17 febbraio 2016

la posta dei lettori_17.02.2016


Scrive Andrea Vitali a proposito di Pd e primarie – Quelli del Pd sono anni che ripetono la loro formuletta per cui, se si vuole vincere, bisogna spostarsi al centro. Tanto è vero che, la prima volta che per sbaglio e quasi senza volerlo hanno presentato un candidato di sinistra (Pisapia), hanno vinto. Ooooh, ma come era possibile? Non sono ancora riusciti a capacitarsene, tanto è vero che stavolta hanno fatto le cose per bene, e sono riusciti a tornare al vecchio schema del candidato centrista (un po’ come quelle squadre un po’ spompe che hanno un solo modulo e un solo schema di attacco, per cui anche se gli capita di vincere una partita per sbaglio, subito tornano al vecchio modulo, è l’unica cosa che sanno fare …). Forse mi sbaglierò, ma ho l’impressione che il mondo sia un po’ cambiato. I vecchi tempi, in cui bisognava blandire i “poteri forti” e cercare di conquistare le signore del centro, che tanto i ceti popolari erano per definizione dalla nostra parte, mi sembrano passati. La crisi ha picchiato duro, e mi chiedo che appeal possa avere un ex manager di Pirelli su chi non riesce ad accedere un mutuo per avere una casa o deve arrabattarsi in mille lavori precari. Spero di sbagliarmi, ma chi pensava che una volta vinte le primarie, poi fosse tutta discesa … ho paura che rischi di essere smentito.

Scrive Cesare Mocchi a proposito delle candidature del centro-sinistra – Amaro ma condivisibile il commento di Beltrami Gadola: Pisapia è stato messo (si è messo) tra parentesi, la “rivoluzione arancione” è durata il tempo di un mattino, come le primavere arabe, hanno vinto – come dice Marossi – i “riformisti” (anche se non si capisce bene che riforme vogliano fare, se non continuare le politiche dei predecessori di centrodestra, solo mettendosi loro a schiacciare i bottoni nella famosa stanza, questo sembra il loro unico obbiettivo). Ma, ancora peggio, quale sarà l’eredità della Giunta Pisapia? (la legacy, come si dice adesso.)

Qui purtroppo ha ragione Parisi: la prossima amministrazione rischia di trovare i cassetti desolatamente vuoti. Quali nuovi progetti, quali idee sono state lanciate? È stato fatto Expo, giusto, la piazza Gae Aulenti, è stata avviata M4: tutte cose della Moratti, però. Anche la Darsena in realtà è un vecchio progetto (risale minimo alle Giunte Pillitteri) e neanche il blocco del megaparcheggio sotterraneo l’ha fatto quest’amministrazione; e delle periferie e del problema della casa ci si è ricordati solo in campagna elettorale. Giusto Area C è nuova ma imposta a furor di referendum, le titubanze non sono state poche.

Tutto per non apparire troppo “estremisti”, per non spaventare troppo i moderati, cosa che sembra essere stato l’obbiettivo principale di questi anni. Corretto per carità cercare di ampliare l’area del consenso. Ma in questo continuo strizzare l’occhio a Lupi e Formigoni, e vituperare un’ipotetica sinistra “estrema” (che a Milano perlomeno è quanto mai mansueta: quali problemi o polemiche ha sollevato in cinque anni di amministrazione?) vedo più un furore ideologico, una distanza culturale, che un ragionamento tattico. È come se la parte “governativa” della coalizione di centrosinistra si sentisse più affine all’NCD che a un gentiluomo come Basilio Rizzo (che è stato scaricato a priori, assieme a socialisti e radicali, non si capisce bene perché).

Insomma, si vedrà da come andrà a finire. Personalmente credo che chi ha puntato su Sala spaccando a sinistra la coalizione originaria abbia fatto un errore. Non solo perché un motivo di successo di tutti i movimenti politici in generale è la capacità di far convivere al loro interno “destra” e “sinistra” (ovvero pragmatismo e utopia: e non solo i movimenti progressisti, basti vedere le capacità in tal senso di una Chiesa cattolica, o della destra americana), ma anche perché non si capisce bene come mai gli appartenenti al ceto moderato, di fronte alla scelta fra Sala e Parisi, debbano scegliere il primo e non il secondo. È un vecchio gioco del centrosinistra milanese, infatti, quello di presentare un candidato Sindaco “moderato” per rassicurare al centro (i Fumagalli, i Ferrante… ricordate?) e si sa com’è finita: qualche giorno prima delle elezioni, basta mandare qualche fascista provocatore in Corso Buenos Aires, o portare il papà in carrozzella alla manifestazione del 25 aprile, ed è fatta.

Insomma, fermo restando che alla fine spero prevalga il candidato di centrosinistra, queste elezioni in cui bisognerà scegliere fra un Albertini-ter e un Moratti-bis (o ter?) non le vedo tanto bene. Ma credo si debba smettere di parlare di “sindrome-Liguria”. Bisognerà parlare invece di “sindrome-Renzi”, perché mi sembra chiaro chi è che ha deciso di spaccare per primo.

 

Scrive Alessandra Nannei a proposito del post primarie – Un’analisi che ha colto il cuore del problema, quella di Beltrami Gadola. Soprattutto sulla delusione della giunta Pisapia, l’incapacità di rinnovarsi un immobilismo soporifero. I milanesi hanno tentato diverse strade, ma evidentemente la selezione della classe politica non funziona.

Scrive Alessandro Aleotti a proposito di bilanci post primarie – Complimenti al bravissimo Marossi per la lucida, esatta e coraggiosa disanima delle conseguenze “umorali” delle primarie. Purtroppo per il peso dell’articolo di Marossi, ma per fortuna per Milano, qui non siamo a Washington e tutta questa sovrastruttura descritta intorno alle figure citate non ha alcun significativo sottostante di rappresentanza sociale e nemmeno di potere reale. Insomma, si tratta solo di “umori” poco più che privati. L’unico aspetto rilevante mi pare la progressiva costruzione di una figura di sindaco abituata a un pragmatismo realizzatore (Sala, Parisi, Passera). L’ordinaria amministrazione sarà in mani molto più solide e competenti che in passato, mentre per tutto il resto ci pensano i poteri autentici. Al cosiddetto circuito politico restano le passeggiate in bicicletta, le ronde anti-immigrati e i salottini delle tv. Dispiace constatarlo, ma Guy Debord ha avuto ragione.

Scrive Pietro Vismara a proposito di sinistra- sinistra– Adesso il nuovo mantra è: quando si arriverà al probabile ballottaggio Sala-Parisi, la sinistra-sinistra (ovvero semplicemente la sinistra non PD: ambientalisti, ecc.) cosa farà? Mica vorrà votare il candidato sostenuto da De Corato e dai Fratelli d’Italia … . Vorrei ribaltare il ragionamento: se ipoteticamente dovessero arrivare al ballottaggio Parisi e un rappresentante della sinistra-sinistra (Civati o chi per lui), cosa voteranno Bassetti, Tabacci o De Albertis? Insomma, comunque vada, c’è qualcuno che ha già vinto (e non sono certo i ceti disagiati, caro Majorino …).

Scrive Ernesto Giorgietti a proposito degli ultracorpi edilizi – Segnalo un macroscopico esempio di questa deriva di “ultracorpi”. Trattasi della Piazza Cadorna ove sul lato di chiusura verso Foro Bonaparte in adiacenza al palazzo Montedison è stato ridisegnato il prospetto di un edificio per uffici degli anni 70. Non do’ alcun giudizio sul nuovo disegno, ciò che è assolutamente aliena è la scelta progettuale di sopralzare tale edificio ben oltre la linea si gronda del palazzo Montedison con un piano assolutamente vuoto. Trattasi di sei finestre attraverso le quali si vede il cielo e il tutto completato da un cartellone pubblicitario di pari altezza a rimarcare la voluta rottura spaziale. In questo caso non c’e neppure l’alibi del recupero del sottotetto, è unicamente una scelta “estetica”. Segnalo che sul lato opposto della Piazza Gae Aulenti aveva sapientemente incluso nel suo progetto di recupero micro urbanistico anche la “ricucitura” edilizia dell’orrendo palazzo anni ’60, sede di FNM, il tutto evidentemente con ben altri criteri progettuali e sensibilità, oggi non più di moda. A fronte di un simile “ultracorpo”la domanda che si pone il semplice cittadino non può che essere: ” ma perché?”, “ma si può?”.

Scrive Fabrizio Schiaffonati a proposito degli ultracorpi edilizi – Caro Zenoni, come sai condivido le tue pertinenti osservazioni a partire da alcune impostazioni che assieme introducemmo in Commissione Edilizia. Mi sembra che quei riferimenti si siano persi del tutto in uno scenario conformista del dibattito architettonico (Triennale, riviste, Commissione Paesaggio, ecc). Ci sarebbero gli spunti per una mobilitazione culturale allargata? Io penso di sì. Una carta sui valori del contesto urbano. Una carta di Milano? Diversamente nel post Expo ne vedremo delle belle, nella scia dello scempio di piazza Castello. Fido nella tua intraprendenza non più giovanile … .

Scrive Sergio Brenna a proposito dell’articolo degli ultracorpi edilizi – Interessante analisi quella di Zenoni, ma vi è un punto su cui dissento, cioè quando sostiene che: “Dobbiamo ricordare che tutto ha origine dalla legge per l’utilizzo dei sottotetti che partita come interessante metodologia di intervento per utilizzare volumi esistenti in modo diffuso senza pesare sulle urbanizzazioni”. Qui sta l’errore originario: pensare che in tessuti urbani storici nati con densità edilizie già abbastanza elevate e non adeguatamente dotate di spazi soprattutto di parcheggio si possa impunemente aumentare la quantità edificatoria contando solo sulle urbanizzazioni e sul trasporto pubblico preesistenti. È lo stesso rischio che traspare nell’ormai dilagante acritico consenso alle proposte legislative sull’azzeramento del consumo edificatorio di nuovo suolo, quando si accompagna a norme e prassi derogatorie su un ragionevole rapporto tra riedificazione e spazi pubblici, nel riuso del territorio già edificato. Il fatto poi che “l’ultimo piano alto 2,40 è solo una “Bad-Home”, differenza fondamentale per la qualità della vita” è certamente vero, ma è solo un corollario dell’errore principale. Se si potesse dimostrare (e resto convinto che non sia così) che è sostenibile un aumento di densità edificatoria in taluni contesti, tanto varrebbe far edificare corpi edilizi di buona qualità abitativa a tutti gli effetti, anziché queste sopraelevazioni demi-vèrges.

 

 

 



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