23 dicembre 2015

DOVE LA POLITICA MILANESE È IN COMA. FORSE NON IRREVERSIBILE


Fino al primo di maggio scorso la politica milanese è stata tutta in apnea: l’attesa per l’apertura di Expo 2015 faceva trattenere il fiato. A Expo inaugurata, poi, nessuno ci ha salvato dalle sciocchezze, anche di Renzi, dette a proposito dei “gufi”, quelli che avrebbero goduto di un fallimento di Expo. Salvo qualche cretino, categoria che non manca mai, nessuno se lo augurava perché la questione era un’altra, per chi voleva capire: l’appannamento del tema e la deriva verso una grande evento a natura prevalentemente gastronomica. Una grande fiera “del” Paese Italia. E questo è stato.

01editoriale45FBAl primo di maggio la politica ha ripreso il fiato ma non ovunque. L’atmosfera, con l’arrivo delle primarie, è diventata qua e là irrespirabile. Per restare al linguaggio meteorologico: l’atmosfera stagnante invasa dalle polveri sottili del personalismo e del carrierismo non era più spazzata dal vento delle idee.

Senza idee la politica va in coma. Questo è successo  per una fetta della politica milanese con il famoso documento del 14 ottobre scorso, sottoscritto anche da sei assessori della Giunta uscente. Come ho detto in un precedente editoriale, era iniziata la diaspora: tutti dispersi e alcuni senza idee. Un coma forse non irreversibile e ci sono due date per osservarlo: il 7 febbraio – le primarie – e probabilmente un giorno di giugno, per le Amministrative. Da qui ad allora potremo vedere se quella parte della politica milanese è uscita dal coma, si è risvegliata e le idee hanno ricominciato a circolare: dobbiamo cercarle nei programmi, se le troveremo, se c’è consistenza e se avranno preso il posto degli affanni per il potere e basta.

Mercoledì scorso al De Amicis, durante una manifestazione di appoggio organizzata da sei assessori firmatari del famoso documento del 14 ottobre a una mia domanda sulla necessità di uscire allo scoperto con un programma Giuseppe Sala ha risposto: in primo luogo esiste in molti maître à penser l’idea che sia inutile perdere tempo nell’elaborare programmi perché poi la gente vota emozionalmente; in secondo luogo che lui, Sala, anche se sa che il tempo è poco, ritiene che alcune idee di fondo vadano declinate.

Con questi maître à penser sono in totale disaccordo, soprattutto per le primarie: chi va ai seggi, una minoranza di cittadini, – l’ultima volta poco meno di ottantamila – è un elettorato avvertito, quindi sensibile ai programmi. Il pericolo è che le truppe cammellate dei candidati prevalgano, alterando i risultati di quello che in realtà dovrebbe anche essere un sondaggio di opinione. Può succedere.

Quanto al desiderio di Sala di declinare almeno alcune idee di fondo, non posso che essere d’accordo con lui ma i sei assessori di sostegno lo contraddicono perché si sono frettolosamente aggregati e insistono nel dire di seguirlo solo sulla base del famoso documento che ho più volte citato e che tocca un unico solitario tema, importante, quello della Città Metropolitana oltre al consueto ormai logoro discorso sulla continuità che lo stesso Sala interpreta a modo suo: continuità nella diversità, quasi un ossimoro. Un’aggregazione, dunque, sul poco, direi sul nulla, non certo su di un programma: il potere come legante.

Tra i maître à penser favorevoli al voto emozionale ci sono certamente gli assessori supporter di Sala: sfruttare il successo di Expo, fin che dura, e su quest’onda di notorietà scivolare nuovamente in Giunta senza fatica, dimentichi di sé e del proprio profilo politico. Le idee ci devono essere e vanno declinate in proposte con alcune condizioni, in parte dettate dal linguaggio dei tempi come il problema della disambiguità.

Quello della disambiguità diventa una sorta di requisito dell’onestà intellettuale. Lasciamo da parte le parole libertà, democrazia, giustizia e così via – disambiguare queste sarebbe troppo lungo e fuori luogo qui e ora – ma su altre non si deve essere ambigui: civismo, partecipazione, riforma della burocrazia, edilizia sociale, bisogni, aspettative, politica delle periferie, sussidiarietà, politiche metropolitane, cultura, valorizzazione delle risorse umane, tanto per elencarne alcune. Parlando di programmi è importante capirsi.

Quanto alla declinazione delle idee bastano poi pochi requisiti: dire cosa si propone, attingendo a quali risorse (economiche, intellettuali, normative ….), con quali strumenti, in che tempi, con quali priorità e con quali alleanze sociali. Se poi qualcuno dei candidati riuscisse a dirci quali sono le conoscenze dei vari aspetti della realtà milanese che hanno determinato le sue scelte e le sue proposte, di là degli slogan elettorali, noi, forse “ipercritici” cittadini attivi ne saremmo felici. Ritrovare competenza in chi si candida fa bene. Alle primarie.

 

Luca Beltrami Gadola

 

 

 

 



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