16 dicembre 2015

NOI, LE NOSTRE UTILITY E IL RISCALDAMENTO GLOBALE


Se ci trovassimo nella seconda metà del ‘700, agli inizi della prima rivoluzione industriale, il bilancio naturale del ciclo del carbonio sarebbe in sostanziale pareggio. Purtroppo, anche se in termini solo di qualche punto percentuale rispetto a quelle naturali, le emissioni dovute alla combustione delle fonti fossili, a partire soprattutto dal carbone, hanno iniziato a rompere l’equilibrio del sistema di termoregolazione offerto dalla Natura per l’indispensabile e benefico “effetto serra”.

09fiori44FBNegli ultimi 200 anni, infatti, la concentrazione in atmosfera del gas serra CO2 (anidride carbonica), è cresciuta del 40% rispetto a 800 mila anni di sostanziale stabilità al di sotto delle 300 ppm (parti per milione). Il fatto è che da un lato gli oceani non riescono più a compensare del tutto l’aumento della sua presenza, dall’altro, l’uomo continua a mutilare con la deforestazione la capacità della vegetazione di assorbirla grazie alla fotosintesi clorofilliana. Ad aggravare la situazione ci pensano alcuni comportamenti dell’uomo quando abusa della disponibilità di energia, intesa peraltro come un qualunque “bene di consumo”: per l’edilizia residenziale, ad esempio, il suo fabbisogno energetico assorbe circa il 30% dei consumi nazionali che comporta un aumento delle emissioni di CO2 del 25% per avere più di 20° per il riscaldameto invernale delle case e non oltre i 24° per il loro rinfrescamento nei periodi estivi.

In Italia, l’art. 117 della Costituzione investe di responsabilità le Regioni in “materie di legislazione concorrente”, su temi come quello della tutela delle foreste e più in genere dell’ambiente, del risparmio e dell’efficienza energetica, della gestione del traffico urbano ed extraurbano e, per ora, del trattamento dei rifiuti. È appena il caso di ricordare che tutti questi settori d’intervento sono affidati in generale alle utility, cioè ad aziende a totale o preminente capitale pubblico, di proprietà delle municipalità e degli enti regionali.

Nel mese di luglio rappresentanti di città e regioni dei cinque continenti si sono riuniti a Lione per raccogliere impegni e proposte da presentare alla Conferenza sul clima che in questi giorni si è tenuta a Parigi. Uno degli organizzatori dell’incontro, Ronan Dantec dell’UCGL, il Network globale delle città e dei governi locali, ha dichiarato: «Vogliamo dire agli Stati che senza il coinvolgimento dei territori non riusciranno a rispettare i loro impegni. È sul territorio che si vince o si perde la sfida ai cambiamenti climatici. Il nostro messaggio è questo: siamo pronti a darci da fare. Prendete degli impegni e noi vi seguiremo. …. Questo è il nostro impegno e questo il nostro messaggio».

La California è lo Stato americano più ricco con un Pil maggiore di quello Italiano, circa 2.200 miliardi di dollari. Ebbene, il suo responsabile per l’ambiente, Matthew Rodriguez, dopo avere annunciato in quella sede l’obiettivo del suo Stato di volere ridurre le emissioni di gas serra del 40% entro il 2030, ha aggiunto: «Il lavoro sulle tecnologie pulite e i programmi ambientali hanno portato denaro in California: circa 5,7 miliardi di dollari in capitale di rischio per finanziare tecnologie pulite ogni anno. Attualmente, l’energia solare fornisce 65mila posti di lavoro nel nostro Stato. Questa è la dimostrazione che il passaggio da un’economia tradizionale a un’economia verde innesca un meccanismo che promuove la crescita economica».

Circa il ruolo delle città per la decarbonizzazione, ecco cosa dice l’UE: «Le città svolgono un ruolo fondamentale come motore dell’economia, luoghi di connettività, creatività e innovazione e centri servizi per le zone circostanti. Grazie alla loro densità, le città hanno un potenziale enorme di risparmio energetico e di spinta verso un’economia a zero emissioni di carbonio.»

Tenuto conto che circa il 70% della popolazione mondiale vive nei centri urbani, non può che essere determinante il ruolo che hanno le amministrazioni locali nell’impartire gli indirizzi ai loro “bracci armati”: le loro utility. Queste aziende con gestione privatistica, pur essendo, come già detto, a capitale pubblico, possono diventare motore sia per la vivacizzazione delle attività economiche legate allo sfruttamento del territorio, sia per la innovazione dei sistemi produttivi in settori come quello della produzione di energia. Il riferimento è chiaramente all’indispensabile abbandono del ricorso alle fonti fossili. La battaglia si perde o si vince a secondo dell’impegno che i territori sapranno mettere in campo per l’efficienza e il risparmio nell’uso dell’energia.

 

Benito Fiori

 

 



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