12 gennaio 2016

MILANO HA BISOGNO DI UN SALTO IN AVANTI


Sulla mobilità Milano ha bisogno di un salto in avanti. A meno di un mese dalle primarie del Centrosinistra e in vista delle elezioni comunali, propongo una mia riflessione con alcuni spunti – brevi per necessità di redazione – su questo tema. Ciascuno dei punti che ho cercato di riassumere meriterebbe un articolo a sé e penso possa essere l’inizio di un dibattito che, da qui alle elezioni, animi le pagine di ArcipelagoMilano.

06donofrio01FBL’inquinamento atmosferico ha sfondato i limiti consentiti per oltre un mese e questa situazione non può essere chiamata “emergenza”: è la realtà di fatto della nostra città così come di tutta l’area metropolitana. Al di là dell’annosa discussione su cosa incida di più, tra i gas di scarico (che producono le particelle più sottili), i riscaldamenti o altre emissioni, quello che è certo è che nella nostra città c’è bisogno di adottare e potenziare politiche che abbiano l’obiettivo di ridurre il numero di auto in circolazione.

Tanto è stato fatto: in centro rispetto al 2011 circola il 30% di auto in meno e guardando all’intera città la diminuzione è stata del 6-7%, ma non si possono ignorare altri dati: dopo anni di decrescita, dovuta soprattutto alla crisi economica, il mercato dell’auto è tornato a crescere e anche in Lombardia, dove nel 2013 si immatricolava la metà delle auto rispetto al 2000, la tendenza si è invertita. Questo significherà ancora più auto in movimento e ancora più auto ferme in strada, là dove il numero di veicoli in divieto di sosta, giorno e notte, è già altissimo.

Insieme al numero di auto e all’inquinamento c’è anche qualcos’altro che crescerà, con l’aumentare del numero di auto, ossia il numero di incidenti, che già nel resto della Lombardia e in tante altre regioni è tornato a crescere dopo anni di calo. Nella città metropolitana di Milano ci sono stati 19.000 incidenti nel 2014, con 101 morti e 18.500 feriti. Sono numeri inaccettabili, i numeri della prima causa di morte per gli under 50 in tutta Italia, e sono numeri che un’amministrazione cittadina deve impegnarsi a far diminuire a ogni costo.

Le politiche della nostra giunta sono state quelle giuste, nella giusta direzione, anche sfidando e affrontando strali e polemiche: la congestion charge, la creazione di tante aree pedonali, zone 30 e una serie di percorsi ciclabili, molti dei quali devono ancora vedere la luce o il completamento; poi il car sharing, l’allargamento del bike sharing e le operazioni di miglioramento del trasporto pubblico, dalla rete notturna prima praticamente inesistente fino al decisivo potenziamento della metropolitana, come mezzi e come frequenza.

Ma, come detto, c’è bisogno di un balzo in avanti che non è fatto di interventi da reclamizzare sui giornali ma di interventi che compongano un tessuto, fatto di tanti fili:

– pensare la mobilità come al tessuto connettivo, l’apparato circolatorio che collega i diversi quartieri, al cui interno si circoli a 30 km/h. Oltre al centro, dove il limite già c’è, la stessa politica dev’essere applicata ovunque: pensiamo alle strade tra via Espinasse e via Gallarate, pensiamo ai quartieri che ospitano i grandi ospedali, il Niguarda, il Sacco, il San Paolo. Per mantenersi entro i 30 km/h non servono autovelox ma sistemi semplici ed efficaci: ridisegno della sosta, uso diverso degli spazi, il verde esteso dai parchi alle strade e alle piazze, modifiche ai sensi di marcia e, soprattutto, la condivisione delle strade: biciclette che, in quartieri più sicuri, potranno transitare senza difficoltà (magari anche con il doppio senso ciclabile, come già accade in molte città), insieme alle auto;

– potenziare la ciclabilità, superando il “duello” tra ciclisti e non: chi usa la bici si sta semplicemente muovendo in città, è un cittadino che sta usando il mezzo più leggero, piccolo e sostenibile e lo fa in una città potenzialmente perfetta come clima e morfologia. Bisogna eliminare tante barriere, far sì che la bicicletta si possa muovere, anche in interscambio con i mezzi, e non incanalarla in “raggi”. Bisogna promuovere ed estendere le migliori pratiche (come la “massa marmocchi”), lavorare sui comportamenti di chi si muove in città e permettere la sosta sicura delle bici. Se ad Amsterdam si possono parcheggiare 3.000 biciclette accanto alla stazione, non stupiamoci della percentuale di ciclisti in quella città. In questi anni abbiamo posizionato centinaia di rastrelliere per la sosta di oltre 1.500 bici. Questo ci fa pensare a dove eravamo prima del 2011 ma anche a dove possiamo arrivare;

– ripensare alla sosta, lavorando sulle tecnologie che permettano la sosta breve, quella di servizio, quella di necessità, incentivando quella fuori dalla strada, nelle tante strutture esterne già esistenti, ma anche ripensando alle strade e al loro attuale uso, per restituire marciapiedi e piazze ai cittadini e al verde;

– favorire il mezzo pubblico, la scelta migliore, dopo i propri piedi, per muoversi in città, proseguendo con le politiche di asservimento e preferenziazione dei mezzi di superficie, garantendo il collegamento capillare di tutti i quartieri, quale modo migliore in assoluto per garantire la permeabilità della città e dei suoi diversi centri ed estendendo il ragionamento a tutta la città metropolitana;

– pensare alla mobilità “di servizio”, incentivando il ricambio del parco veicoli di chi si sposta per lavorare e promuovendo le migliori esperienze di chi ha già scelto e attuato soluzioni interessanti, come gli “hub” di interscambio dei veicoli in città o i bike messenger;

– ragionare in scala metropolitana, con i comuni dell’hinterland per studiare insieme il dove e il quando degli spostamenti. L’assenza o la presenza di un parcheggio vicino a una stazione dell’hinterland determina la scelta del mezzo per chi abita nel raggio di 5-10 km. Una linea S che ogni giorno ritarda di 10 o 15 minuti cambia la vita delle persone. Se quella stessa linea S termina le corse alle 22, ovviamente chi vorrà venire in Darsena per la serata lo farà in auto, con le conseguenze che chiunque abiti in zona ben conosce;

– avere la forza, dopo i primi cinque anni, di mettere mano a strutture e realtà, come il contratto di servizio Atm o la Polizia Locale, da adeguare alle necessità di una visione della mobilità cittadina completamente diversa da quella di dieci anni fa;

– e infine avere la forza e la tranquillità di prendere tutte le decisioni necessarie, anche se all’apparenza impopolari o che magari sono impopolari solo per categorie la cui voce si fa sentire di più. Ridurre la velocità dei mezzi significa ridurre gli incidenti e ridurre l’inquinamento. Lo stesso ridurre il numero dei mezzi e raggiungere i livelli delle altre città europee. Togliere le auto da davanti alle scuole, come abbiamo già fatto in questi cinque anni, mantenere e innalzare l’efficacia di Area C, non estendendola, col rischio di vanificarne gli effetti, ma rendendola parte di un sistema in cui il traffico diminuisce e non ha ragione di passare per il centro città.

Il risultato di queste politiche sarà l’innalzamento della qualità della vita della città, risultato per cui è valsa la pena e varrà la pena confrontarsi, anche duramente, con chi la pensa diversamente.

 

Stefano D’Onofrio

 



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