10 febbraio 2016

sipario – PREFERIREI DI NO


PREFERIREI DI NO
Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini

di Riccardo Mini dal testo di Giorgio Boatti (Einaudi 2001)
regia di Valentina Colorni
con Giovanni Di Piano, Mario Ficarazzo, Lorena Nocera, Francesco Oliva

 

Dopo il successo riscosso nel 2014-2015 di fronte al pubblico dei più giovani con le rappresentazioni anche al Politecnico di Milano e in teatri della provincia milanese, torna in scena nel cuore del capoluogo lombardo Preferirei di no, con il quale l’autore teatrale, narratore e drammaterapista Riccardo Mini, prosegue il suo programma di divulgazione, attraverso il teatro, di cultura e scienza (con la rassegna Teatro in Matematica).

sipario05FBLiberamente ispirato al libro di Giorgio Boatti, con la regia di Valentina Colorni e l’interpretazione di quattro collaudati attori del teatro milanese, lo spettacolo è un omaggio agli eroi silenziosi che nel 1931 si opposero al fascismo, rifiutando la facile retorica con cui la propaganda cercava di annullare la libertà individuale, uniformando gli individui in un “gregge nato per servire”, sottomesso a una nuova religione o fede. Durante il regime, su più di 1200 docenti universitari, solo 12 si rifiutarono di sottoscrivere il giuramento di fedeltà al fascismo, accettando di perdere la cattedra e subendo l’isolamento da tutto il mondo accademico. E non solo.

Il titolo del dramma testimonia la non violenza della loro decisione di mantenersi coerenti con la propria personalità senza piegarsi al servizio di una falsa democrazia, di non mortificare la scienza e la ricerca della verità per interesse materiale, di non fingere che morale e politica siano due ambiti separati e che firmare “con la mano infilata in un guanto” non contribuisca all’inaridimento della cultura e all’umiliazione della propria dignità.

«Preferirei di no» è un condizionale solo per eufemismo; è la risposta che il protagonista antieroe di Bartleby lo scrivano (il romanzo di Herman Melville) oppone a qualsiasi imposizione del “Sistema” nel quale vive, e dunque il segno di un coraggio garbato col quale si conduce una lotta silenziosa, con le povere armi di cui si dispone.

“No” è la testimonianza di una scelta (etica prima che politica), dolorosa e sofferta tanto quanto quella di quegli intellettuali che per “timore della miseria più che di qualsiasi guerra” dovettero allinearsi con un regime che, se i “No” fossero stati centinaia, sarebbe crollato su se stesso, con i suoi vuoti dogmi e la sua gestualità ridicola.

Le storie dei dodici personaggi e degli altri intellettuali che condivisero il loro dramma, sono ricostruite sulla base di documenti storici e rappresentate sullo sfondo di una scenografia essenziale, costituita da un enorme foglio di carta srotolato e da pochi oggetti. Qui si raccolgono nel corso dello spettacolo le tracce di vicende umane sofferte, schermaglie morali, rovelli ideologici e infine le firme apposte ai Manifesti contrastanti che circolarono tra gli accademici dell’epoca. Sul pavimento si addensano a centinaia i nomi di quanti giurarono fedeltà al regime, spesso non per convinzione né per viltà, ma per necessità economica e con la speranza di continuare a insegnare conoscenza e libertà ai propri studenti. Sullo sfondo della scena trovano invece posto gli autografi dei “sovversivi”: coloro che non accettarono il compromesso di una libertà dimezzata e rinunciarono a compiere qualsiasi “gesto formale” di sottomissione nel quale la loro coscienze etica non avrebbe mai saputo riconoscersi.

Gaetano De Sanctis, Giorgio Levi della Vida, Lionello Venturi, Ernesto Nuonaiuti, Pietro Martinetti, Mario Carrara, Vito Volterra, Bartolo Nigrisoli, Fabio Luzzato, Giorgio Errera, Francesco Ruffini ed Edoardo Ruffini,  furono i dodici professori che non “spiegarono” la libertà ma vollero viverla e testimoniarla con l’esempio, offrendo un insegnamento etico molto più importante di qualsiasi lezione accademica: dire “No” per scelta dovuta a se stessi e alla propria dignità intellettuale, morale e umana.

L’assenza di una reale distinzione tra “scena” e platea, con gli attori che si muovono tra gli spettatori e interagiscono col pubblico, dimostra come la recita non sia finzione separata dalla realtà, ma testimonianza preziosa della storia recente e monito circa l’impossibilità di considerare la libertà un diritto acquisito e la dignità un possesso indubitabile. Al contrario, esse sono frutto di una conquista continua, di una ricerca di coerenza etica e di una lotta che ciascuno combatte innanzitutto con la propria coscienza.

Chiara Di Paola

 

Teatro Arsenale 2- 12 febbraio 2016

via Cesare Correnti  11, Milano

 

 

 

questa rubrica è a cura di Emanuele Aldrovandi e Domenico G. Muscianisi

rubriche@arcipelagomilano.org



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