26 gennaio 2016

LA CITTÀ NON È SOLO UN’AZIENDA


La città non è solo un’azienda … e sicuramente non è un condomino che soltanto richieda un buon amministratore. Una grande città, che si avvia a diventare una città metropolitana, una delle città più importanti dell’intero continente, è un luogo politico e richiede come sindaco chi si sente e si vive come politico. Come portatore di una visione e di idee trasformative. La contesa per le primarie va letta in questo contesto.

Nel corso dei due ultimi decenni l’importanza delle politiche “locali” è andata crescendo anche se non sono parimente aumentate le competenze e le risorse assegnate alle grandi città. Ma le città sono sempre di più un’agorà dei bisogni e dei diritti dei cittadini e di chi chiede cittadinanza, sono il test finale, la cartina di tornasole, la prova del nove, delle grandi politiche nazionali ed europee. E anche il laboratorio nel quale queste politiche si affermano e sono proposte come modello.

02beccalli03FBIl “modello Milano” della Giunta Pisapia è stata un’esperienza importante anche per la politica nazionale: non solo per la trasparenza, per l’uso onesto ed efficiente del bene pubblico, ma per sollecitare una partecipazione democratica dei cittadini, una cittadinanza attiva: un patrimonio in sé, attraverso tante microesperienze che si sono svolte nei quartieri della città, avvalendosi del lavoro volontario di tanti cittadini. Il modello Milano, l’idea che la città è una polis e non solo un’azienda, va proseguito e sviluppato.

Non si tratta quindi solo di far vincere il Pd quale che sia il rappresentante che il Pd esprime e non meraviglia che, a livello nazionale, si sia formata la convinzione che Beppe Sala sarebbe stato un candidato vincente: le sue competenze amministrative e la sua notorietà alla guida di una esperienza di successo, l’Expo, lo predisponevano a questo ruolo. Ma è lecito dubitare egli abbia la visione e la passione politica per indirizzare un’esperienza che va ben oltre la buona amministrazione, non avendo mai in passato dato prova di entrambe: forse, per “promuoverlo”, sarebbe stato opportuno pensare ad altri ruoli. Niente è solo buona amministrazione, in una grande città. Lasciamo pur da parte i temi più spinosi e nuovi, quelli legati all’immigrazione, ma anche nei campi più tradizionali delle competenze comunali – il traffico, gli asili, l’assistenza, l’edilizia, l’ambiente urbano – ci sono scelte politiche da compiere e non si tratta solo di efficienza.

L’efficienza serve, naturalmente, ma è uno strumento che può essere legato a diverse finalità. Sala ha dimostrato di essere un amministratore efficace (se anche efficiente non sappiamo, si vedrà dalla discussione sui consuntivi Expo) e sicuramente è il più noto tra i tre candidati alle primarie: ma efficacia amministrativa e notorietà sono caratteri sufficienti a far di lui un buon sindaco per i cittadini e potenziali cittadini milanesi? Un sindaco che voglia e sappia proseguire l’esperienza dell’amministrazione Pisapia? Per dare un’idea dei problemi cui penso, mi riferisco a tre esempi.

Il primo è una grande esperienza politico-amministrativa, quella del Great London Council, da studiare soprattutto per chi avrà il compito di definire l’area metropolitana milanese, un’esperienza durata più di vent’anni e chiusa da Margaret Thatcher nel 1986. Essa ha prodotto politiche urbane e sociali innovative in grado di sfidare gli indirizzi prevalenti nelle politiche nazionali. Gli altri due esempi riguardano modi innovativi di analizzare i problemi urbani. Quello di Saskia Sassen, che ha usato il termine e il concetto di città globali in riferimento alle megalopoli del nord e del sud del mondo. Le città globali sono spesso l’epicentro di processi innovativi, ma anche i luoghi della maggiore ricchezza e maggiore povertà, città fortezza e zone di degrado. Più vicine all’esperienza milanese sono le analisi di Guido Martinotti, compianto collaboratore di ArcipelagoMilano: la popolazione delle grandi città è costituita da soggetti diversi che sono cambiati nel corso del tempo. Dopo i cittadini che vivono, lavorano o pendolano, cresce sempre la quota dei meri city users, fruitori della città, che in essa non vivono, non pagano le tasse non votano. A quale popolazione si devono indirizzare le politiche urbane. Expo, tipicamente, è stata indirizzata ai fruitori esterni, e questa non è affatto una critica.

Finisco con un problema impossibile da ignorare. Nel microcosmo urbano si manifestano con maggiore visibilità i termini dello “scontro di civiltà” emersi dopo il 9/11 del 2001e mi riferisco a fatti recentissimi, il capodanno di Colonia e altre città tedesche. Questi hanno già fatto discutere commentatori come Elisabeth Badinter in una importante intervista su La Stampa e Luca Ricolfi che la riprende sul Sole24ore del 17 scorso: “L’Europa dopo Colonia. L’immigrazione e il brusco risveglio”. Le polemiche si stanno ancora trascinando in Germania e coinvolgono la politica dell’accoglienza e dell’asilo, e soprattutto la sicurezza per le donne nell’uso della città. Sappiamo che la grande maggioranza delle violenze avviene tra le mura domestiche e a opera di famigliari ma casi come quello di Colonia hanno una forte influenza sulle politiche nazionali di accoglienza e integrazione, e una buona politica cittadina può avere un ruolo importante per prevenirli.

Non è “politica questa”, e politica ai suoi massimi livelli?

 

Bianca Beccalli

 



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