10 febbraio 2016

14 FEBBRAIO 1966. CINQUANTA ANNI FA IL “CASO ZANZARA”


Il 14 febbraio del 1966 il giornale degli studenti del Liceo Parini di Milano La Zanzara pubblicava un’inchiesta (condotta da Marco De Poli, Marco Sassano e Claudia Beltramo Ceppi) che si intitolava “Un dibattito sulla posizione della donna nella nostra società, cercando di esaminare i problemi del matrimonio, del lavoro femminile e del sesso“.  Nell’inchiesta – che oggi verrebbe considerata “innocente”, ma che al momento costituì forte discontinuità in materia di dibattito pubblico giovanile e ancor di più in materia di diritto di parola nell’ambito scolastico – emersero le moderne opinioni di alcune studentesse del liceo sulla loro educazione sessuale e sul proprio ruolo nella società.

08rolando05FBL’associazione cattolica GS – Gioventù Studentesca protestò immediatamente per “l’offesa recata alla sensibilità e al costume morale comune” in quanto non solo uno degli argomenti trattati (l’educazione sessuale) veniva considerato “osceno”, ma anche perché le intervistate erano tutte minorenni. Il quotidiano milanese del pomeriggio Il Corriere Lombardo spalleggiò questa protesta aprendo anche una vertenza mediatica attorno al caso. La polemica si trasferì in denunce e la discussione divenne un caso giudiziario.

Scoppia il caso a Milano e in Italia. Il 16 marzo 1966 i tre redattori vennero accompagnati in Questura e denunciati. Il giudice Pasquale Carcasio invitò i tre studenti, seguendo una legge del 1934, a spogliarsi “per verificare la presenza di tare fisiche e psicologiche“. Reso noto quanto accaduto, scoppiò un putiferio. Il coordinamento della stampa studentesca milanese (allora denominato CMI e che in quell’anno mi vedeva come responsabile, avendo diretto l’anno precedente il giornale degli studenti del liceo Carducci Mister Giosuè), promosse una mobilitazione delle testate studentesche della città e quindi degli studenti medi a difesa dell’operato dei loro colleghi. Per la prima volta dal tempo della Resistenza gli studenti delle scuole superiori milanesi proclamarono quattro giorni di sciopero. Dibattiti e manifestazioni avvennero a Milano, in Lombardia e in molte altre città italiane.

Il caso de La zanzara a questo punto rimbalzò sulle cronache nazionali, dividendo prima la città poi l’intero paese. Il Corriere della Sera cercò di barcamenarsi ma diede sostanziale spazio alle voci di chi gridò allo scandalo. Così che L’Espresso (con articoli di Camilla Cederna, Eugenio Scalfari, Carlo Gregoretti e altri) guidò l’altro fronte. Larga parte della Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano costituirono il “partito della colpevolezza“, mentre la sinistra e i cattolici progressisti intervennero in difesa degli studenti. Interrogazioni furono firmate da parlamentari di tutti i gruppi nei due rami del Parlamento.

Al processo parteciparono oltre 400 giornalisti, molti dei quali provenienti dall’estero. Memorabile l’arringa del PM Oscar Lanzi che paragonò i tre studenti a promotori del sesso sfrenato “come girassero per i corridoi della scuola con un materasso legato alla schiena”. Accusati erano i tre studenti, ma anche il preside del Liceo Parini Daniele Mattalia e la titolare della tipografia di Via Boscovich 17, Aurelia Terzaghi, dove si stampava La Zanzara e anche il giornale degli studenti del Carducci Mr. Giosuè. Il collegio di difesa fu assicurato gratuitamente dai maggiori penalisti del tempo: Giacomo Delitala, Alberto Dall’Ora, Alberto Crespi, Giandomenico Pisapia, Carlo Smuraglia, Enrico Sbisà.

