3 febbraio 2016

ELEZIONE DEL SINDACO: I NODI AL PETTINE


Due casi, anzi tre, che apparentemente non hanno rapporti tra di loro, impongono una riflessione sull’elezione diretta del sindaco a 23 anni di distanza dall’entrata in vigore della Legge 15 marzo 1993 n. 81, che ha introdotto l’elezione diretta del sindaco e del presidente della Provincia (quest’ultima abrogata dalla Delrio). Due dei casi si sono già consumati: la defenestrazione di Ignazio Marino a Roma e le dimissioni non spontanee della signora sindaco di Quarto, Rosa Capuozzo.

10besostri04FBDue Sindaci eletti con grande consenso popolare, per Marino più del 60% dei consensi e per la Capuozzo la rottura con un sistema di condizionamento camorristico e la novità del Movimento 5 Stelle. Il terzo è in corso: la posta in gioco è il Sindaco di Milano, un evento che ha sempre avuto un significato non municipale dalle prime amministrazioni socialiste, alle vittorie della destra leghista e forzista fino alla riconquista arancione, anzi del doppio arcobaleno, con la vittoria di Giuliano Pisapia, prima alle primarie e poi nelle urne con il ballottaggio vinto contro la Moratti nel 2011.

Poca attenzione sistemica si è prestata agli effetti della “riforma”, compreso al significato della parola, che una volta era una “Modifica volta a dare un nuovo e migliore assetto a qualcosa, in particolare in ambito politico, sociale, economico” ora ridotto al semplice cambiamento, così è la legge elettorale, incostituzionale come il Porcellum e, ancor più grave, la revisione costituzionale, una Controriforma. Il problema non è l’elezione diretta che è prevista da molti ordinamenti, in quello statunitense in generale. L’elezione diretta anche per il vertice esecutivo di una Regione, di uno Stato o di una Federazione costituisce la forma di governo presidenziale, ingiustamente rifiutata a priori, quasi per principio nel nostro paese, come equivalente di un sistema autoritario. Tuttavia dove vige ci sono anticorpi, che assicurano il controllo dell’esecutivo in primo luogo una rigida divisione dei poteri.

Sul punto la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, frutto della Rivoluzione francese, è netta: ”Articolo 16 – Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione”. In Italia a causa della paura per le forme di governo presidenziali e dei sistemi elettorali maggioritari, non per amore della democrazia, ma per timore del popolo, abbiamo inventato un ircocervo istituzionale, cioè la proporzionale con premio di maggioranza ed elezione diretta di diritto (Comuni e Regioni) o di fatto (nella revisione costituzionale in corso) del Capo dell’esecutivo.

Nei sistemi elettorali maggioritari la maggioranza va conquistata collegio per collegio, cioè bisogna averla, nel nostro è un premio alla minoranza più consistente con il capo più piacente. Il premio per di più non è attribuito in base ai consensi delle liste in lizza, ma dei voti del candidato sindaco o presidente di Regione. Una quota consistente dei consiglieri sono consiglieri del sindaco, cui devono l’elezione, e non rappresentano i cittadini. A coronamento del tutto vi è la formula “simul stabunt, simul cadent”, cioè la stabilità degli esecutivi non è assicurata dalla sperimentata formula della sfiducia costruttiva, ma dal ricatto di nuove elezioni, quello che ha tenuto in vita un Parlamento eletto con una legge incostituzionale.

I cittadini non hanno una rappresentanza, che risponda a loro, ma ai partiti o gruppi di interessi lecito o illeciti (p.es. camorra a Quarto), che hanno scelto i candidati da eleggere. L’asservimento agli interessi esterni è stato completato dalla riduzione dei poteri decisionali dell’assemblea rispetto all’esecutivo. Se il Consiglio non conta per le grandi decisioni, già c’è una selezione negativa a monte. Una volta l’entrata nel Consiglio era la porta per la nomina ad assessore o a sindaco o anche la prima formazione della classe politica destinata ad altri incarichi: tre nomi a caso per Milano Craxi, Cossutta e Malagodi. Chi abbia idee per Milano ora ha solo una scelta mettersi nella cordata del candidato sindaco con più possibilità di successo, indipendentemente da chi sia.

La perdita di prestigio dei Consigli è, a mio avviso, una e non ultima delle cause delle degenerazioni che hanno colpito quasi tutti i Consigli regionali (per questo premiati nella composizione del futuro Senato a mezzo servizio, ma con immunità piena) e Consigli comunali (processo di Mafia Capitale). L’elezione diretta specialmente nelle grandi metropoli non si basa sulla conoscenza diretta del candidato, maturata per la sua azione nell’amministrazione. Da noi, invece, i casi sono due o si ripresenta il sindaco uscente ovvero bisogna inventarsi un candidato, che lo possa battere in popolarità: che sappia fare il sindaco è secondario: bisogna attirare personaggi mediatici.

In questa logica le primarie sono necessarie, ma non in assoluta mancanza di trasparenza e regole certe: le primarie non hanno alcuna base legale. La selezione dei candidati e il diritto di voto sono decisi di volta in volta da chi le organizza. Per le Città Metropolitane, come Milano, c’è una contraddizione in più. Il sindaco di Milano (1.251.000 abitanti) è per legge il Sindaco metropolitano di 3.195.000 abitanti, ma eletto dai soli milanesi, meno del 40% del totale. Ebbene i cittadini metropolitani sono esclusi dalle primarie. In un primo momento avevo deciso di non partecipare, ma ho cambiato idea perché è l’unica, per quanto parziale, occasione per riprendersi una parte della sovranità, che mi spetta (art. 1 Cost.). La scelta è semplice bisogna impedire che la carica di Sindaco di Milano sia decisa a Roma e guardando a interessi materiali di gruppi di potere e potendo scegliere chi conosca la macchina comunale e sappia affrontare la situazione delle precarie finanze pubbliche per scelte governative (abolizione IMU) e per il buco Expo, aree (certo) ed evento (altamente probabile).

Dovrebbe essere l’occasione anche per discutere dei potenziali conflitti di interesse con una normativa da villaggio di campagna, che prevede l’incompatibilità di un titolare di farmacia, ma non di essere stato a capo di una società pubblica ad alta esposizione mediatica e di essere amministratore di un ente, che è tra i massimi creditori del Comune di Milano. Se il sindaco si sceglie con le primarie è in quel momento che la gara non deve essere condizionata e alterata.

Felice Besostri

 



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