26 gennaio 2016

la posta di lettori_27.01.2016


Scrive Federico Badiali a proposito del Giardino dei Giusti – Vi prego di osservare il confronto che allego. In verde trovate evidenziata l’area (questa sì di circa 1.500 mq) attualmente occupata dal Giardino dei Giusti con i vari cippi. In rosso invece vedete evidenziata l’area (di circa 8.000 mq) che verrebbe interessata dai lavori di “riqualificazione” (ossia lastricata con pietre e riempita di muri, muretti, panchine e totem vari) del progetto Valabrega. Quando Luca Carra scrive: “Il progetto è limitato a circa 1.500 metri quadrati (un coriandolo nel bel parco Monte Stella)”, lascia chiaramente intendere che solo 1.500 mq di parco sarebbero interessati dal progetto ma ciò rappresenterebbe solo 1/5 circa dell’area verde realmente interessata dai lavori. Si tratta di una “piccola” imprecisione, non vi sembra?

 

Scrive Gregorio Praderio a proposito del Giardino del Giusti – Condivido l’appello di Luca Carra a favore del Giardino dei Giusti. Se forse il precedente progetto era un po’ troppo invasivo, non mi sembra un buon motivo per perseverare nell’opposizione a un’iniziativa benemerita.

 

Scrive Stefano Limido a proposito del Giardino dei Giusti – Ho letto l’articolo in oggetto firmato da Luca Carra, Consigliere nazionale di Italia Nostra, e devo dire che ho trovato molte imprecisioni. Mi sembra strano visto che Italia Nostra quel progetto lo ha studiato molto bene, a tal punto che ha presentato addirittura un ricorso al TAR per non farlo attuare. Mi sembra anche strano che non ci siano scambi d’informazione all’interno di Italia Nostra stessa, visto che il consiglio Nazionale non sa che a Milano si è deciso di intraprendere una simile azione. Forse Luca Carra dovrebbe informarsi meglio prima di scrivere su argomenti che non conosce, consiglio che rivolgo anche a voi prima di pubblicare articoli che potrebbero mettere in discussione l’autorevolezza del vostro settimanale. Penso che una rettifica da parte vostra sia doverosa. (Consigliere di Zona 8 M5S)

 

Scrive Ciro Noja a proposito delle nuove norme sugli appalti pubblici – Non conosco esattamente le nuove norme sull’Offerta Economicamente più Vantaggiosa, ma credo che quello che scrive Luca Beltrami Gadola sia esatto. È esattissimo quello che dice sul ruolo del progetto e della sua qualità negli appalti. Aggiungo una cosa: il progetto (le carenze del progetto) è quello che crea l’occasione della corruzione. Ma il momento in cui si concretizza la corruzione (e diventa danno materiale per la collettività, oltre alla lesione etica e alla concorrenza leale) è quello dell’esecuzione, cioè della Direzione Lavori. Il denaro della corruzione deriva materialmente dal divario di valore tra ciò che viene pagato e ciò che viene realizzato. Se non c’è questo divario, la corruzione è senza benzina. Questo è il cuore del problema. È da questo extraprofitto che derivano le risorse per corrompere. Se non ci fosse questo extraprofitto le carenze del progetto potrebbero sì determinare un costo maggiore del previsto, ma tuttavia giusto e dovuto.

La Direzione Lavori ha un ruolo fondamentale, come minimo di debolezza, incompetenza, assenza. Più probabilmente di complicità. La lotta alla corruzione negli appalti deve occuparsi ovviamente della fase dell’assegnazione, ma concentrare l’attenzione su quest’aspetto è limitativo e può anche essere fuorviante. Se non si mette al centro il problema della corrispondenza tra ciò che pago e ciò che ricevo, e ci si limita alla fase dell’assegnazione (con tutto quanto vi è compreso, inclusa la qualità dei progetti) si rischia di fare norme sempre più severe e complicate che rendono la vita più difficile agli onesti e non fermano i disonesti, che sono scienziati della materia dell’aggiramento, cui dedicano attenzione e risorse. Il miglioramento qualitativo – professionale e il controllo degli atti della Direzione Lavori (auditing esterno; sanzioni professionali ed economiche oltre che penali; trasparenza e messa online di tutti gli atti e della contabilità, osservabili da cittadini, tecnici, ordini professionali; ecc.), questo è il grande tema che mi pare ignorato e su cui richiamerei l’attenzione e il dibattito.

