12 gennaio 2016

ADESSO LA POLITICA


A prima vista è impresa ardua cercare di spiegare quanto sta avvenendo nelle primarie del centrosinistra in termini di schieramenti intorno alle candidature attraverso le categorie delle appartenenze originarie. L’impressione è che ci si stia muovendo come nella scena di “Brancaleone alle crociate” dove la diffidenza reciproca e l’ignoranza del contesto generava un dialogo che è la perfetta metafora di quanto è apparso finora: “Onde ite?” “Sanza meta.” “Anca noi, ma per diverso percorso …”.

03dalfonso01FBCercare di farlo con quella del “tradimento” e dei “transfughi” è invece il solito puerile tentativo messo in atto dal ceto politico di una sinistra parolaia che scambia l’identità del popolo con la propria, ritrovandosi immancabilmente ad arrancare con un tre per cento di “pochi ma buoni” dal quale ripartire verso l’immancabile trionfo.

A dimostrazione però che in politica l’eterogenesi dei fini spesso determina le situazioni a dispetto delle intenzioni dei diversi attori, il risultato di questa grande confusione è che sono in campo tre buoni candidati, quando qualche settimana fa si faticava a trovarne uno; che tutti e tre sono certamente e convintamente all’interno di un progetto di centrosinistra ambrosiano; che tutti e tre non dispongono di “pacchetti” di voto assicurati da capicorrente o da un voto di appartenenza sul quale nessuno può chiaramente contare, ma devono guadagnarsi i consensi con la qualità, la chiarezza e la forza delle proprie proposte; che tutti e tre hanno interesse a coinvolgere nelle elezioni primarie il maggior numero possibile di elettori e non limitarsi a una partita interna al cerchio “militante” del centro-sinistra, perché la distribuzione delle carte iniziali non garantisce a nessuno il risultato finale.

A prima vista è anche difficile vedere una similitudine con le primarie del 2011, perché i candidati e gli schieramenti erano molto diversi, con i singoli addirittura in ruoli e parti rovesciate, visto che i due sconfitti di allora, Valerio Onida e Stefano Boeri, sono i principali supporter dell’attuale vice di Pisapia, mentre tutti o quasi coloro i quali l’avevano supportato allora ora sostengono una candidatura diversa. Ma , ancora una volta, l’analisi attenta ci riporta a capire che lo scontro non è personale ma politico.

Intorno alla candidatura di Giuliano Pisapia si aggregò un’alleanza politica con la borghesia “illuminata” laica e con la forte componente cittadina cattolico-liberale, scegliendo una persona con una chiara storia di sinistra ma lontana dalle derive nuoviste e giustizialiste, con una capacità di dialogo e tessitura politica di alleanze che è parte del patrimonio genetico della sinistra laica e riformista milanese .

L’ipotesi politica avversa era costituita da un connubio fra i rivoluzionari aderenti al movimento di “Tutti da Fulvia il sabato sera” che le vignette fulminanti di Tullio Pericoli inchiodavano settimanalmente alle loro contraddizioni e quello che restava di un ceto politico che si trovò ad assumere nel 1994 una leadership mediatica senza aver combattuto alcuna battaglia politica.

Da una parte quindi, c’erano i discendenti (politici), a volte inconsapevoli, degli intellettuali, avvocati, medici che avevano in gran numero fatto parte dei gruppi dirigenti della sinistra di Milano del primo Novecento e di fatto avevano reso possibile l’alleanza fra ceti operai e popolari e borghesia professionale mettendo a disposizione innanzitutto il proprio sapere, ma in pratica la loro stessa vita personale, familiare e professionale, facendo del partito e dell’impegno politico la propria ragione di vita e condividendo realmente con il popolo ogni passaggio e attenzione.

Dall’altra parte, con una disponibilità al sacrificio personale molto inferiore, i figli (politici) di quelli che a partire dagli anni Settanta intravidero la possibilità di influire sui partiti della sinistra senza iscriversi di nascosto da casa alla sezione “Brodolini” del Psi o a quella “Concetto Marchesi” del Pci e che più che mettersi a disposizione per la crescita politica, culturale e sociale del popolo, intrapresero una azione perché fosse il … popolo a mettersi a loro disposizione per sostenere le proprie idee e soprattutto le proprie carriere.

I termini della partita politica di questo inizio del 2016 si stanno delineando come più simili ai tempi del 2011 di quanto non si creda.

Francesca Balzani continua a mutare profilo: da unificatrice dell’antirenzismo in terra di Milano al tentativo acrobatico di essere la candidata della continuità con Pisapia avendo come principale sostenitore il rivale storico dello stesso Pisapia, ma si sta stabilizzando, compattando tutte le tendenze che erano rimaste fuori o sono uscite dalla squadra di governo cittadino di questi anni, non tanto in termini di persone quanto di politiche. É significativo il riemergere a questo proposito di proposte programmatiche superate dal tempo o, come per la destinazione a parco agricolo dell’area postExpo, da un paio di miliardi di euro di investimenti, così come lo è l’entusiasmo malcelato per la caduta dell’accordo sugli scali ferroviari, con il richiamo alla “grande opportunità” di ritardare il piano di un quinquennio minimo, ma, chissà su che basi, con la convinzione di poter ottenere “di più” rispetto all’accordo di programma negoziato dalla giunta attuale.

Pierfrancesco Majorino è uscito dalla nicchia di testimonianza nella quale rischiava di rinchiudersi come fosse a un congresso del Pd, per arrivare a esprimere le istanze di un mondo impegnato nel volontariato, nell’assistenza e nella cultura che resta fondamentale nella costituency di una sinistra che vuole allargare e non mutare le proprie basi di consenso.

La fotografia di Beppe Sala con gli assessori che hanno interpretato fino ad adesso in maniera corretta il mandato fiduciario di un sindaco eletto direttamente, lavorando come si deve fare in un organo collegiale senza privilegiare la visibilità personale, evidenzia come il patrimonio di esperienza e conoscenza della “macchina comunale”, per di più di quella acciaccata e sbuffante odierna, sia un atout quasi decisivo per un sindaco che dovrà guidare un cambiamento istituzionale così radicale e indispensabile come quello che toccherà affrontare al prossimo primo cittadino di Milano.

La mia cultura di socialista e riformista, la mia storia di milanese innamorato più che interessato alla politica e alla mia città mi portano a essere convinto che l’essere sindaco di Milano è il più alto onore e la più grande soddisfazione cui si possa aspirare.

Quella mia stessa cultura e formazione politica mi porta a ricordare prima di tutto a me stesso che viene sempre “prima la politica” rispetto al proprio destino personale, che a Milano siamo, a sinistra, per la cultura del “noi” e non per quella dell’“io“. L’obiettivo primario per tutti coloro i quali hanno reso possibile con il loro lavoro, il loro entusiasmo e la loro professionalità tutto quello che si è realizzato è quello di consegnare a una nuova generazione un progetto politico da curare e sviluppare, una speranza da coltivare, un progetto e una idea che ha forma e nome sempre nuovo, ma un cuore antico e radici profonde nella nostra Milano, la città che amiamo.

 

Franco D’Alfonso

 



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