenzione, le proprie funzioni fondamentali e poi il D.L. 138/2011 che prevedeva la soppressione dei Comuni con meno di 1.000 abitanti. Entrambi disattesi.

Solo la Legge 56/2014 (legge Delrio) ha tentato di superare alcune criticità semplificando le procedure previste e inserendole in un testo di legge complessivo con il quale sono state istituite le città metropolitane e riformate le Province. Tuttavia a oggi i risultati ottenuti non possono considerarsi soddisfacenti anche per le continue proroghe concesse (a oggi l’obbligo di gestione associata tramite Unione per i Comuni con meno di 5.000 abitanti è stato rinviato al 31/12/2016).

Nei contesti internazionali del Nord Europa il tema della riorganizzazione degli enti locali è avvenuto secondo tre principali strade:

1) Metodo delle fusioni con il quale si è risotto il numero dei Comuni e aumentato la dimensione territoriale e demografica dei rimanenti. In Olanda in circa 60 anni il numero dei Comuni è stato dimezzato;

2) Metodo della cooperazione volontaria con il quale si sono incentivate forme di collaborazione tra Comuni per l’erogazione di specifici servizi o per l’elaborazione di piani e progetti. In Germania la regione di Monaco, per aggirare la centralità del capoluogo, ha elaborato la pratica del confidence building: un approccio più informale, un vero e proprio esperimento di flexible governance che, attraverso la formazione di associazioni intercomunali, trattano di temi che vanno dalla pianificazione strategica alla gestione dei trasporti;

1) Istituzione di istituzioni metropolitane per governare le principali città con i rispettivi hinterland. La Francia, dopo un lungo percorso di intercomunalità ha approvato nel 2014 la legge che istituisce le città metropolitane per le principali città francesi, ognuna con uno statuto speciale e integrabile.

Le differenti tradizioni storiche e amministrative dei singoli Paesi ha certamente influenzato approcci e strumenti diversi (bottom-up / top-down) ma l’obiettivo condiviso è quello di migliorare l’efficienza e l’efficacia dell’azione pubblica consentendo ai territori di essere competitivi a fronte di dinamiche in cui la localizzazione di funzioni di qualità di gioca a livello globale.

Economie di scala e condivisione di investimenti sono di certo aspetti positivi che però rappresentano solo una conseguenza di quello che deve diventare un nuovo modo di intendere il governo locale, al quale è richiesta una forte capacità di programmazione e progettazione strategica per delineare il futuro del proprio territorio. All’interno di questo processo i temi della rappresentanza e della partecipazione democratica sono fondamentali per passare da una concezione burocratica di ente a quella civica e politica di comunità locale.

Questi temi risultano assenti nell’attuale dibattito, tutto centrato sul taglio delle spese degli enti locali. È invece necessario guardare più in là per definire un nuovo assetto istituzionale che preveda l’aggregazione di Comuni con criteri demografici e di continuità territoriale a cui attribuire parte delle funzioni delle ex Province, confermare per i nuovi enti di area vasta un ruolo di coordinamento e gestione di funzioni di rilevanza territoriale (rete stradale, edilizia scolastica, ambiente ma anche pianificazione territoriale), e infine (ri)lanciare il ruolo delle neonate città metropolitane dotandole di strumenti e di risorse finanziarie per poter essere quei “motori dello sviluppo del Paese” a cui fa riferimento la stessa legge Delrio.

Un testo di legge interessante che affronta questi temi in modo strutturale è la riforma degli enti locali approvata dalla Regione Sardegna, con Legge del 27/01/2016, che prevede un complessivo riordino dell’assetto istituzionale. I punti più importanti sono:

– Ogni Comune al di fuori della città metropolitana di Cagliari è obbligato a entrare in un’Unione;

– Sono istituite tre tipologie diverse di Unioni di Comuni, a seconda della dimensione demografica: Unione dei Comuni (con 4 o più Comuni contermini e con popolazione complessiva maggiore di 10.000 abitanti), Rete Urbana (con un Comune con più di 30.000 abitanti) e Rete metropolitana (con due Comuni con più di 30.000 abitanti);

– Tutte le funzioni delle ex Province vengono assorbite dalle Unioni con eccezione di quelle fondamentali (gestione stradale, edilizia scolastica e ambiente);

– L’assemblea dei sindaci propone al Consiglio Regionale la perimetrazione dei nuovi Ambiti Strategici Territoriali che sostituiranno le Province e avranno come funzione, oltre a quelle fondamentali, la programmazione dello sviluppo;

– Istituzione di Forum sociali quali organismi di raccordo tra cittadini e amministrazioni comunali che potranno intervenire con espressione di pareri sulle scelte urbanistiche e con gli strumenti del bilancio partecipativo sulla programmazione economica.

Questa legge, certamente aiutata dall’autonomia rafforzata della Regione Sardegna, ha il merito di affrontare in modo organico il tema della riorganizzazione dell’assetto amministrativo a seguito della Legge Delrio, con modalità che prevedono il ricorso combinato ad approcci dal basso (la perimetrazione delle Unioni è demandata alla volontarietà dei Comuni, la definizione degli ambiti strategici è demandata all’assemblea dei sindaci) e dall’alto (obbligo per tutti i Comuni di associarsi, taglio dei trasferimenti per gli inadempienti) ma anche con la previsione di strumenti di natura partecipativa per le comunità locali.

In questo modo viene riconfigurato il ruolo degli amministratori locali, che avranno l’opportunità di prendere parte con autorevolezza a processi decisionali più ampi relativi alle politiche di governo del territorio, di mantenere la rappresentanza identitaria dei propri elettori uscendo però dalle dinamiche “di campanile”, imparando a interagire con gli interessi di comunità più vasta e di essere nelle condizioni di offrire ai propri cittadini servizi di qualità migliore.

Con una legge di questo tipo è possibile superare quell’ideologia localista che ha generato frammentazione e inefficienza a favore di un approccio più lungimirante, in grado di promuovere lo sviluppo del proprio territorio anche attraverso un’azione innovativa della propria struttura amministrativa.

Il tema della riorganizzazione è certamente complesso e le resistenze al cambiamento forti ma per delineare un assetto istituzionale all’avanguardia e una pubblica amministrazione in grado di rispondere alle sfide del futuro non si può tergiversare oltre nell’avviare un’operazione decisa di razionalizzazione dei Comuni, che senza pregiudicare il loro ruolo di rappresentanza identitaria, li metta nelle condizioni di governare il cambiamento.

 

Serena Righini

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti