3 febbraio 2016

musica – UNA TRAVIATA SPECIALE


UNA TRAVIATA SPECIALE

Un modo di fare e di ascoltare l’opera lirica diverso dal solito, intimo, penetrante, che mira direttamente al cuore (e anche alla pancia, perché no) degli ascoltatori, senza intermediazioni sceniche, senza palcoscenico, machinerie, sipari, fondali, quinte e tutto ciò che in generale serve ad acchiappare ma anche a distrarre l’ascoltatore. L’orchestra è sostituita dal pianoforte – come si fa durante gran parte delle prove, quelle del singolo o di più cantanti (dai duetti ai quintetti e più) quando al pianoforte spesso siede già il direttore d’orchestra – e pochi oggetti servono a far immaginare l’ambiente in cui si svolge la vicenda.

musica04FBQuesto è quanto successo al MA.MU. – il Magazzino Musica di via Soave – poco prima di Natale con la Bohème, si è ripetuto domenica scorsa con Traviata e si è già programmato con un Barbiere di Siviglia in febbraio. Come per Bohème, anche per Traviata il pubblico era strabordante, a tal punto imprevedibile che non vi erano abbastanza sedie e una gran quantità di persone ha dovuto rimanere in piedi: giovani e anziani, patiti o totalmente ignoranti dell’opera, bambini rapiti come da una fiaba, ragazzi attenti e incuriositi dallo spettacolo inusuale, tutti presi a tal punto che nonostante la cattiva stagione non si è sentito un colpo di tosse.

Altea Maria Pivetta, una mezzosoprano triestina di cui già si è sentito dire assai bene tempo fa a proposito di musica barocca e più recentemente di celebrazioni pucciniane, infastidita da messe in scena sempre meno credibili e da regie funamboliche, ha deciso di scarnificare l’opera lirica e di andare direttamente al cuore musicale dell’opera riproponendola in forma succinta ed essenziale con lo scopo – non troppo nascosto – di avvicinarla a quel pubblico che non frequenta la Scala (magari perché non può frequentarla) e che tuttavia richiede una buona qualità e non si accontenta dei CD e della televisione. Così ha ridotto l’opera a poco più di un’ora, scrivendo testi di raccordo per sintetizzarne la trama, selezionando le parti musicali più significative, “costruendo” una scena perfetta (due poltrone, un divanetto, un tavolino), soprattutto insegnando ai cantanti come recitare in modo semplice e spontaneo: il che può sembrare una negazione della teatralità mentre in realtà – provare per credere – ne è l’esaltazione.

Con una indovinata finzione, e richiamandosi direttamente a La dame aux camélias di Alexandre Dumas da cui Francesco Maria Piave ha tratto il libretto per l’opera di Verdi, subito dopo il brindisi (“Libiamo, ne’ lieti calici che la bellezza infiora …”) la Pivetta avvia l’opera presentando Violetta (Mariacristina Ciampi) già alla fine dei suoi giorni che in “parlato” racconta come sono andate le cose fra lei ed Alfredo (“Oggi sono malata … ma non voglio morire senza che sappiate cosa pensare di me … a una serata come questa conobbi Alfredo …”) e così compare in  flashback la Violetta di allora (Pinar Dönmetz) che canta insieme ad Alfredo (Luca Narcisi) e a papà Germont (Giovanni Tiralongo) le parti assegnate loro da Verdi; alla fine la Ciampi si riprende la scena cantando il terzo atto.

Il fatto che cantanti e pubblico si mescolino, nel senso che l’entrata in – e l’uscita di – “scena” avvengano passando fra gli ascoltatori, o che alcune arie vengano cantate alle spalle del pubblico, che il fondale sia lo stesso arredamento del Magazzino Musica – e dunque una libreria piena di spartiti – e che il pianoforte sia in mezzo alla gente con i ragazzini più piccoli che vi si acquattano sotto, tutto ciò crea una sorta di comunione fra interpreti e ascoltatori tale per cui i secondi finiscono per sentirsi parte dei primi.

I cantanti – le due Violette e i due Germont, istruiti e seguiti da Lorenzo Arruga che dalla sua sedia in prima fila non li ha persi di vista un solo minuto – si sono rivelati più che all’altezza di una situazione anche per loro assolutamente irrituale, e forse anche un poco imbarazzante, mentre Mari Miura, al centro di tutto – sia fisicamente che musicalmente – è riuscita a far sì che il suo pianoforte non facesse rimpiangere l’orchestra. Bravissima.

Nell’ultima domenica di febbraio è annunciato il Barbiere di Siviglia rossiniano, messo in scema – si fa per dire – dalla stessa regista. Gli increduli potranno verificare.

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 

 



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