10 dicembre 2015

la posta dei lettori_10.12.2015


Scrive Iris Pontarini a proposito di corso Buenos Aires 25 –  Il palazzo è bellissimo, colorato, allegro. Guardandolo rende la vita in po’ più bella. E a Milano c è bisogno di colore come si vede in tante città d’Italia e d Europa

 

Scrive Niko Göttsche a proposito di corso Buenos Aires 25 – Ho letto velocemente l’articolo sul nuovo mostro di corso Buenos Aires e vorrei scagliare anch’io la mia pietra, ma non lo farò. Pietra che scaglierei volentieri sullo spillone antenna del grattacielo Unicredit, quella si è una costruzione aliena alla città. I colori vivaci in se non sono male, sono adatti ad una allegra e rumorosa festa di un quartiere che si è meticciato. A Milano come sappiamo bene viviamo due realtà contrapposte. Da un lato un piccolo centro roccaforte della “gens milanesis” che protegge l’identità storica della città con scelte molto conservatrici. È il centro che conosciamo da sempre e amiamo anche se facciamo fatica a farne parte o ne veniamo inesorabilmente emarginati.

Dall’altro tutto ciò che si sviluppa spontaneamente al di fuori delle nostre colonne d’ercole: la cerchia dei navigli di cemento o Area C. Quei grigi casermoni dormitorio costruiti velocemente negli anni ’50, dove ha proliferato la depressione e la ribellione sotto molte forme. Ora quei casermoni sono abitati da nuove popolazioni immigrate da paesi lontani per fare i mestieri più duri, con umiltà e devozione. Ebbene forse per non soccombere all’arroganza milanese hanno portato la loro cultura, i loro cibi piccanti e gli abiti colorati, la loro allegria. Che altro dovevano fare? Ben venga la tropicalizzazione se questo significa portare nuova e coloratissima vita!

Replica Pierfrancesco SacerdotiLe questioni sollevate sono interessanti e complesse. Anch’io detesto profondamente i nuovi grattacieli di Porta Nuova, simboli di un insopportabile imperialismo culturale ed economico di marca statunitense. Ma trovo altrettanto inaccettabili interventi come quello in corso Buenos Aires: frutto purtroppo non di un salutare meticciato etnico e culturale, ma del solito bieco affarismo speculativo che tanti danni ha fatto – e continua a fare – nella nostra martoriata città.

 

Scrive Guido Hugony a proposito di corso Buenos Aires 25 – Non credo sia accettabile lo scempio. Come intervenire?

 

Scrive Arnaldo Trinchero a proposito del Portello – Luca Beltrami Gadola era già presente quando i poveri consiglieri della Zona 20 di allora raccoglievano firme contro la realizzazione del Portello Sud e fecero nascere l’Associazione Vivi e progetta un’altra Milano. LBG c’era quando l’avvocato Zola e il Bambino Gesù di nome Lupi (peraltro esponente dei Fiera Milano oltre che assessore all’urbanistica) ci dicevano che tutto era già deciso (pagato?) e Sistemi Urbani stava già progettando esecutivamente il Portello Sud (due grattacieli Spadolini su viale Serra)(lo steccone col Timpano che a me – nato nel 1942 – ricordava le piccole scatole di costruzioni in legno che ci regalavano a Natale)(l’”imposizione” alla Rai di progettare una nuova sede nell’area, che fosse più della semplice compensazione degli studi storici già presenti) … .

Con in più Cl (Zola, Lupi ed altri) che insistevano perché mollassimo la preda, io cercavo una via amichevole per andare a Roma e parlare con l’AD di Sistemi Urbani il famoso Ettore Bernabei (oltre che direttore generale Rai per molti anni). Tornai con la convinzione che la Rai non aveva alcuna intenzione di avere una nuova sede e che i giochi erano già stati fatti prima e altrove. La protesta popolare fece muovere qualcosa, ma la frase di Lupi di fronte a Bassetti e il cugino di Testori titolari della lista civica per Milano “quel Timpano sarà il biglietto da visita per chi entrando dalle autostrade lo troverà su una grande piazza vasta e ariosa”.

