3 febbraio 2016

CANDIDATI MILANESI: CHI VE LO HA FATTO FARE?


Qualche giorno fa camminavo per le strade di un’elegante città dove mi trovavo per lavoro quando l’occhio mi cade su una vetrina, “solo oggi e domani sconto 75%” e come sempre in questi casi un’insana curiosità mi prende. Ahimè non solo di sconti si trattativa ma ben peggio, di sconti su libri e qui scattò la sindrome da acquisto compulsivo che mi accompagna da una vita ogni volta che vedo una qualsiasi libreria, meglio se scalcagnata. Per farla breve ne esco tra l’altro con uno splendido tomo dedicato alla vita quotidiana in DDR di svariate migliaia di pagine e del peso di almeno 8 chili (Beyond The Wall, Taschen edizioni). Sono soddisfatto e satollo nonostante il mal di schiena dovuto alla necessità di caricare un bagaglio a mano che avrebbe annichilito Ursus. Tuttavia passa poco e cominciano i sensi di colpa.

07marossi04FBA casa ogni volta che torno con libri, vedo i familiari interrogarsi sul se sia iniziata la fase della demenza senile, in ufficio la socia non s’interroga ne è certa e scuote la testa e quel che è peggio anch’io mi domando perché un altro libro? E vergognandomi come un ladro lo occulto ovviamente in mezzo ad altri acquisti quali l’opera omnia di Mickey Spillane (copertina nera rigida, quella con le scimmiette) e la Guerra Civil En 2000 Carteles (2 tomi, Jordi y Arnau Carulla 1997).  Invece che soddisfatto e satollo sono depresso e umiliato e mi domando: chi me l’ha fatto fare?

La medesima domanda che immagino a scadenza oraria si stia ponendo Giuseppe Sala. Convinto, a ragione, di aver offerto grande prova nell’evitare quelle figure barbine che tutti si aspettavano dall’Expo, sicuro dell’altissimo gradimento mostrato dall’informazione e dalla politica, certo di poter aspirare a qualsivoglia incarico manageriale paragovernativo (in fondo Renzi gli deve il miglior successo della sua governatura), sicuro di sé, il nostro cede all’insana vanità di voler fare politica direttamente, di essere eletto.

L’orgogliosa discesa in campo ottiene come primo risultato che tutte le idee intelligenti della gestione expo – bypassare lacci e lacciuoli burocratici in base ai quali staremmo ancora oggi a dover decidere chi doveva vendere i caffè, inventarsi un biglietto a 5 euro che trasforma l’Expo in un luogo dove non si devono solo ascoltare i 136 interventi convegnistici del ministro Martina ma si può fare quello che di meglio i milanesi sanno fare: festa e aperitivo, evitarci quella serie di canali e canaletti che servivano da riproduttorifici di zanzare, si trasformano in attentati alla legalità in furberie per frodare le leggi, in favoritismi per amici.

L’osannato manager diventa: “il manutengolo di Ermolli” (Bobo Craxi) il lacchè della Moratti, l’uomo di CL, uno dei nostri che tradisce (Berlusconi), quello che tarocca i bilanci, quello che si fa rifare la casa dai fornitori, quello che si circonda di inquisiti, manca poco che venga indicato come mandante della strage del Diana.

Sopratutto Sala scopre che lui a una parte di quelli che dovrebbero essere i suoi elettori “fa nu poco schifo”: è antropologicamente diverso. Con un po’ di prudenza avrebbe dovuto diffidare dell’offerta (che non si può rifiutare) di partecipare alle primarie, forse avrebbe dovuto guardare intorno a sé e al passato.

Guardare a Ferrante per esempio che pur essendo un poliziotto e un prefetto fu presentato come una specie di membro del servizio d’ordine in Statale e di Ligresti in prefettura con il risultato di diventare ridicolo e ineleggibile. O avrebbe dovuto guardare a Pisapia, di cui fino a febbraio scorso si diceva operasse miracoli con la sola imposizione delle mani. Poi dopo l’annuncio della non ricanidatura si diceva che i miracoli ci sarebbero stati portando in processione la continuità. Poi come a un altro salvatore è toccato che “prima che il gallo canti”: non uno ma legioni di apostoli hanno tradito e oggi parlando delle scelte del sindaco i più scuotono la testa come per i miei acquisti librari.

Nel tentativo di migliorare lo score di simpatia Sala si lancia in promesse munchhauseniane: “riapriremo i Navigli” con che soldi? “vendendo la Sea” come dire l’unica fonte seria di dividendi del Comune, senza i quali si farebbe fatica a pagare gli stipendi.

A rincuorare il tapino intervengono i suoi competitor: “Atm gratis” dice la severa Balzani cui replica l’ancor più severa De Cesaris “è lei che ha aumentato i biglietti”; “vendiamo San Siro” dice il pacioso Majorino fingendo di non sapere che non se lo accatterebbe nessuno, men che meno lo squattrinato Inter, senza collegarlo a un immenso shopping center. Differenze programmatiche non di poco conto, tutte improntate all’ottimismo e all’abbondanza, nonostante i lamenti della giunta di questi anni, ma come diceva Trilussa: “quando ci comunica la mamma che li spaghetti so’ portati in tavola, tutti semo d’accordo sur programma”.

Altrettanto gratificati di insulti: “non conosce la città, è genovese!”, “divide la sinistra per ambizione personali, rovinafamiglie” eccetera. Penso quindi che anche i due sfidanti nel segreto della loro cameretta si domandino: chi me l’ha fatto fare?

Non un grande spettacolo queste primarie, nonostante la presenza di folle ai vari eventi, l’entusiasmo dei fan e l’aplomb british con cui saggiamente la segreteria PD le sta gestendo, conscia che le elezioni vere sono a giugno. Più che un confronto di idee e proposte all’interno di una famiglia sembra una Sfida all’o.k. Corral con i nostri nei panni dei fratelli Clanton che rammento finirono tutti uccisi.

Perché si sia arrivati a questo punto è presto detto: non per gli errori di Pisapia nel gestire la sua successione, non per la modestia delle leadership dei partiti, non per la litigiosità interna della coalizione/giunta/consiglio, non per le oggettive difficoltà di governare una città durante una fase di recessione, non per le differenze programmatiche, tutte cose che si sarebbero potute superare grazie alla buona gestione dei quattro anni precedenti e all’assenza delle opposizioni ma perché le elezioni sono diventate un referendum pro o contro Renzi.

Alla faccia dello specifico milanese (come di quello torinese, napoletano, romano, bolognese) questo è un test nazionale come lo sarà il referendum come lo sono tutte le consultazioni quando una leadership di forte cambiamento è in campo. Dimenticati i leader della prima repubblica, accantonati per senilità quelli della seconda, con Renzi si profila la terza repubblica. O con lui o contro di lui, prigionieri non se ne fanno. Aveva ragione chi disse: dopo Renzi nulla sarà più come prima, neanche a Milano; con buona pace dei nostri Sala, Balzani, Majorino attori non protagonisti.

 

Walter Marossi



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