10 dicembre 2015

MILANO 2016 E L’ATTUALITÀ DEL CIVISMO MILANESE


Il civismo milanese, colorato di arancione, cinque anni fa, fu decisivo nel successo elettorale di Pisapia e servì da viatico all’affrancamento della nuova classe politica dirigente milanese, da pressioni, condizionamenti e interessi che negli anni precedenti avevano potuto godere di favorevoli guarentigie. Sono stati determinati nel respingere il radicalismo velleitario propenso più al boicottaggio di Expo che a concorrervi da altra prospettiva. È a partire dall’Expo, e dall’approssimarsi delle elezioni che la sinistra radicale e non solo lei, ha germogliato l’esigenza di distinzione, confermandosi ancora una volta in difficoltà nel dover distinguere tra esigenze di principio e visione di governo a più lungo termine, così come nell’affrontare la modernità, che irrompe nella vita della comunità senza richiedere il loro permesso.

05merlo43FBIl civismo milanese, ha quindi svolto un ruolo positivo di contraltare e remora alle tentazioni radicali e anche per questo è apparso subito dissimile dalle altre esperienze. La sua più rilevante specificità è rappresentata dalla polifonia degli accenti, ma che convergevano, come da tradizione del riformismo milanese, sul solidarismo interclassista. La sua forza è stata l’eterogeneità del movimento: il comitato dei 51 (poi 100), espressione della classe dirigente e della borghesia solidale di Milano; i Civici per Pisapia, espressione del senso civico di appartenenza che si mettevano in gioco per far cambiare (bilancio in arancio); e i comitati spontanei di quartiere, nelle vesti di sentinelle, per l’intercetto delle micro esigenze dei quartieri; un’originalità di genetiche politiche, per nulla interessate a ricercare rivincite con la storia.

Tutt’altro che marginale è stato il contributo del civismo milanese nel raggiungimento di molti risultati positivi, sia tramite la presenza nelle istituzioni e sia con la capacità di ricercare per innovare. Dal 2011 al prossimo 2016, di passi avanti se ne sono fatti e il riscontro più enfatizzabile è il consolidamento dell’immagine positiva di Milano non solo per gli eventi a supporto dell’economia del fashion e del design, ma ancor di più dopo l’eccezionale dimostrazione di efficienza funzionale dimostrata con Expo che proiettano Milano nel sistema delle città globali.

Già, a partire dal prossimo anno, tutto ciò farà parte del passato, e la declinazione del futuro non può basarsi sulla retorica del passato riducendo il tutto alla semplificazione enfatizzata della continuità. È di tutta evidenza che il prossimo quinquennio amministrativo richiede, già da sin subito il conforto di un progetto che muovendo dai ritardi, incompiute e omissioni, ipotizzi la visione di quale Milano perseguire per la fine del prossimo quinquennio e anche oltre. Il futuro del terzo millennio è di per sé sempre diverso, invocare una pedissequa continuità esclusivamente per ragioni di geografia della politica non può più essere sufficiente, e senza l’immaginazione visionaria, la continuità diventa il mantra della conservazione che elude la realtà e si fa prodromo dell’immobilismo.

La Milano globale del dopo Expo necessita forse più di discontinuità e diversità che di continuità, soprattutto per quanto concerne la cultura nell’interpretazione della governance: e ciò è richiesto non solo dalla competizione globale tra le città, ma anche dalla trasformazione istituzionale della Città Metropolitana, sin qui forse un po’ troppo snobbata, sia perché non adeguatamente affrontata per i suoi limiti normativi e sia nella valutazione delle potenzialità compromesse per l’assenza di una legislazione speciale per Milano. Al disinteresse del Comune capoluogo, ha fatto eco l’altrettanto disinteresse dei Sindaci della vasta area, ognuno geloso più delle proprie prerogative che interessato a un nuovo soggetto istituzionale. Il debito che lascia la in eredità alla Città Metropolitana, la dismessa Provincia, non giustifica un rinvio “sine die”, del modello e delle funzioni; se alla “Ferrari”, non è data la “benzina”, è altrettanto vero che non serve fintanto che la Ferrari rimane virtuale. Eppure di modelli di governance di vaste aree cui ispirarsi ve ne sono molteplici, basta semplicemente saperli analizzarle e sceglierne il più adatto, ma una domanda scatta spontanea, politica e istituzioni hanno le conoscenze adeguate per poterne valutare appieno gli impatti immediati e quelli prospettici?

È proprio per rispondere a questo quesito, che il civismo milanese non può e non deve ammainare la propria bandiera arancione. La legittimazione del civismo, indipendentemente da Pisapia, è giustificata proprio da un futuro che non è affrontabile con concezioni autarchiche della politica e dell’amministrazione, la complessità dei problemi è destinata a infrangersi contro gli scogli di una cultura vieppiù inappropriata, inasprendo il distacco tra popolazione e istituzioni. La nuova frontiera del civismo non può che essere quella promuovere la realizzazione di un sistema integrato tra politica, amministrazione e il civismo civile di una classe dirigente pienamente coinvolta in una sistematica permanenza di vasi comunicanti e di coinvolgimento nella responsabilità degli obiettivi.

Milano è la città italiana più ricca di classe dirigente con senso civico di appartenenza, a partire  dal mondo della formazione e ricerca, dal contesto economico e sociale organizzato, all’impegno del volontariato e dei singoli che sono l’espressione della continuità della solidarietà. Il civismo arancione deve essere più motore che veicolo, e perciò può farsi distrarre dai propri obiettivi di rendere più funzionali e democratiche le governance senza attardarsi nel gioco della torre per ricercare il “leaderismo marziano” di turno … .

La Milano degli anni venti necessita d’interventi epocali di scelte non differibili, richiede l’elaborazione della visione di una città che vada oltre il congiunturale, che sappia far emergere la priorità dei contenuti rispetto agli interpreti, sottraendo così il confronto alla sterilità dei pregiudizi, in una declinazione della politica amministrativa concepita più per aprioristici antagonismi spesso anche strumentali affinché la leadership appaia come la soluzione del tutto e non invece, solo come una sua parte.

 

Beppe Merlo

 



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