La sentenza. Il 2 aprile 1966 la sentenza pronunciata dal presidente Luigi Bianchi D’Espinosa assolse i tre studenti dall’accusa di stampa oscena e corruzione di minorenni. La sola titolare della tipografia ebbe un’ammenda. La Procura ricorse in appello e chiese la legittima suspicione per Milano, così che il processo venne replicato a Genova. Anche il processo di Genova confermò poi l’assoluzione. La Zanzara tornò ad essere pubblicata e tutti i giornali studenteschi milanesi ripresero il loro ruolo. Ma tra i risultati di quella vicenda si esercitò una maggiore stretta delle autorità scolastiche sull’autonomia delle redazioni e cominciò una stagione di censure preventive. Che fu uno dei fattori della successiva mobilitazione degli studenti medi e universitari (1967-68) nel quadro dei veri e propri moti del “sessantotto”.

La casa editrice Feltrinelli dedicò – in quel 1966 –  due libri a raccontare le due diverse fasi della vicenda. I giornalisti del quotidiano Il Giorno Guido Nozzoli e Pier Maria Paoletti scrissero la cronaca dettagliata e commentata del processo (La Zanzara. Cronache e documenti di uno scandalo, Feltrinelli, 1966) mentre toccò a me, appunto come coordinatore del Comitato Inter-studentesco Milanese, la cura del Libro bianco sulle associazioni e i giornali studenteschi di Milano (Feltrinelli, 1966) sulle conseguenti vicende di attuazione della censura preventiva (1).

Cosa fu e cosa accelerò. La vicenda “Zanzara” è stata considerata spartiacque in materia di diritti sociali e civili dell’intera società italiana e prodromo di quel cambiamento di costumi che avrebbe coinvolto da lì poco tutta la società italiana. Come si è detto il malessere giovanile sarebbe sfociato da lì a breve nelle contestazioni del “sessantotto”. Ma in un clima in rapida mutazione, in cui allo spirito ancora civico di questa vicenda (in cui l’obiettivo auto-educativo dell’associazionismo e della stampa studentesca si misurava, anche con forti toni, contro ogni etero-direzione, fosse quella di GS come quella delle federazioni giovanili di partito di destra e di sinistra) la guida del movimento fu assunta da gruppi estremisti sia cattolici che comunisti venati, in certe realtà, da gruppi anarchico-situazionisti.

Solo per lasciare una traccia di quella cultura pre-sessantottina, sia consentita la citazione di un frammento della mia introduzione (50 anni fa, scritta a 18 anni) proprio di quel “Libro bianco”, documento fermo di protesta e di mobilitazione ma nell’idea che il conflitto – anche grazie all’esito positivo del caso Zanzara – si sarebbe risolto in senso costituzionale e nel rispetto delle istituzioni repubblicane e della giustizia. Covava invece l’idea di sprangare gli avversari e, tra i più moderati di qualche anno dopo, lo spirito del “né con lo Stato né con le BR”.

Il caso Zanzara ha creato un apertissimo dibattito che vede impegnate due sostanziali concezioni della scuola e dell’educazione: l’autoritarismo da una parte (e con esso forme di errato moralismo e consumato paternalismo) e dall’altra un sano e schietto rapporto giovani-adulti che, non potendo necessariamente essere sempre paritetico, tenga comunque costantemente presente l’esperienza auto-educativa dello studente e di conseguenza la centralità della sua personalità”(2).

Pochi mesi dopo questi toni che, nel ’66 parevano “ribelli”, sarebbero stati banditi dalle scuole e dalle università. E con essi ogni forma di “riformismo” (compreso il grande sforzo del primo centrosinistra). Dopo la fiammata del ’68, la bomba del ’69 di piazza Fontana sancì la sterzata a destra della politica italiana e in campo – dopo un primo periodo radicale ma idealista – rimasero i cavalli di frisia ideologici di una battaglia che non solo non distrusse l’imperialismo americano (come si dichiarava radiosamente negli O.d.g. delle assemblee) ma non riuscì nemmeno a cambiare sul serio l’università “baronale”. Quanto ad alcuni diritti civili e di costume, invece, il caso Zanzara aprì le porte a cambiamenti reali; ed è per questo (e per il ruolo del contesto civico milanese in quegli anni e in quelli successivi) che questo cinquantenario meriterebbe un occasione di dibattito pubblico.

 

Stefano Rolando

 

(1) Riferimenti in Enzo Spaltro e Paolo De Carli  e di Paola Grego Lunghini

(2) Libro bianco, op. cit. pag. 5.

 

 



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