 

Scrive Giancarlo Rossi a proposito delle nuove norme sugli appalti pubblici – Caro direttore, non potevi essere più chiaro e sintetico sugli appalti e sui pericoli di corruzione e inefficienza insiti nelle procedure oggi in vigore! Ma se pesco nei miei remoti ricordi di giovane direttore dei lavori, vedo le radici inveterate del male, cui non riuscì a rimediare neppure la mitica legge Merloni, con tutte le minuzie sulle varianti ammissibili. Ricordo che negli anni settanta e ottanta una famosa impresa milanese, che non cito, perché è ancora attivo l’erede del fondatore, prima di fare le offerte nelle gare pubbliche, portava i bandi e i progetti a un ancor più famoso studio legale di Roma, che aveva sede a piazza della Libertà, se ricordo bene, specializzato in riserve. Ebbene, sentito il parere dei preparatissimi tecnici e legali di quello studio, l’impresa preparava un’offerta scontata persino del 60%, calibrandola sulle falle progettuali, che avrebbero consentito di avallare tante e tali riserve, da triplicare la base d’appalto.

Rammento d’aver avuto a che fare, nella direzione dei lavori d’una scuola, con riserve di oltre un miliardo di lire per un importo di lavori di 800 milioni, e d’essere riuscito con immenso lavorio a ridurle a meno di un terzo, ma toccai interessi illeciti di un assessore, che se la legò al dito e me la fece pagare. La legge Merloni, normando i tre livelli di progettazione, smussò gli appigli per le riserve, ma non incise sulla qualità e completezza dei progetti più di tanto: rese solo più farraginose le varianti e acuì l’ingegno di alcuni, che impararono presto ad aggirarla. La fase della progettazione nasconde un’altra insidia: nelle fasi espansive dell’attività edilizia, si affermano professionisti “graditi” alle lobby politiche, che, pur privi di meriti artistici e tecnici, cumulano nelle proprie mani quasi tutti gli incarichi pubblici d’una certa rilevanza, e buona parte di quelli privati… ma questo è un altro discorso, che ti toccherà prima o poi affrontare.

Del resto non esiste gabbia legislativa che riesca a contenere le pulsioni a delinquere, quando queste siano endemiche in una società e considerate dai più non già un obbrobrio morale, che danneggia tutti, ma un segno distintivo e invidiato di furbizia… Forse in Italia bisognerebbe, per un periodo di moratoria decennale, limitare la partecipazione agli appalti pubblici alle sole imprese tedesche e scandinave…

 

Scrive Sergio Brenna a proposito dell’accordo sugli scali ferroviari – Bravo Spadaro! Io nelle mie critiche alla bozza di Accordo di programma con FS sugli ex scali ferroviari ho cercato di attenermi ai dati tecnici (spazi pubblici minori di quelli chiesti – anche se in gran parte inattuati – a Ciytlife e Porta Nuova e comunque insufficienti soprattutto nelle dotazioni di verde e servizi di quartiere, con conseguenti edificazioni troppo dense e alte) per motivare il Consiglio comunale alla non ratifica. Ora, però, che questo primo passo è compiuto l’orizzonte è proprio quello che tu indichi con la necessaria larghezza di visione: la “sinistra consapevole” deve sapersi svincolare dal pensiero unico del “liberismo immobiliar-finanziario” oggi dominante e proporre una visione strategica dell’uso di queste vaste risorse territoriali in un disegno urbano complessivo che abbia l’orizzonte temporale e urbano almeno di un PGT “pensato” in proprio e non rammendato dai cascami ereditati da Albertini-Lupi e Moratti-Masseroli. Un’urbanistica per “sommatoria” di singoli Accordi/PII con i poteri fondiario/finanziari più forti (ex scali, ex caserme, ex grandi fabbriche ed ospedali dismessi, ecc.) è la negazione di tutto ciò! Mi pare che sinora nessuno dei candidati a Sindaco abbiano dato segno di esserne consapevoli.

