17 febbraio 2016

TUTTA COLPA DI PISAPIA: UN ALIBI BEN RACCONTATO


Sconcerto rabbia spaesamento: a tanti giocatori (tra gli elettori) delle primarie sono rimaste in mano delle carte sparigliate, i conti non tornano. E risalita la china delle responsabilità lo scaricabarile è immediato: tutta colpa di Pisapia. Ne siamo proprio sicuri? Il passatempo collettivo (a sinistra) sembra più dedito a distribuire colpe, molto meno ad assumersi responsabilità. In definitiva tutti minorenni, o se vogliamo in stato di minorità. “Minorità è l’incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro. Colpevole è questa minorità, se la sua causa non dipende da un difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi di essa senza essere guidati da altri. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!” così ci esortava Kant.

09mattace06FBQueste primarie hanno sotteso un discorso, che si fa interessante, quello che ha per soggetti un io e un noi, che oscillano tra dimensione pubblica e privata, in diverse combinazioni.
E’ “l’oscillazione tipica della vita sociale tra polo privato dell’Io e il polo pubblico del Noi” che rispecchia atteggiamenti e generazioni, come anche la relazione tra candidato e sostenitori – “Non lasciatemi solo”, la retorica della partecipazione, la ricerca del consenso per legittimare una posizione di rappresentanza. Discorso quello dell’io e del noi che si intreccia alle riflessioni sulle leggi elettorali – l’elezione diretta del sindaco e la (non) rappresentatività del Consiglio Comunale – e a quelle sul modello imperante della “democrazia del leader” [Calise]. Si inscena  in questi giorni la rivolta del territorio per la scelta di sindaci promossi dal leader nazionale (“senza territorio”): un movimento che non accetta il risultato delle primarie, perché la premessa stessa è considerata inaccettabile … .

Si discute del modello di leadership (e un manager nella cultura aziendale è innanzitutto un leader). La questione si fa intrigante perché le ragioni per cui i più hanno propeso per il Sala manager (e quelle con cui lui si è proposto) sono in controtendenza con le evoluzioni attuali: “Nasce la leadership diffusa l’azienda dà l’addio all’uomo solo al comando”. Come sembra paradossale che gli interpreti della MilanoIN che considerano “l’impresa corporate perlopiù culturalmente “arretrata”, modello che incentiva conformismo, basata su modelli gerarchici e piramidali. In breve non in sintonia con i linguaggi dell’apertura, della circolazione di conoscenza, del decentramento che danno forma all’universo simbolico degli innovatori”(1) abbiano scelto il modello dell’uomo di potere.

In questo tormentone della (ri)candidatura di Pisapia il lessico (e i comportamenti) sono stati da successione dinastica: tra king maker e delfine è sembrato più una querelle borbonica che una narrazione collettiva. È prevalso l’io (Cronos?). C’è da chiedersi dove fosse finito questo famoso popolo della sinistra (il noi della questione) che sembra essersi perso via lamentando l’assenza di interlocuzione con l’amministrazione senza costituirsi “classe dirigente”, che difficilmente un singolo Pisapia l’avrebbe potuta creare da solo (!).

Ma il nocciolo della questione, tra l’io e il noi, è il potere, che nei fatti dovrebbe essere il vero obiettivo della contesa. E quello che colpisce è una generazione che sembra averci rinunciato in partenza, che ha considerato che il nemico fosse invincibile (sbagliando le misure?) e scortato nei fatti una battaglia di testimonianza. Di purezza o di ingenuità. Che non ha voluto considerare che le condizioni al contorno erano cambiate, al di là della primogenitura, e si è rifugiata nel fascino di una candidatura di vessillo e in una campagna esemplare. Per chi? Centrata sul processo (il noi) e condotta sul prodotto (l’io – Majorino). Un giocatore di beach volley che non modifica il colpo anche se è cambiato il vento.

Un blocco generazionale (“la generazione non ha nulla di oggettivo e solo in parte discende da confini anagrafici. È sempre questione di esperienze sociali che entrano in risonanza”) che non ha avuto la forza / interesse / idea di proporsi e poi di scendere a patti. Beato isolamento e beata illusione. Si certo possiamo anche ben dire l’errore è stato di Pisapia e cerchi magici più o meno allargati, di Balzani stessa a sagomarsi sul modello passato e a scartare con fughe in avanti, ma chiunque si proponga di diventare sindaco deve essere grande abbastanza per riconoscere la nudità del padre e coprirlo. Oppure stavamo solo giocando.

Giulia Mattace Raso

 

(1) dall’abstract della ricerca “Nuova economia leggera e innovatori diffusi a Milano: soggettività e politica” condotta dal Consorzio Aaster



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