17 febbraio 2016

VOGLIAMO SALVARE IL DESIGN? LIBERIAMOCI DALLA RETORICA SUL MADE IN ITALY


Se il design italiano vuole andare avanti con una posizione di primato a livello mondiale, deve liberarsi dai luoghi comuni che ruotano attorno al settore. Buoni per i comizi dei politici, rischiano di coprire i problemi, alimentare illusioni, farci scoprire troppo tardi che il re e nudo. Il Made in Italy, la manifattura e l’artigianato, oltre ai distretti e alla distribuzione, sono le parole più scivolose.

07patti06FBParola di Chiara Alessi, giornalista e saggista, membro della famiglia che ha dato il nome a una delle più importanti società di design italiano e autrice di Design senza designer, appena pubblicato da Laterza (125 pagine, 13 euro).

La prima illusione riguarda il “Made in Italy”. Il termine, si legge in Design senza designer, va ripulito da una serie di goffaggini, distrazioni, leggerezze, quando non vere scorrettezze, che hanno reso questa etichetta, agli occhi dell’opinione pubblica nostrana, uno slogan finto, vuoto e in certi casi pure un po’ passato, vecchio.

«Anni fa un progettista di posate avrebbe saputo distinguere immediatamente dove ciascuna era stata prodotta, giudicandone la qualità. Oggi un prodotto realizzato nel Far East, a parte manufatti molto complessi, può avere la stessa qualità di uno uscito da un impianto italiano. Oppure ci sono tipi di lavorazioni che in Italia proprio non si fanno», spiega. Per questo dietro la logica del back-reshoring, il ritorno delle imprese in Italia dall’estero, la qualità della fattura c’entra solo fino a un certo punto. «C’entrano la logistica più flessibile che assicura l’Italia, il rischio geopolitico di Paesi instabili, ma c’entrano anche fattori immateriali. Soprattutto c’entrano le persone».

Si tratta di avere un beneficio di immagine, ma c’è anche dell’altro. È quell’equilibrio tra progettazione, prototipazione, comunicazione e servizio che fa sì che, anche oggi, i designer più importanti del mondo scelgano spesso l’Italia. È un bene immateriale che le battaglie sulla protezione del Made in Italy non possono cogliere, perché legate alla produzione fisica di un oggetto. «Ma è quello su cui bisogna concentrarsi, perché, anche se l’opinione pubblica si può scandalizzare, una caffettiera in cui solo la pressofusione finale avviene all’estero può essere – e di fatto è – un prodotto considerato al 100% italiano. Al tempo stesso, se la consideriamo una “cineseria”, il problema è in qualche errore che si è consumato spesso in Italia».

Anche sull’artigianato è necessario mettere le cose nella giusta prospettiva …. Per continuare a leggere su LINKIESTA clicca qui



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