10 dicembre 2015

LA VICESINDACA BALZANI CANDIDATA PER “COMPETERE”


Con Sant’Ambrogio si è chiarito un po’ meglio lo scenario, pur sempre in movimento, delle primarie milanesi. Resta ancora da sciogliere il nodo Sel. Ma veniamo ai candidati maggiormente in vista e alle loro dichiarazioni. Di Pierfrancesco Majorino sappiamo tutto, credo. Dice Giuseppe Sala: “Sono disposto a candidarmi a condizione che le primarie non siano una lotta tutta interna al Pd”. Chi possa dargli questa garanzia non mi è chiaro. Solo gli avvenimenti da oggi alla scadenza fissata per le primarie potranno dire se è in corso una lotta interna o no. Se ci sarà Giuseppe Sala che farà? Quali sono i suoi parametri di giudizio? Si ritirerà all’ultimo minuto? Dovrebbe dircelo.

01editoriale43FBLe dichiarazioni più interessanti sono quelle della vicesindaca Francesca Balzani a Otto e mezzo: “Non mi candido contro Sala ma vorrei dare una proposta in più ai milanesi che non voterebbero volentieri né per Sala né per Majorino”. Un modo di candidarsi che potrebbe dare una svolta interessante alle primarie: non solo per scegliere un candidato sindaco ma per sentire il polso della città che non batte tutto all’unisono e che stimola l’emersione di un ventaglio ampio di opzioni da “pesare” per valutare le priorità di un programma amministrativo prima di andare avanti. La vittoria è l’obbiettivo principale, ma la competizione è importante per la città. Importante in che senso? Importante per portare alle urne delle primarie il maggior numero possibile di futuri elettori, importante per riportare le primarie a quel ruolo di “carotaggio” delle opinioni del corpo elettorale che ne è il principale presupposto.

Se questo davvero fosse il percorso, non si evita comunque un secondo ostacolo: il “patto di lealtà” firmato, se non sbaglio, da Pd, Sel, Italia dei valori, Milano civica, Centro democratico, Centro popolare, Democrazia solidale, lista Milly Moratti e Verdi e dal quale Sel ha però poi preso le distanze. Il patto di lealtà va letto insieme alla Carta dei Valori, il famoso documento degli undici saggi. Il patto di lealtà, la più recente declinazione del vecchio centralismo democratico (Lenin, Che fare, 1902), dovrebbe sancire che chi si candida, dopo aver sottoscritto la Carta dei Valori che delimita il perimetro ideologico della futura coalizione, accetta il risultato delle primarie e si impegna a sostenere il candidato vincente alle successive elezioni amministrative.

Premesso che i patti di lealtà sono già in sé una questione discussa e che chi li difende a spada tratta è quello stesso Renzi che disse a Letta “Enrico stà sereno!”, per reggere questi patti hanno una condizione essenziale: l’assenza di contraddizioni troppo marcate tra programmi. Se i programmi dei candidati dello stesso schieramento sono molto diversi e persino in antagonismo e nella campagna per le primarie questo aspetto emerga visibilmente (la preoccupazione di Sala?), mantenere il patto di lealtà diventa una impresa ardua e, per chi troppo supinamente si adeguasse, una amara delusione per i suoi elettori.

Siamo di fronte a un problema vecchio quanto il mondo della politica e della economia: gruppi sociali, politici ed economici (oggi ahimè anche militari) che competono con altri, vivono al loro interno inesorabilmente il conflitto tra solidarietà e competizione. Questo tra l’altro dovrebbe essere molto chiaro a Giuseppe Sala che entra in politica avendo un passato di manager nell’arena dell’imprenditoria privata: sa meglio di me quanto questo conflitto sia costato al mondo delle associazioni di categoria nella tutela dei loro interessi economici e sindacali. Non solo dunque un virus della sinistra.

Lo scenario alternativo, addirittura opposto, che faciliterebbe il mantenimento del patto di lealtà, si avrebbe se i programmi dei candidati differissero di poco o fossero inesorabilmente, per essere simili, scialbi ed evanescenti. Tutto il confronto si sposterebbe dai programmi alle persone: dalle persone alle loro truppe, dalle persone al loro noto o meno noto background.  Per Milano sarebbe meglio? Meglio un futuro cucito col filo debole del detto e del non detto, del taciuto e del sottinteso? Come sempre bisognerà trovare un equilibrio ma sono tempi grami per gli equilibristi.

 

Luca Beltrami Gadola

 

 



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