 

Scrive Pietro Vismara a proposito degli scali ferroviari – Sono abbastanza stupefatto dall’intervento di Francesco Spadaro sulla questione degli scali ferroviari. Ovviamente capisco che ci siano diversi punti di vista sul tema, ma qui mi sembra che si esageri. Vediamo i punti principali: “1) Le aree degli scali ferroviari sono un Bene Pubblico, nella disponibilità del Demanio e delle Istituzioni locali di appartenenza.” Ovviamente no, FS è una società di diritto privato da molti anni, le aree (piaccia o meno) sono nella sua disponibilità. Usare le aree dismesse per generare un reddito da ridestinare sul servizio ferroviario mi sembra poi tutto sommato giusto e ragionevole. “3) Proprio in funzione di queste logiche imperialiste, l’accordo configura i diversi scali in modo sostanzialmente analogo, per facilitarne la vendita frazionata perché, scusate la battuta, forse neanche Pablo Escobar riuscirebbe oggi a comprarli tutti…”. Lasciamo perdere i riferimenti improponibili ai narcotrafficanti (certi paragoni bisognerebbe misurarli con più attenzione). Mi sembra invece che alcuni ambiti (tipo San Cristoforo) siano prevalentemente a verde, altri più edificati, proprio come propone l’autore dell’intervento. E poi mi sembra del tutto normale che aree complessivamente di 1 milione di metri quadri, ma di fatto distinte da un punto di vista spaziale, vengano vendute e sviluppate in modo frazionato (in che altro modo, mi chiedo?). Non c’è quindi niente di “imperialista” (o tantomeno da narcotrafficante). “6) L’Accordo è condito, dal punto di vista narrativo, da tutti gli slogan e i grimaldelli al servizio della speculazione più ignorante: verde, piste ciclabili, housing …”. Spero si stia scherzando. Preferirebbe che non ci fossero?

Mi fermo qui. Capisco la legittimità di tutte le posizioni, ma in verità qui mi sembra si stia superando il limite (ci dovrebbe sempre essere anche il rispetto del principio di realtà). Mi spiace poi che ArcipelagoMilano rischi di squalificarsi ospitando opinioni così strampalate, è un peccato.

Risponde il direttore. Non credo che abbia legittimità definire strampalate le opinioni altrui che non si condividono. ArcipelagoMilano ospita tutte le opinioni strutturate purchè espresse da persone informate

 

Scrive Andrea Vitali a proposito degli scali ferroviari – Mi sembra di ricordare che si parli di progetti di riuso degli scali ferroviari dall’inizio degli anni ’90 (venticinque anni fa). Nel frattempo sono stati fatti i PRU, i PII, il PGT: ma gli scali sono ancora lì. Ogni volta qualcuno dice che bisogna fare qualcosa di speciali sugli scali, e non se ne fa niente. Forse sulle altre aree è stato fatto qualcosa di speciale? A Montecity-Santa Giulia bisognava fare il centro congressi (ma non è stato fatto), a Porta Vittoria la grande biblioteca (e non è stata fatta), a Garibaldi-Porta Nuova la Città della Moda (e non è stata fatta), alla Fiera il museo di arte contemporanea (e non è stato fatto). Se qualcuno ha qualche grande idea per le aree ferroviarie, mi sembra giunto il momento di tirarla fuori. Hic Rhodus, hic salta, dicevano gli antichi. Altrimenti, dopo venticinque anni, mi sembrano solo chiacchiere.

 



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