10 dicembre 2015

GIUSEPPE SALA, IL FUTURO NON È UNO SLOGAN


Così pare che i vassalli abbiano ottenuto l’assenso del principe per le primarie e così sono tornati a Milano a chiudere l’esperienza amministrativa. Ma questo potrebbe essere un abbaglio o una distrazione perché con la candidatura di Sala alle prossime elezioni comunali ciò che viene accreditata è la mortificazione della politica pubblica come espressione della Polis. Un grand commis che ha ben portato a termine una manifestazione internazionale come l’Expo 2015 e che continua a conoscere e riconoscere l’azione politica come atto di nomina e non come processo nel quale assumersi la responsabilità di essere protagonisti.

04cortiana43FBMi rendo conto che il metro valutativo in voga ritiene questa considerazione spregiudicato e romantico velleitarismo, mentre apprezza positivamente la capacità di stare all’interno o nella scia della cordata capace di riconoscenza tangibile. Si tratta di una valutazione più cieca che cinica, a fronte dell’evidente crisi di legittimità di assemblee istituzionali votate da percentuali sempre più ridotte di cittadini e di governi eletti da una minoranza di questi. Nonché di una crisi di legalità di fronte ad assemblee e istituzioni di governo metropolitano che nessuno dei cittadini ha potuto direttamente votare e scegliere.

I cittadini rifiutano questa politica così come sono rifiutati da essa o vengono usati attraverso l’ingegneria elettorale per legittimare scelte avvenute in un altrove che non è nello spazio pubblico.

Qual è il progetto di Milano che si propone ai milanesi di condividere? Quale partecipazione informata al processo deliberativo sul futuro per il dopo Expo che non siano i TG o i giornali? Quali funzioni allocare nelle stazioni dismesse? Quale futuro per un servizio pubblico di eccellenza, unicità ambrosiana, come il CAM-Centro Assistenza Minori? Quale futuro per l’Ortomercato dentro una delle pianure più feconde? Quale futuro per la Villa Reale che congiunge il retroterra manifatturiero del design in mostra negli show room cittadini? Quale housing sociale? Quale strategia di risparmio energetico e di produzione da fotovoltaico per gli edifici esistenti e per quelli da ristrutturare?

Quali correzioni a una metropolitana che attraversa per l’ennesima volta il centro storico più servito e meno abitato d’Europa e non si prolunga verso Cesano Boscone e Pioltello? Quale controllo dei reati ambientali, appena definiti per legge, se si sopprime la Polizia Provinciale che li rileva? Che fare con/del progetto del mega ipermercato a Segrate? Quali possibilità per essere abitanti e non residenti del proprio quartiere e della Città Metropolitana? Senza visione e senza passione non si esprimono né i bisogni né i desideri dei cittadini, sopratutto si confonde la realtà con le dinamiche autoreferenziali proprie del ceto politico in ricollocazione. Qualcuno tra gli aspiranti e contendenti, che si propongono o che vengono proposti sul palcoscenico elettorale, è mai andato oltre la circonvallazione della 90-91? Con le scale e i sottopassi dei cavalcavia usate come latrine, con il verde pubblico rinsecchito e abbandonato, con i bidoni per i rifiuti in plastica e senza disegno come arredo urbano, a differenza di quelli centrali.

Hanno provato a fare una comparazione con il centro vetrina? Ci vuole amore per la città, perché cultura municipalista e politica crescano insieme, perché attraverso l’immaginazione e il progetto partecipato la politica ritrovi il senso della realtà e si offra come spazio esistenziale anche ai giovani milanesi. Il patto tra interessi privati e oligarchi pubblici, consociativo e traversale, comprensibilmente trova una figura funzionale in un capace grand commis per il packaging elettorale ma non un patto per la rinascita della res publica, necessario a Milano come l’aria pulita.

Per questo occorre riprendere il filo del grande racconto di Milano come capitale di un’opinione pubblica avvertita e partecipe, contro l’idea e luogo comune di una città per furbi e calcolatori che accompagna la deriva finanziaria dell’economia con una politica che deve vendere sogni colorati di empatia e partecipazione. Per ridare corpo a una tradizione civile di cui si possa andare orgogliosi non occorre inventare, occorre connettere esperienze, domande e professionalità che quando hanno potuto si sono manifestate dai referendum al Giardino dei Giusti, dalla Via d’Acqua per il cemento e le tangenti alla collocazione del Teatro Burri, dalla denuncia delle distorsioni della M4 alla legge popolare per l’elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitani.

Mettere in gioco un libero pensiero, critico e creativo, in sintonia con le energie del presente, per investire in questo nostro tempo: pensiero per sfidare il presente ma insieme pensiero per costruire il presente. Non c’è cultura, né azione politica efficace senza passione del proprio tempo. Non c’è politica senza un pensiero e una pratica in discontinuità dalle consuetudini e dalla loro retorica che inchioda il futuro al passato. Superando le vecchie e inaridite appartenenze, le ossessioni e i ricatti di memorie ferite, la politica si svolge nel punto in cui si incontrano immaginazioni diverse che congiurano per un nuovo patto politico. Per questo gli astenuti dalle percentuali elettorali non vanno considerati invisibili assenti.

Riprendere il filo del racconto di Milano significa promuovere un’idea espansiva della libertà come attiva partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. “La libertà politica significa infatti il diritto di essere partecipe del governo oppure non significa nulla” affermava Hannah Arendt. Assicurare ai cittadini gli strumenti utili a “conoscere per deliberare” proponeva Piero Calamandrei, nella consapevolezza che l’intreccio di pensiero e azione è il motore propulsivo della partecipazione attiva alla vita pubblica. Una declinazione laica di una politica che protegge, custodisce, riveste gli abitanti della città di tutti i diritti civili, che vanno declinati e garantiti, ma afferma anche il valore dei diritti politici, che fanno di una persona un cittadino attivo.

Politica non è solo rappresentazione dell’esistente, ma rappresentazione degli ‘invisibili’, la realtà molecolare e disaggregata degli outsider i cui interessi non contano e non pesano nei rilevamenti statistici o nelle simulazioni dei sondaggi: che non hanno espressione e finiscono schiacciati e confusi nell’area indifferenziata del non voto e della renitenza civile. Non sono tutti poveri. Non sono tutti disoccupati o sottooccupati. Non sono tutti marginali. Non sono tutti stranieri. Ma sono tutti clandestini della politica, esclusi dalle logiche della rappresentanza e della decisione pubblica. Si tratta di cittadini la cui precarietà, prima ancora che da condizioni economiche e sociali, dipende da ragioni di esclusione e di afasia politica: refrattari alla vita pubblica e, proprio in quanto politicamente e intellettualmente più esigenti, non corrisposti dalle logiche privatistiche, antipolitiche, anticulturali che in questi anni hanno monopolizzato la sfera istituzionale.

Il principale compito intellettuale ed esistenziale della politica consiste nel riaccendere l’immaginazione progettuale della società. La politica deve rispondere con parole e azioni adeguate alle opportunità e alle sfide della scienza e della tecnologia nell’era della globalizzazione, dotandosi delle forme procedurali e istituzionali che possano governare i processi e i progressi dell’innovazione consentendo una partecipazione pubblica informata e rendicontando del suo operato e di ciò che è stato della sua proposta.

Davvero nulla di personale con attori e registi ma è lo spettacolo e il medium, che ci vogliono spettatori da sondaggio, ad essere indigesto.

 

Fiorello Cortiana

 

 

 



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