16 dicembre 2015

SOLO UN FRAMMENTO DEL PROBLEMA URBANISTICO: GLI SCALI FERROVIARI


La recente bocciatura, in Consiglio Comunale, della bozza di Accordo di Programma sugli scali ferroviari, non deve far pensare, come si legge su tutti i giornali, a meri dissidi nella maggioranza a scopo elettorale, ma a più consistenti e cogenti problemi di merito. Problemi che attengono alla qualità della vita dei cittadini e al loro accesso a servizi, lavoro, salute, a Milano, nella Città Metropolitana e in buona parte della Regione.

02goggi44FBCi troviamo di fronte a un paradosso: in Milano esiste una quantità sempre maggiore di aree pubbliche disponibili per la rigenerazione urbana, altamente accessibili da tutta la Regione, perché situate presso stazioni del passante ferroviario o della metropolitana. Al contempo, molte importanti funzioni pubbliche vengono destinate fuori città, in luoghi meno accessibili, lasciando queste aree strategiche a destinazioni di generico mix funzionale – a prevalenza residenziale.

Ci si deve chiedere se esista e quale sia la strategia di localizzazione delle funzioni e dei servizi nella città di Milano e nell’area urbana milanese. Se davvero vogliamo che la città metropolitana con tutta l’area milanese-lombarda, sia la città di tutti i milanesi, il criterio di localizzazione delle grandi funzioni e dei servizi deve essere rigoroso. Deve essere in favore degli utenti: in luoghi che consentano al più vasto insieme di persone di raggiungere nel modo agevole e diretto il servizio o la funzione cui si rivolgono.

Quindi, non disseminare funzioni su tutta la città metropolitana, ma in primis inserirle nei nodi della rete di trasporto pubblico in ragione della loro gerarchia, ma senza trascurare la rete stradale. Solo questo criterio consente la migliore accessibilità alla più vasta platea di utenti, senza discriminare alcuno. Nell’area milanese, invece, sono state fatte e si stanno facendo scelte in netta controtendenza. Dato preoccupante, che in futuro potrebbe generare costi più elevati per l’erario, per le famiglie e le imprese e amplificare la congestione degli spostamenti nell’area urbana.

Le aree attualmente disponibili sono in gran parte pubbliche (comprendo tra queste anche le aree FS, seppure trasferite a una SpA, comunque pubblica) e un criterio di buona amministrazione vorrebbe che, per funzioni e infrastrutture pubbliche essenziali, fossero utilizzate innanzitutto le aree pubbliche. Sembra invece che la strategia urbanistica che per loro si delinea sia soltanto quella di rendere la città più abitata o più edificata con un mix di destinazioni ordinarie. Ma la strategia non dovrebbe essere innanzitutto quella di rendere la città migliore per i cittadini?

Questa strategia, invece, sottende l’ipotesi che la domanda immobiliare sia infinita, (quando sappiamo che oggi nessun imprenditore ha le risorse necessarie per interventi di grande portata come gli oltre 670.000 mq di SLP previsti negli ex-scali). Se prendiamo in considerazione proprio la bozza di Accordo di Programma per gli scali ferroviari, notiamo piccole differenze tra le destinazioni d’uso genericamente previste (mi riferisco a quote di edilizia sociale e alla destinazione a verde dello scalo di San Cristoforo): ma perché in queste aree non sono previste funzioni ancor più differenziate? Perché non si è pensato a un grande parco, per esempio destinandovi tutto lo scalo di Porta Romana?

Perché non concentrare l’edificazione terziaria presso la stazione del passante a Farini?  Così gli uffici pubblici, che l’Agenzia del Demanio vorrebbe spostare a Expo, sarebbero ben più accessibili a tutti gli abitanti dell’area urbana lombarda. Perché le Università non vengono concentrate sulle aree ex – ferroviarie vicine alle stazioni del passante, come prevedeva il Documento Direttore del Passante ferroviario del 1984 che allora riorientò strategicamente il PRG del 1980?

La bozza di Accordo di Programma degli scali ferroviari evidenzia come, dal 2005 a oggi, la volontà politica è cambiata radicalmente: da quella di utilizzare aree destinate a servizi pubblici per generare altri servizi pubblici (nella fattispecie, nuove infrastrutture ferroviarie, ossia il secondo passante) si è passati al mero scopo di rimpinguare le casse di Ferrovie dello Stato SpA, traendone soltanto benefici marginali (un po’ di verde, un po’ di edilizia sociale e interventi che le FS autonomamente dovrebbero fare se fossero interessate ad attrarre passeggeri).

