2 marzo 2016

musica – AMAREZZE


AMAREZZE

L’altra sera, attratto da una colonnina sul Corriere della Sera che annunciava il meraviglioso programma proposto da una Associazione con un nome nobilissimo – la “Associazione Mozart” nata nel 1991 nella città di Rovereto, prima tappa dei suoi viaggi in Italia, per il bicentenario della morte di Wolfgang – mi sono lasciato convincere ad andare in San Marco ad ascoltare il famoso Concerto per pianoforte e orchestra K. 491 in do minore, preceduto e seguito da due capolavori di Beethoven, l’Ouverture del Coriolano e la Quinta Sinfonia. Come sottrarsi a cotanto fascino?

Innanzitutto la composizione del programma: tutte e tre i pezzi sono in do minore, cioè nella tonalità che ha scolpito le opere più tormentate e dolenti del passaggio fra il sette e l’ottocento come la Sonata K. 457 di Mozart, le Sonate per pianoforte opera 13 (la Patetica) e opera 111 (l’ultima) di Beethoven ma anche la sua Fantasia per pianoforte, coro e orchestra op. 80 e il terzo Concerto per pianoforte e orchestra opera 37, il Quartettsatz D.703 e la Sonata D.958 di Schubert. In secondo luogo il concerto K. 491, che è una delle opere più tragiche e fra le meno eseguite di Mozart.

musica08FBInfine l’idea di sentire una Quinta di Beethoven incorniciata dalle volte della chiesa di San Marco, con tutto ciò che di storia della musica quel luogo porta in sé (la dimora di Mozart a Milano, il Requiem di Verdi per l’anniversario della morte del Manzoni, le Cantate e le Passioni di Bach della Società del Quartetto e così via di suggestione in suggestione). Insomma, come non restarne affascinati? Noi che non siamo musicisti di professione e che non viviamo nel mondo dei musicisti – e soprattutto non ci facciamo troppo attrarre dal loro star system – siamo facilmente catturabili da un bel programma, da un ambiente particolare, dalla speranza di scoprire talenti ancora poco conosciuti.

Mal ce ne incolse. Fin dalle prime battute del Coriolano si è capito che l’orchestra – se pur costituita da ottimi singoli elementi – era di quelle messe insieme per l’occasione, senza coesione, che quand’anche avesse avuto i numeri per fondere intenzioni e strumenti, non poteva aver provato abbastanza per trovare un comune sentire. Il direttore si esibiva in gesti scomposti, pleonastici, esuberanti fino a rasentare il grottesco. L’orchestra andava per conto suo fidando solo nella professionalità dei singoli professori. E in tutto questo i due temi del Coriolano – quello bellicoso dell’eroe protagonista (in do minore) e quello dolce della madre che lo implora di desistere dalla guerra (in mi bemolle maggiore) – vengono impastati uno con l’altro privi di quella contrapposizione che è essenza stessa e fondamento della poetica beethoveniana.

Arrivati al Concerto di Mozart ci si è accorti che il pianista era purtroppo molto lontano dallo spirito mozartiano e non ne penetrava le ragioni. Il K. 491 è il penultimo dei concerti per pianoforte e orchestra di Mozart, porta la data del 1786 e cioè l’anno delle “Nozze di Figaro” e della “Sinfonia in re maggiore” K. 504 (la cosiddetta “Praga”), ha un organico molto esteso (archi, flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 corni, 2 fagotti, 2 trombe, timpano) e fa paura ai pianisti per la sua difficile interpretazione. Al pari delle ultime Sonate e degli ultimi Quartetti di Beethoven è un’opera che non guarda al passato, non sembra affondarvi le radici, piuttosto si proietta nel futuro anticipandolo di decenni. Sembra scavalcare il romanticismo incipiente per addentrarsi in una ricerca quasi metafisica di pura astrazione dei suoni. Per altri versi, invece, si allontana dal classicismo viennese e sembra riallacciarsi piuttosto al Bach dell’ottavo Preludio in mi bemolle minore del “Clavicembalo ben temperato” o della venticinquesima Variazione delle “Goldberg”. Mozart sperimentava, e se nelle Nozze di Figaro l’esperimento era superare l’opera buffa per porsi obiettivi di carattere politico e sociale, se nella Sinfonia di Praga era drammatizzare i contrasti tematici anticipando il sinfonismo beethoveniano, nel Concerto in do minore – complice anche la scelta di quella tonalità – il “drammatico” diventava “tragico” assumendo un carattere inusuale per Mozart.

Cristiano Burato ha suonato invece tutto il concerto cogliendone soprattutto gli aspetti lirici, valorizzando la piacevolezza del cantabile senza affrontare la vertigine della profondità. Anche nella scelta del primo bis – la trascrizione per pianoforte della “Danza rituale del Fuoco” dal balletto “El amor brujo” di Manuel de Falla – ha dimostrato la distanza dalle ragioni dell’opera mozartiana (avvicinare le due opere è come sferrare un pugno nello stomaco degli ascoltatori); nel secondo bis, poi, ha inspiegabilmente letto una delle più celebri Sonate di Domenico Scarlatti come se fosse un pezzo di colore di Stravinskij piuttosto che una toccata settecentesca pensata per il clavicembalo.

Infine la Quinta Sinfonia di Beethoven. Credo che una delle imprese più difficili che possa affrontare oggi un direttore d’orchestra sia dirigere una delle grandi Sinfonie di Beethoven – la Terza, la Quinta, la Sesta, la Settima, la Nona – dopo le tante e spesso straordinarie esecuzioni che ne abbiamo ascoltato dal vivo e le tante registrazioni che ascoltiamo abitualmente interpretate da grandi direttori. Un’impresa impossibile se non si è in condizioni ideali e cioè con un’orchestra perfetta e perfettamente preparata, avendo potuto concertare ogni dettaglio in un numero sufficiente di prove, suonando in una sala dall’ottima acustica, persino in presenza di un pubblico adeguato (in questo caso, prima del concerto, uno speaker ha invitato il pubblico non solo a spegnere i telefoni cellulari ma anche a non alzarsi prima della conclusione del concerto!). Il direttore d’orchestra e promotore di questa impresa – Aldo Bernardi, che con il suo smisurato e bulimico curriculum vitae occupava tre quarti del programma di sala – non aveva a disposizione nulla di tutto ciò, neppure un gesto felice e tanto meno un’idea forte e chiara dell’opera beethoveniana.

È vero che Milano, come ho più volte ripetuto in queste note, è una delle capitali europee della musica classica, ma proprio per questo bisogna fare attenzione a evitare capitomboli.

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 

 



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