Bene non esistendo allora Google-maps non era possibile vedere rapidamente come un urbanista non avrebbe potuto disegnare un’area diversa e migliore per una Fiera: ferrovie, autostrade, Malpensa e 800 metri di metropolitana per collegarsi a Milano e in fondo all’Italia. Sentii ancora parlare di fiere pesanti e leggere quando non servivano più (internet). Senza poi parlare delle bonifiche mai fatte soprattutto laddove per decine d’anni si faceva la doppia zincatura dei telai e la doppia o tripla verniciatura delle carrozzerie. Visto che c’era, sarebbe interessante la sua completa ricostruzione dei fatti.

Replica Luca Beltrami Gadola – Penso che cercherò ricostruire l’intera vicenda e magari farne oggetto di un editoriale appena la cronaca politica milanese sarà un po’ meno turbolenta e ci si avvii a momenti di riflessione.

 

Scrive Sergio Brenna a proposito del Portello – Nel suo intervento sul numero di ArcipelagoMilano del 1.12.2015, Alberto Caruso, espone con comprensibile orgoglio di autore le migliori qualità delle attività funzionali e soluzioni logistico-progettuali del progetto Magnete cui ha contribuito, rispetto agli altri due preferiti da Fondazione Fiera solo per la maggior offerta economica, giustamente rammaricandosi per il silenzio dell’Amministrazione comunale in questa fase di aggiudicazione, poiché – a suo dire – avrebbe poi comunque dovuto occuparsene in sede di esame del progetto urbanistico-edilizio.

Caruso, purtroppo, si sbaglia e la situazione è anche peggiore: con l’approvazione della Variante al PGT contenuta nell’Accordo di Programma del luglio 2014 (approvato dal Consiglio comunale senza fiatare e forse con due astenuti) che consente nell’edificio di viale Scarampo non più solo attività fieristiche, ma qualunque attività terziaria, il progetto edilizio che vi dà seguito potrà tranquillamente essere presentato in autocertificazione da parte degli attuatori e il Comune si limiterà a prendere atto che quanto previsto non contrasta con la Variante insita nell’Accordo di Programma.

È già accaduto con gli edifici del progetto Citylife, dopo l’approvazione del PII sul riuso dell’area dell’ex Fiera: anche in quel caso il Comune rimase in silenzio di fronte alla scelta di Fondazione Fiera di privilegiare l’offerta Citylife di 523 Milioni di euro rispetto a quella di Pirelli RE di 480 Milioni di euro, nonostante il progetto di Renzo Piano/RPBW mantenesse edifici più bassi e compatti e verde pubblico unitario,mentre quello di Citylife metteva in ombra le case vicine e sfrangiava il verde pubblico tra i propri edifici. Ancora una volta il silenzio di Consiglio comunale e Giunta è stato assordante: non solo hanno consentito ai propri rappresentanti in Fondazione Fiera di assoggettarsi supinamente alle scelte del Presidente Benedini non dando loro indicazioni su linee di indirizzo diverse, ma sapendo già addirittura che degli esiti di quelle scelte non si sarebbe mai più discusso né in Giunta, né in Commissione edilizia, né meno che mai in Consiglio.

Replica Alberto CarusoConcordo sostanzialmente con quanto hai affermato. Ti correggo soltanto sulla procedura prevista nell’Accordo di Programma, che prevede un Permesso di Costruire previa approvazione di uno “Studio di coordinamento progettuale unitario”. Cioè una sorta di Piano Particolareggiato, previsto per obbligare a un passaggio all’urbanistica. Tuttavia, in assenza di una “politica urbanistica”, che la Giunta Pisapia non ha mai avuto, questo passaggio diventa inefficace, perché si tratta soltanto di verificare la “conformità” agli strumenti, e, nel caso specifico, all’Accordo di Programma. Senza il potere di entrare nel merito. è un urbanistica … da avvocati.

Riguardo alla subalternità del Comune alla Fondazione Fiera, ti trasmetto un’informazione decisiva: il rappresentante del Comune nell’esecutivo della Fondazione, nominato da Pisapia, nel bel mezzo della vicenda Portello, nella primavera 2015, è diventato direttore generale della Fondazione. Quindi il Comune ha perso il suo rappresentante (che già aveva un comportamento pressoché assente) e poi l’ha addirittura regalato al cavalier Benedini. E nessuno ha detto niente. E non è stato sostituito. Il nostro problema è la mancanza di politica. Senza politica, la sinistra sta perdendo riconoscibilità.

 

 



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