23 dicembre 2015

IL “DÉBAT PUBLIC”. UN FUTURO PER LA PARTECIPAZIONE A MILANO


Il “débat public” sembra ormai entrato nel lessico giornalistico: ma cos’è? È una procedura che organizza il coinvolgimento dei cittadini nelle fasi più iniziali di localizzazione e autorizzazione di una grande opera con lo scopo di legittimarla democraticamente, costruire un consenso sociale intorno all’iniziativa e prevenire l’insorgere della cosiddetta sindrome di Nimby (Not In My BackYard).

In Italia questa procedura di preventiva consultazione pubblica non è prevista (o, meglio, è per ora oggetto di previsione nel contesto del disegno di Legge Delega di riforma del codice degli appalti S. 1678. – che tuttavia limita l’applicazione dell’istituto ai soli grandi progetti infrastrutturali – e di uno specifico DDL S. 1845 a portata più generale) né è stata introdotta in occasione della approvazione della recente riforma Madìa della Pubblica Amministrazione

10viola45FBIl débat public è una procedura tipica dell’ordinamento francese dove è gestita da un’autorità indipendente – la Commission Nationale du Débat Public – che organizza il dibattito pubblico sui grandi progetti, informando la cittadinanza con un dossier – che espone obiettivi, caratteristiche del progetto, implicazioni socio-economiche, costo stimato e impatti significativi – e raccogliendone informazioni e suggerimenti: in Francia il tempo concesso per un dibattito pubblico è di circa un anno.

Anche la Gran Bretagna conosce un istituto simile e la consultazione pubblica è svolta prima che il progetto sia sottoposto ad autorizzazione. Il modello tedesco si chiama invece “perizia dei cittadini” e prevede un rapporto, che contiene una serie di raccomandazioni e consigli, di un certo numero di cittadini, estratti a sorte da un registro anagrafico, che si esprimono su questioni di politica pubblica come la pianificazione urbanistica.

I modelli stranieri hanno in comune la caratteristica di dedicare alla consultazione un lasso di tempo significativo e di svolgere la consultazione prima dell’inizio dell’esame dei progetti da parte dell’Amministrazione, quando la localizzazione e le principali caratteristiche dell’opera non sono ancora divenute sostanzialmente irreversibili e sono suscettibili di ripensamenti.

Le consultazioni – caratterizzate dalla completezza e attendibilità delle informazioni diffuse presso il pubblico sul progetto – hanno lo scopo di costruire consenso sociale intorno alla iniziativa, di far sì che la collettività locale ne conosca le caratteristiche, la funzione, i costi, gli impatti e i benefici, abbandoni le ragioni di pregiudiziale diffidenza e collabori attivamente anche alla sua elaborazione mediante proposte mitigative, migliorative o comunque modificative, nella prospettiva, in definitiva, di “appropriarsene” e “sentirla propria”.

Il tempo speso prima dell’iter amministrativo dovrebbe comportare risparmi di tempo nella fase successiva di approvazione e realizzazione dell’opera: il dibattito pubblico mira ad abbassare il grado di diffidenza dell’opinione pubblica contro il progetto e il tasso di conflittualità sociale e giudiziaria.

Affinché il débat public non si risolva però in un vuoto rito, nel quale gli apporti partecipativi dei cittadini sono destinati a rimanere sostanzialmente privi di effetti significativi, contribuendo così, come un boomerang, a incrementare sfiducia, diffidenza e risentimento sia verso l’opera pubblica che verso la Pubblica Amministrazione, sembra opportuno segnalare alcune linee direttrici.

Per essere efficace il confronto pubblico deve essere autentico: la pubblica opinione deve sapere che il suo contributo può davvero incidere sulle scelte. Ciò implica che gli stessi promotori dell’opera devono sapere che prima ancora di convincere le amministrazioni pubbliche devono, quanto meno, cercare di allargare il consenso sociale intorno alla loro iniziativa. Le amministrazioni, dal canto loro, devono ascoltare i suggerimenti della collettività abbandonando ogni tentazione elettoralistica, demagogica, o dispotica.

È indispensabile che tempi e modi del confronto siano adeguati: quanto ai tempi occorre che la collettività sia coinvolta ben prima che le scelte fondamentali siano ormai definite e definitive. Diversamente il confronto si rivelerà uno sterile adempimento burocratico che varrà semmai ad allontanare l’opera dal grado di accettazione sociale cui essa aspira

Quanto ai modi appare ineludibile il più ampio uso anche dei media informatici e il ripristino di “agorà” nelle quali si possa direttamente discutere con immediatezza, serietà e approfonditamente del progetto, dei suoi costi, della sua utilità sociale, dei suoi benefici e dei suoi impatti, con flussi informativi la cui ricchezza e completezza dovrebbe essere direttamente proporzionale al ritorno in termini di fiducia e consenso.

Coloro che partecipano al débat devono avere un riscontro oggettivo dell’utilità del proprio apporto partecipativo, per il tramite, come suggeriscono gli esempi di oltralpe, di un riscontro sul rapporto causa – effetto fra i contenuti e gli esiti del dibattito e il progetto.

Appare peraltro possibile (e forse auspicabile alla luce della scarsa dimestichezza delle pubbliche amministrazioni con i modelli partecipativi), che a garanzia e presidio della completezza, della neutralità e della effettività di tale processo sia istituita un’autorità indipendente.

Un’ultima osservazione: partecipare non è un obbligo ma una facoltà. Mi piacerebbe tuttavia che si avviasse una riflessione sulla opportunità che la preventiva partecipazione sia invece imposta – o indirettamente incentivata – per chi intenda contestare l’opera pubblica ricorrendo alla tutela giudiziaria.

Se è istituita una sede concertativa nella quale convogliare le opinioni, anche dissenzienti, di tutti (cittadini e associazioni) è giusto allora pretendere che gli oppositori si presentino lealmente quell’appuntamento, confrontando le proprie ragioni con quelle di tutti, svelando ex ante le ragioni di insoddisfazione, la lesione dei propri interessi, le critiche al percorso formale in modo da consentire agli altri attori di porre rimedio ai vizi della procedura, anche negoziando soluzioni di compromesso.

Ma in caso di diserzione dal débat public dovrebbe essere precluso – o quantomeno limitato – il ricorso al giudice ex post, “a gamba tesa”, per ragioni di carattere formale e sostanziale, mai sollevate prima nel corso della procedura.

In altri termini il débat public può certamente aiutare anche il nostro Paese a evolversi verso un assetto maggiormente partecipativo ma a condizione che tutti gli attori – imprese, pubbliche amministrazioni, cittadini e loro associazioni – si responsabilizzino e siano disposti ad abbandonare gli usuali schemi della paralizzante contrapposizione fra “cementificatori” e comitati del “no a tutto”.

In attesa del legislatore Milano potrebbe provarci per prima, volendo.

 

Simona Viola



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