17 febbraio 2016
THE END OF THE TOUR
di James Ponsoldt. [USA, 2015, 106]
Con Jesse Eisenberg, Anna Chlumsky, Jason Segel, Mamie Gummer, Joan Cusack
È il 12 settembre 2008 e David Foster Wallace si toglie la vita. Non appena riceve la notizia David Lipsky, giornalista di Rolling Stones, scuote la testa, cerca dei nastri che ha registrato e ritorna con la memoria al 1996, ai cinque giorni passati con lo scrittore. In quell’anno era uscito Infinite Jest, un libro di Wallace, un capolavoro di 1079 pagine che incollava i lettori fino alla fine. Lipsky aveva convinto il suo caporedattore a commissionargli un servizio su David Foster Wallace ed era partito per Bloomington nell’Illinois. Voleva raccontare il genio che era la voce di chi non riusciva a raccontare un presente frammentato, sfuggente, a volte squallido, irraccontabile.
Ammirato e incuriosito, anche il giornalista scrive romanzi (ad es. Art Fair) ma con minor successo, raggiunge David Foster nella sua casetta in mezzo alla neve con la sola compagnia di due cani.
David Foster insegna scrittura creativa all’Università dello stato e Lipsky lo segue durante le lezioni, prende con lui un aereo e lo accompagna alle presentazioni del suo libro a Minneapolis. Sempre armato di registratore, il reporter tenta di entrare nella vita dello scrittore di successo, di scoprirne aspetti segreti, ma Wallace, che conosce sia la comunicazione sia il marketing, come dimostra il suo romanzo, è abile a fermarsi, a non volersi scoprire. I libri sono una cosa, i loro autori un’altra, proprio come i figli e i genitori. È ossessionato da ciò che l’altro David scriverà di lui (Ok comparire su Rolling Stones, ma non voglio sembrare uno che fa di tutto per comparire su Rolling Stones).
Così le conversazioni tra i due sono frammentarie, sospese. Il giornalista vorrebbe incalzare, sapere, forse vuole fare il pezzo della sua vita, ma l‘uomo che ha di fronte è geniale, complesso, contraddittorio, seppure incapace di relazionarsi con il mondo. Il giornalista vorrebbe da un lato fare il suo mestiere e ci prova e, dall’altro , si sente in obbligo di rispettare le fragilità dell’uomo che ha di fronte e che ha già tentato il suicidio.
È divertente scoprire che il solitario David Foster Wallace, che rifiuta di avere una tv, poi in tour si abbuffa di programmi televisivi, di film commerciali e che a casa si diverte a ballare negli spazi della Chiesa Battista.
Il film ricostruisce i giorni in cui i due David si sono frequentati, hanno condiviso cibo, saliva dei cani, conversazioni strampalate e raffinate. Tutte queste esperienze non si sono mai tradotte in un servizio per Rolling Stones, ma sono diventate, dopo la scomparsa di David Foster, un libro (Come diventare se stessi da cui il regista James Ponsoldt ha tratto il film).
Quello che più colpisce in The end of the tour è la capacità dei due attori protagonisti (Jason Segal – Wallace e Jesse Eisenberg – Lipsky) di incarnare perfettamente gli stati d’animo dei loro personaggi, due giovani con gli stessi interessi che avrebbero potuto diventare amici e si ha sempre l’impressione che siano lì lì per farlo. Poi, però, il ruolo di uno e la genialità e il terrore di scoprirsi troppo dell’altro frenano i loro sentimenti.
Ottima la colonna sonora di Danny Elfman.
Dorothy Parker
questa rubrica è a cura degli Anonimi Milanesi