19 gennaio 2016

VERSO LE PRIMARIE: NON SI VIVE DI SOLI PROGRAMMI (PER FORTUNA!)


A poche settimane dal 7 febbraio, ascoltando un candidato a sera, quando possibile anche due o tre insieme: la domanda che viene più spesso da porsi è quanto contino veramente, in questa fase, le proposte, i contenuti, le prese di posizione nette sui singoli argomenti e persino le boutade varie che fanno notizia, cannibalizzate dai media. Quanto influiscono, insomma, i programmi degli competitor delle Primarie sulla decisione finale degli elettori? Quante volte all’interrogativo “per chi voterai?” ci si sente rispondere “aspetto di leggere i programmi”… Frase topica valida in teoria, ma chi la pensa davvero così, in realtà, non è forse un alibi per prendere tempo?

04poli02FBIn momenti come questi i progetti specifici e la loro fattibilità non assumono poi un peso tanto determinante per gli elettori. Chi ha già deciso e chi ancora deve farlo non sceglierà il futuro sindaco in base alla sua “offerta concreta”, è naturale che non sia solo questo il criterio guida. Per quanto si può coglierne da testi e parole, i diversi programmi sono molto più sovrapponibili di quanto si potrebbe immaginare: non solo quelli di Balzani e Majorino ma – almeno per alcuni aspetti se non tutti – anche quello di Sala. Le principali affermazioni, i punti cardine di ciascuno, sono inattaccabili nella forma e nella sostanza: nessuno potrebbe sostenere il contrario, tanto è evidente la loro validità universale per chi minimamente conosca Milano, pregi e problemi.

Non c’è candidato che non abbia detto, addirittura con parole simili, che la nuova amministrazione metterà il lavoro al centro dei prossimi cinque anni, che prenderà in carico con sempre maggiore attenzione esigenze e potenzialità di donne e giovani, che renderà Milano ancora più internazionale, aperta e inclusiva. Il cittadino non matura una scelta attraverso i discorsi elettorali né la cambia se l’ha già presa, semmai la conferma. Tutti e tre uguali e intercambiabili, allora? No di certo! Le proposte presentate da un aspirante sindaco, inutile negarlo, sono secondarie rispetto alla sua storia, alla provenienza politica e ai suoi sostenitori (il parterre è spesso in grado di esercitare un’influenza pari a chi parla sul palco).

Bombardati da tante idee di città in pochi giorni gli elettori ancora indecisi si baseranno in effetti, alla fine, su pochissimi segnali davvero distintivi, questi sì in grado di fare la differenza: in positivo o in negativo a seconda della percezione personale, della lettura che se ne vuole dare. Così, pesa in questa campagna il Leitmotiv della continuità, non sempre giocato però come arma vincente, bensì come jolly da evidenziare quando serve e mettere nel cassetto se diventa troppo ingombrante. Pesa il gruppo di assessori schierati con Sala insieme al loro curriculum di cose fatte o iniziate; conta che Sala (prima e dopo Expo) abbia una formazione e una cultura “da manager”, quella stessa che determinerebbe, in caso di vittoria, un’innegabile impronta sulla città: è l’aspetto che piace o non piace di lui, a prescindere da tutto il resto.

E ancora, conta Pisapia che appoggia più o meno velatamente Francesca Balzani e Paolo Limonta che esce dalla neutralità per essere uno dei primi sostenitori della vicesindaco e accompagnarla sul territorio (ritorno al passato o ritorno al futuro?). Sono degni di rilievo i Comitati che si riorganizzano nelle nove zone, i teatri di nuovo pieni a ogni evento, i tavoli che all’interno dei tre “schieramenti” lavorano per temi, dal sociale al consumo di suolo e al recupero degli spazi abbandonati.

Al di là di pochi segnali forti, il resto è noia, già visto e già sentito. No, manca ancora un aspetto. Sono significative le atmosfere diverse dei diversi incontri: non perché fanno coreografia, ma perché sono davvero palpabili e quanto mai indicative della persona che ha organizzato l’evento, e di che tipo di sindaco sarebbe. È importante il feeling che si crea tra chi parla e chi ascolta, e questo spesso sovrasta i contenuti. Qualche sera fa Francesca Balzani ammetteva in un’intervista una verità non scontata: le competenze sono rilevanti, ma non sufficienti senza tutto quel contorno che contorno poi non è. L’incontro cioè di caratteri, il feeling, appunto. Del candidato con i cittadini, e dei cittadini-sostenitori tra loro.

Le amministrative del 2011 ci hanno mostrato che tutto questo può cambiare – sia nell’unire sia nel dividere – le storie in apparenza già scritte. Si può essere la persona più preparata del mondo, eppure non suscitare emozioni; o essere scopertamente imperfetto e tuttavia risvegliare la voglia di far parte di un progetto. In modo differente dal passato, magari, con modalità e per strade differenti. Fa un certo effetto girare per eventi dividendosi in tre e trovare il “popolo arancione” sparpagliato nelle sedi dei comitati elettorali e ai dibattiti di Balzani, Majorino e Sala. Un certo effetto e un po’ di tristezza, perché si percepisce di non avere più (o forse di non avere mai avuto fino in fondo) una visione comune di Milano e un modello univoco di chi deve amministrarla. Altrimenti gli ultimi mesi di polemiche non si spiegherebbero.

Se non sono i programmi, è una visione di città a distinguere, nell’essenza, un sindaco da un altro; per visione non è che dobbiamo aspettarci o pretendere una preview onnisciente dei prossimi vent’anni di Milano: essa non è altro che un filo conduttore, uno stile, un metodo e un’etica (soprattutto), che si applicherebbe facilmente a qualsiasi situazione, da quelle ordinarie  alle più critiche. Aggiungerei che un altro elemento di incommensurabilità tra i contendenti è lo spirito che anima i rispettivi sostenitori e che circola dalla più piccola riunione di “squadra” al dibattito cittadino da mille persone. È lì che si capisce chi ti è simile e chi no, lì che la decisione diventa semplice. Non immediata, forse, come nel caso di Pisapia, però … .

Si può comunque essere certi che nessuno sceglierà di votare un candidato perché propone di togliere il pavé in via Torino o di riaprire i Navigli, né lo si preferirà perché lancia l’idea del “sindaco della notte” o di un possibile assessore gay. Ho scelto ovviamente i tre esempi più banali, ma non credo che le discriminanti potranno essere neppure i grandi temi. Non ora almeno, non da qui a febbraio. Ricordiamoci che alle Primarie non votano tutti, soltanto i cittadini attivi del centrosinistra che di politica, progetti e partecipazione non sono digiuni. Anzi. Il proprio vincitore  ideale, messi per un attimo tra parentesi i contenuti o dati questi ultimi per acquisiti, non potrà che essere quindi una scelta di pelle (nel senso più positivo del termine), affinità elettive e priorità ideali. Quanto mai basata su una fiducia istintiva di quelle che raramente mentono.

 

Eleonora Poli

 

 



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