23 dicembre 2015

sipario – MAGDA E LO SPAVENTO


MAGDA E LO SPAVENTO

di Massimo Sgorbani

regia di Renzo Martinelli con Milutin Dapcevic e Federica Fracassi produzione Teatro i

(dalla trilogia “Innamorate dello spavento“)

 

Magda e lo spavento” é una rilettura distorta e grottesca del mondo immaginario di Walt Disney, deformata dalla lente dell’ideologia nazista, da parte di un’interprete femminile (Magda Goebbles) che, completamente sopraffatta dal fascino spaventoso del Führer, abdica al suo ruolo di materna rassicurante narratrice di fiabe, per trasformasi in sacerdotessa allucinata, servitrice devota ai valori del Reich, creatrice di significati filosofici che ne legittimino l’orrore, dispensatrice di vita e di morte.

sipario45FBLo spettacolo é il terzo di una trilogia in cui si confrontano tre personaggi femminili (Blondi, il pastore tedesco ciecamente fedele al suo padrone; Eva Braun compagna e poi moglie di Hitler; Magda Goebbels, moglie del ministro della propaganda e madre dei suoi sei figli) accomunati dalla medesima venerazione per l’incarnazione del male che ha segnato la Storia recente.

Nel testo che conclude il progetto “Innamorate dello spavento” tale amore devoto e perverso si esprime non più nella forma del monologo come in “Blondi” ed “Eva“, bensì attraverso il confronto macabro con un Hitler dalla fisionomia vampiresca, interlocutore in un dialogo macabro sulle “trappole morali” dei cartoni animati, i cui personaggi divengono chimere dell’inquieta mitologia moderna, frutto di metamorfosi interrotte che generano creature “inferiori”, esseri “subumani”, verso i quali i sentimenti di simpatia o tenerezza nascondono in realtà ribrezzo e paura.

I nani di “Biancaneve” divengono allora mostri deformi, ai quali un residuo di dignità è riconosciuto solo in virtù della loro assiduità al lavoro più umile e per il fatto di “preservare” la bellezza di Biancaneve fino all’arrivo del salvifico principe dalle fattezze indubitabilmente ariane, nel quale Magda riconosce un alter ego del Führer (senza il quale ogni  lavoro o sforzo del popolo tedesco sarebbe vano).

Ancora più inquietanti sono i personaggi animaleschi cui Walt Disney attribuisce tratti e comportamenti umani: Mickey Mouse e Minnie, Donald Duck e Pluto, si trasformano nell’incarnazione dei timori del Führer a proposito di un’umanità destinata a degradarsi tanto più quanto più gli “esseri inferiori, animaleschi” tentano di sovvertire la gerarchia dell’evoluzione e assurgere al rango di uomini. Questi ultimi a loro volta vengono privati della loro dignità e ridotti a uno stato bestiale nel momento in cui cedono alle loro pulsioni corporee; ciò che per gli animali é istinto vitale per gli esseri umani diventa osceno, innominabile, colpa degna di punizione.

Per Hitler i personaggi dell’universo disneyano divengono oggetto del più profondo disprezzo mascherato da simpatia e addirittura tenerezza, ma é Magda a dovergli spiegare i motivi di tali sentimenti, proprio come farebbe con i suoi bambini, ma qui offrendo una versione stravolta, feroce e spiazzante delle fiabe.

Quella messa in scena sul palco é dunque, nuovamente, una femminilità sottomessa ma al tempo stesso estremamente potente, una maternità rinnegata fino all’infanticidio, che rifiuta il parto come atto bestiale ed esalta il fascino della morte in quanto completamento dell’essere umano, che solo morendo raggiunge l’apice della sua evoluzione e “viene alla luce” finalmente nella sua interezza. Questa prospettiva, accompagnata dalla fede in di un eterno nulla senza rimorso, rende desiderabile la fine non solo per il suicida Hitler, ma anche per Magda e la sua prole.

Tutto si svolge in un ambiente surreale: non solo il bunker di Berlino si configura come luogo ritagliato fuori dalla realtà del mondo, in cui i due personaggi possono abbandonarsi alle loro allucinazioni schizofreniche e a una progressiva disumanizzazione, ma lo spazio stesso in cui si svolge la scena é separato dalla platea da una “quarta parete” che funge da telo riflettente per ombre danzanti di cartoni animati e contemporaneamente da filtro distanziante rispetto alla macabra recita che si svolge sul palcoscenico. Tale sottile trasparente confine é continuamente infranto non solo dalla consapevolezza dell’orrore storico che si cela al di là della finzione, ma anche dalla violenza con cui gli spettatori sono continuamente investiti dal susseguirsi di luci e suoni (ticchettii, stridori, tuoni, allarmi aerei, ma anche musiche ed effetti sonori dei cartoons) che la regia orchestra in maniera eccezionale sincronizzandoli con i dialoghi e i gesti degli attori.

Qualsiasi possibile distanziamento protettivo crolla definitivamente nel momento in cui, a conclusione del dramma, il protagonista infrange l’illusione della scena per rivolgersi direttamente alla platea e al mondo. Egli indossa una maschera di anonimo mimo, trasformandosi nel simbolo per eccellenza del teatro, che nega tuttavia la finzione evocando la fisionomia assolutamente riconoscibile del Führer e ricordando come la minaccia della follia disumanizzante sia sempre attuale, ripetibile, annidata ovunque, forse anche nella fantasia e nelle fiabe.

Magda e lo spavento” conclude il percorso con cui Massimo Sgorbani ha voluto affrontare il tema del nazismo, presentandolo da un punto di vista inedito, attraverso un triplice sguardo femminile e innamorato, che stravolge i significati su cui riposa la coscienza comune, spiazzando lo spettatore.

Non a caso l’autore milanese è uno dei più incisivi del teatro italiano contemporaneo, capace di coinvolgere e scuotere il pubblico con rappresentazioni che suggeriscono la natura viva dei testi e la verità, talvolta crudele, che si nasconde dietro la messinscena. Per sua stessa ammissione, egli predilige il monologo (che é sempre monologo interiore) ritenendolo lo strumento più adatto a esplorare in profondità i personaggi, rivelando le connessioni non logiche o pre-logiche che si svolgono nella loro coscienza, mentre la forma del dialogo costringe a una maggiore razionalità e resta spesso ancorato all’azione e alla concretezza.

Quello affidato alla magistrale interpretazione di Federica Fracassi (l’attrice italiana più premiata del momento, interprete sensibile alle nuove drammaturgie, alle scritture più visionarie e feroci del teatro sperimentale) e del serbo Milutin Dapcevic (attore brechtiano che qui veste i panni di un accanito dandy) é tuttavia un colloquio che sa recuperare il vuoto non-senso precedente la logica della comunicazione e al tempo stesso svelare il buio nascosto in due coscienze estremamente lucide, fredde e sistematiche nella loro follia, capaci di sostenere filosoficamente e con rigore scientifico la validità delle loro allucinazioni, restituendo un’immagine del male, dello “spavento” non come frutto del caos bensì dell’ordine e causa non di ribrezzo bensì di fascino e amore.

Chiara Di Paola

 

Teatro Puccini dal 15 al 20 dicembre 2015

 

 

questa rubrica è a cura di Emanuele Aldrovandi e Domenico G. Muscianisi

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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