23 dicembre 2015

VICENDA SCALI TRA MIOPIA, INTERESSI FORTI E CARRIERISMO


Nel 1995 con gli architetti Andrea Balzani e Luca Imberti, elaboravo per le Ferrovie dello Stato il “Progetto preliminare di fattibilità per il riuso degli impianti ferroviari dismessi in Milano” (pubblicato poi in “Il processo di valutazione nella pianificazione urbana” ed. Supernova, 2001). Il progetto era ispirato al nuovo assetto della distribuzione delle merci in Berlino, per cui gli scali davano luogo a un sistema armonico di centri urbani di raccolta e distribuzione di merci alimentati dalla ferrovia in entrata, per dar luogo in uscita a un sistema su gomma di distribuzione agli assi commerciali, che assimilava la consegna delle merci a quella delle linee di trasporto pubblico di persone.

02longhi45FBQuesto progetto si faceva carico dell’ammodernamento del sistema logistico urbano con lo scopo di diminuire la pressione ambientale della distribuzione al commercio, aumentare la biodiversità grazie ad ampie destinazioni a parco, e infine, aumentare la produzione di sapere grazie alla localizzazione della “Grande biblioteca” e di spazi destinati all’Università Statale sull’ex sedime dello scalo Vittoria. Il progetto, accompagnato da un dettagliato programma di valutazione economica e ambientale dimostrava come il profitto economico derivato dalle attività di distribuzione delle merci si accompagnava a un rilevante profitto sociale in termini di aumento della salute (per la diminuzione degli inquinanti generati dal sistema distributivo delle merci), del sapere, per le funzioni legate all’Università, della qualità della vita associata, grazie alle destinazioni a parco.

In colorito dialetto romanesco i responsabili della gestione immobiliare delle FS giudicarono il progetto estremamente interessante, ma distante dai desideri della gente che, secondo loro, era famelica di posti per mangiare e alla ricerca di un’abitazione, da qui un immaginario fatto di supermercati e di alta densità abitativa. Inizia così la stagione di una prassi che ritiene normale l’appropriazione del patrimonio pubblico, quali gli scali ex ferroviari, a fini privati (con la benedizione degli enti governativi predisposti alla difesa dei beni pubblici), che ignora i limiti allo sfruttamento ambientale e gli obiettivi in termini di qualità dell’edificazione imposti dalle convenzioni internazionali, che ignora le regole elementari dell’economia ritenendo infinita la domanda di residenze in città.

Questo avviene oggi in un momento di apatia civile che colpisce anche gli operatori culturali, non si contano infatti le proposte ‘progettuali’ delle nostre facoltà di architettura e urbanistica, che danno acriticamente forma fisica ai discutibili scopi dei soggetti  economici e politici. È la stagione in cui secondo Latuor “siamo stati tentati di sostituire la politica con la gestione aziendale (management) e l’esercizio della democrazia con la terribile parola governance”, per cui le decisioni sono prese al riparo di forum ristretti composti da gruppi selezionati d’influenti “stakeholders”, che prendono su di sé il diritto di risolvere i problemi decidendo tra loro. Questo ha limitato e limita seriamente la trasparenza del processo decisionale e inoltre disabilita la discussione pubblica – generando un corto circuito nel processo politico democratico.

Questa stagione ha l’apice con le operazioni fondiarie innescate con l’Expo e i partiti che agiscono come le ragazze pon pon delle forze in gioco, con il corollario di indebitamenti bancari e l’ingenuo tentativo di imporre improbabili destinazioni d’uso alla malcapitata Università Statale. Ma dopo vent’anni di ‘governance’ siamo alla fine di un’epoca. Nel mese scorso Roberto Biscardini, con il supporto di Giorgio Goggi, in un’approfondita relazione nella sede della Scuola civica di arti e mestieri rende i cittadini consapevoli degli effetti negativi di scelte quantitative estranee agli interessi della città e lesivi del suo patrimonio, la bocciatura in Consiglio dell’accordo di programma fra Comune e Ferrovie dello Stato ne è una logica conseguenza.

Ma questa mossa penso non debba essere letta solo per i suoi effetti economici rispetto al contenimento di una bolla edilizia ormai in crescita alla pari del deterioramento del patrimonio pubblico, essa è un segnale rilevante per un sollecito rinnovo dei processi democratici, a partire dalle candidature dei partiti in occasione delle prossime elezioni amministrative.

Negli ultimi venti anni all’attenzione verso gli interessi fondiari non è corrisposta uguale attenzione verso la trasformazione della democrazia nella direzione della crescita esponenziale dell’importanza del “discorso da cittadino a cittadino”, cioè del dibattito pubblico in quanto significativo spazio di espressione delle ragioni, con lo spostamento dei centri di gravità della democrazia dai partiti ai cittadini. Questa disattenzione è il frutto della sottovalutazione degli effetti della connettività, dell’incapacità di operare in rete, di sviluppare politiche proattive, cooperative e condivise, di agire per feedback con cittadini e portatori d’interesse.

Il risultato è stato l’abbandono di politiche e strumenti in grado di affrontare i reali problemi della popolazione quali la disoccupazione tecnologica, l’abbassamento della qualità ambientale, l’esclusione dalla partecipazione attiva alla rigenerazione produttiva e ambientale della città.

Alla luce di tutto questo sono inspiegabili le candidature imposte, proposte o emerse dal partito di maggioranza: come quella di uno dei rappresentanti più significativi dell’epoca della ‘governance‘, il dottor. Giuseppe Sala, o di altre candidate che propongono visioni ‘manageriali’ della politica o ricorrono ai tavoli come surrogato della leadership. Un partito o dei movimenti veramente progressisti devono progettare invece di limitarsi a sfruttare lobby e idee nell’illusione di aggiudicarsi l’elezione.

In questa direzione sarebbe interessante far evolvere le primarie, da indicazione passiva di un candidato all’esplicitazione di idee propulsive on-line che i cittadini sono chiamati ad approvare, modificare, esplicitando il loro livello di coinvolgimento diretto. Siamo nell’era della politica 4.0, abbiamo l’agenda digitale, il modello della campagna 2008 di Obama, perché deprimerci con metodi e uomini di un passato da superare?

 

Giuseppe Longhi



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti