2 dicembre 2015

LA DIASPORA DELLA GIUNTA MILANESE


Questa campagna elettorale per le amministrative sarà ricordata. Dopo quella del 2011 all’insegna della “normalità” (la maggioranza uscente compatta nel difendere la sua candidata senza andare troppo per il sottile e l’opposizione concentrata su un unico bersaglio), assistiamo a una campagna totalmente diversa: quella della diaspora della Giunta. Non passa pomeriggio, sera, sabato o domenica che in giro per la città non ci sia un assessore, solo o con qualche collega, a raccontare quel che ha fatto, quel che pensa di aver fatto, quello che vorrebbe continuare a fare o, i più generosi, quello che anche senza di loro la nuova giunta e il nuovo sindaco dovrebbero fare.

01editoriale42FBTutto quest’attivismo, anche se giustificato, dà l’impressione che la famosa “squadra” si stia un po’ sfaldando e, se il fare squadra fino a ieri era uno dei Leitmotiv più ricorrenti, oggi non lo è più e sempre meno lo sarà. Che peccato! Ma anche contradditorio per tutti quelli che negli ultimi tempi, di fronte al balletto delle candidature, allontanano da sé il problema dicendo: ”Prima la squadra e poi il suo leader”.

Per dirla tutta, non solo mi ero immaginato ma avevo anche caldeggiato, per quel che conta, che la squadra uscente e il suo capo si presentassero alla città per illustrare, ognuno con la sua parte in commedia, il bilancio consuntivo quinquennale (nessuno ironico riferimento alla pjatiletka). Sarebbe stato un modo civile e democratico per offrire ai futuri elettori argomenti di riflessione e di ragionato giudizio per non andare alle urne quasi fosse il Black Friday della politica.

Non è andata così a forse qualche altra osservazione si può fare. Alle riunioni cui accennavo gli assessori, sindaco compreso, si sono presentati a platee fatte di sostenitori già in campo alle precedenti consultazioni o addirittura a interlocutori diretti della Giunta, qualche volta addirittura partners di processi di partecipazione pur nell’accezione meno piena del termine.

Ne sono nati confronti e in molti casi suggerimenti o sottolineature di temi e argomenti utili per una campagna elettorale. Ma da chi erano composte queste platee? Erano rappresentative della base elettorale, almeno di quei 316.000 elettori che nel 2011 portarono alla vittoria di Giuliano Pisapia? Di loro ho parlato in un mio editoriale dell’ottobre scorso. Non è facile rispondere ma guardandoci intorno in quelle platee i giovani – che per me vanno dai diciottenni ai trentacinquenni – erano troppo poco rappresentati, soverchiati da cittadini in età di pensione.  Sul versante opposto, l’operazione promossa dal Comune – il Bilancio partecipativo – operazione che ha consentito anche a ragazzi di 14 anni di proporre progetti per la loro città. Sembra vi sia una sorta di cono d’ombra che oscura il nucleo anagraficamente centrale della popolazione cittadina. Antropologia del dopo Pisapia.

La domanda dunque è: chi elegge chi? A chi e come si deve parlare? Ma soprattutto chi si pensa abbia le caratteristiche per far vincere il centro sinistra a Milano? E ancora: prima l’uomo o il programma? Di programmi ancora compiutamente non si parla: la squadra, vecchia o nuova che sia, è solo evocata, i candidati alle primarie ci sono e non ci sono ma soprattutto, se mai ci sarà, manca quello designato dai partiti della vecchia coalizione.

Si sente parlare da qualche giorno di una lista civica per sciogliere il nodo del candidato sindaco: una lista pro Sala. E una lista civica di chi non condivide le scelta uscita dalle primarie? Per presentare una lista elettorale bastano 1.500 sottoscrittori (art. 3 legge 25.3.1993 n. 81) meno che per candidarsi alle primarie: che sarà mai!

Torniamo alle vecchie logiche di una campagna elettorale che ruota attorno a un nome: allora Moratti oggi Sala. Le lancette dell’orologio tornano indietro. Il modello Milano va in soffitta. Grazie Renzi o grazie Pisapia? Pare che comunque per sciogliere il nodo Giuliano Pisapia e Francesca Balzani vadano in pellegrinaggio da Renzi. Un rapporto vassallatico che non fa onore a Milano.

 

Luca Beltrami Gadola

 



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