Consideriamo anche il caso di Città Studi: i due importanti ospedali presenti in Città Studi (Istituto dei Tumori e Neurologico Besta) dovrebbero essere trasferiti a Sesto San Giovanni, sulle aeree ex-Falk (su 200.000 mq), quindi su aree di proprietà privata e – soprattutto – servite da un ramo secondario delle FS che non fa parte della rete passante. Peraltro, quelle aree sarebbero distanti 500 m dalle stazioni della ferrovia e della metropolitana, quindi con evidenti problemi di accessibilità per gli utenti, soprattutto per i non milanesi.

Ci chiedevamo quale logica urbanistica fosse sottesa a tutto questo, finché le notizie svelate dal Fatto Quotidiano non hanno manifestato uno scenario diverso. Purtroppo la motivazione è la stessa che ha fatto spostare la seconda sede della Statale dalla stazione del passante di Porta Vittoria, ove era prevista dal Documento Direttore Passante, a Bicocca, guarda caso sullo stesso ramo secondario delle FS (allora in soccorso di Pirelli, oggi di Bizzi).

Ora si propone – e sembra che tutti ne siano entusiasti – di spostare le facoltà scientifiche della Statale nell’area Expo (divenuta pubblica a caro prezzo). Purtroppo l’area Expo, come ho argomentato in un mio precedente articolo, per funzioni come l’università e altre attrattive di pubblico, ha un’accessibilità più apparente che reale. Il suo utilizzo per questa funzione richiederà rilevante spesa pubblica in infrastrutture aggiuntive, costi e disagi per gli utenti.

Eppure in Città Studi è disponibile e pubblica l’area dell’ex-macello e del mercato avicunicolo, di 173.035 mq, direttamente soprastante la stazione del passante ferroviario. Ora è destinata a un generico Piano Attuativo (1). Perché l’Università non si estende su queste aree? Oppure perché non vi sono stati destinati gli ospedali? Anche l’intero Ortomercato, ora obsoleto e senza più raccordo ferroviario, inopportunamente rimasto in città (in tutto il mondo queste funzioni sono tenute fuori città) potrebbe diventare una grande risorsa pubblica per localizzazioni strategiche con elevata accessibilità.

Cosa succederà a Città Studi dopo il trasferimento degli Ospedali e delle facoltà della Statale?  Sarà tutto sostituito da edifici residenziali? Chi li acquisterà? Gli attuali addetti a queste funzioni andranno a ingrossare la massa dei pendolari o si dovranno trasferire nelle confortevoli abitazioni offerte dagli immobiliaristi del luogo? Il punto oggi maggiormente dolente è l’edilizia sociale, il cui deficit è dell’ordine di grandezza di 30.000 famiglie.

Abolito da tempo il contributo Gescal, ora si sta pervicacemente tentando di sopperire al fabbisogno di edilizia sociale tramite l’imposizione di un ruolo di solidarietà all’edilizia privata, su aree private, inventando percentuali di SLP per categorie. Il PGT si affida a quantità dello 0,20/0,10/0,2; quella che un tempo si chiamava “edilizia sovvenzionata” – e che interviene sul vero disagio sociale – è confinata nello 0,2% e tutto si risolve spesso nella sola edilizia ex “convenzionata”. Nel caso degli scali ferroviari, le percentuali sono un poco più elevate, ma sostanzialmente analoghe: 3,3% per l’edilizia “a canone sociale”, poco più di 200 alloggi.

Ora dovrebbe essere chiaro che l’edilizia sociale, quella ‘vera’, si fa su aree pubbliche e con finanziamenti pubblici diretti a questo scopo. Le aree pubbliche, come abbiamo visto, a Milano non mancano (per le risorse perché non pensiamo al ripristino e aggiornamento del meccanismo Gescal?). Conviene ricordare che il vero scopo dell’Urbanistica è progettare la città: modificare la sua struttura coerentemente a una strategia di assetto futuro, non solamente limitare o accrescere le quantità edilizie. Non ha nessun senso abbassare le volumetrie da 0,5 a 0,35 mq/mq quando poi si determina una città dalla struttura carente, che non consente ai cittadini di accedere agevolmente al lavoro e allo studio, aumentando i loro costi e disagi e la necessità di investimenti pubblici aggiuntivi.

Dopo l’approvazione del PRG del 1980, nel 1984 il Comune approvò il Documento Direttore del Passante ferroviario, che orientò la grande strategia urbanistica di Milano per mezzo della collocazione delle grandi funzioni sulle reti. Oggi avremmo bisogno di un analogo atto di lungimiranza e di coraggio.

 

Giorgio Goggi

 

(1) È da notare che queste aree sono in diretta continuità con quelle non utilizzate di P.ta Vittoria, per il fallimento dello sviluppatore che le deteneva, oltre che per la mancata realizzazione della BEIC sull’area pubblica, l’insieme costituirebbe uno straordinario polo accessibile da tutta la regione.  Non va poi dimenticata l’area “Porto di Mare” su passante, M3, e svincolo autostradale, 850.000 mq, di proprietà comunale, oggi prevista a verde.

 

 

 



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