2 dicembre 2015

NELL’EUROPA RICCA E INDIFESA MILANO È CITTÀ GLOBALE


250 anni fa Cesare Beccaria pubblicava Dei delitti e delle pene. Milano lo ha celebrato e, tra gli altri, Robert Badinter, già Ministro della Giustizia in Francia, ha concluso l’intervento con un «Merci Cesare Beccaria». Huang Feng, direttore dell’Istituto di diritto penale internazionale della Università Normale di Pechino, ha ricordato quanto recente sia la traduzione cinese del “libricino” di Beccaria, ma quanto vaste e profonde ne siano già le conseguenze sul diritto e sulle procedure penali in Cina. «Negli ultimi dieci anni, la concezione della pena di morte sta mutando. Infatti, i politici cinesi sono sempre più consapevoli degli effettivi negativi che comporta l’applicazione diffusa della pena di morte. […] Oggi, il principale ostacolo a quel movimento è invece rappresentato dall’opinione pubblica. […] Ritiene, infatti, che l’abolizione di quella pena priverà la società cinese di una necessaria difesa e distruggerà i concetti tradizionali di giustizia e retribuzione» [Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale, Dei delitti e delle pene a 250 anni dalla pubblicazione. La lezione di Cesare Beccaria, Giuffré 2015, p. 28 e p. 95].

04gario42FBL’investimento di talento e tempo di Beccaria e di Milano illuminista continua a dare frutti al di là di ogni possibile valutazione, conducendo «a nome degli uomini illuminati del Settecento e di tutti noi, una battaglia di progresso e di civiltà che l’universo del XXI secolo non sembra ancora aver compiutamente assimilato», nelle parole di Maria Gigliola Di Renzo Villata, professore di storia del diritto medievale e moderno all’Università di Milano nello stesso convegno [p. 162].

Reduce da quella celebrazione e dall’Expo universale Feeding the Planet, Energy for Life, Milano ha tutto l’interesse a contribuire al progresso di civiltà che ancora oggi sembra perdersi nelle brume e tempeste della cosiddetta globalizzazione. Le occasioni per farlo vengono da sé e la più attuale e importante, anche dal punto di vista economico, è offerta dai migranti espulsi dalle guerre e dal terrorismo nel Medio Oriente e bloccati da muri e barriere in Europa. Di fronte al loro moltiplicarsi, William Easterly, direttore del Development Research Institute della Università di NY, ci riporta alla ragione: «Un ponte fatto di cartapesta può sembrare in tutto e per tutto un vero ponte, ma la differenza diventa evidente se si prova ad attraversarlo con un camion.

Lant Princhett ha usato questa metafora per descrivere molte delle organizzazioni messe in piedi dai nuovi Stati indipendenti dopo la fine del colonialismo. Anche nel caso degli Stati più deboli, alcune parti dell’apparato governativo sono più funzionali di altre: di solito sono quelle che raccolgono da sole il reddito per mantenersi in efficienza, che possono essere gestite con un personale dotato di qualifiche molto basse e la cui esistenza è compatibile con gli interessi politici.

Il settore dell’amministrazione pubblica che soddisfa quasi alla perfezione questi requisiti è la polizia doganale: i salari delle guardie di frontiera e dei funzionari doganali possono sempre essere pagati con le tasse che riscuotono loro stessi, o in modo più ufficioso con le mazzette che estorcono agli sventurati che attraversano il confine; il lavoro di questi funzionari sembra fatto apposta per le politiche clientelari: con i proventi dei dazi doganali si possono finanziare partiti politici. Insomma, la parte più nociva dei nuovi Stati-nazione (la creazione di frontiere con i relativi costi per le persone e le merci che le vogliono attraversare) con ogni probabilità è anche la parte più funzionale. Diventare una nazione non si è rivelato un bene come si pensava: i benefici sono di cartapesta e i costi di cemento armato» [La tirannia degli esperti, Laterza 2015, pp. 328 e 330].

Milano ha le risorse per aiutare tutti noi a capire che «lottare contro l’emigrazione è anzitutto una questione di sviluppo, non solo di umanità o sicurezza. Bisogna agire a lungo termine», dice un esperto dell’Africa: «Se il moltiplicarsi dei naufragi in Mediterraneo e la morte non dissuadono dal partire, non sono i muri o le barriere artificiali eretti in Europa che ci riusciranno» [Christophe Châtelot, Jean-Pierre Stroobants et Cécile Docourtieux, «L’UE sur tous les fronts des migrations», Le Monde, 12/11/2015, p. 2]. E, dopo la seconda strage a Parigi in dieci mesi, per farci riflettere sul fatto che «le guerre dentro l’Islam, il nodo fondamentale della questione mediorientale, sono state usate, non diversamente dal passato, come uno strumento per mantenere equilibri di potenza e fare affari». «Gli europei dopo il fiasco della Libia hanno esitato e ci sono volute ondate di profughi per mobilitarli: anche i rifugiati sono stati usati come arma di pressione in questo conflitto». «Il terrorismo che arriva nel cuore dell’Europa è una sorta di risacca di questo conflitto, dei tradimenti e degli opportunismi dei protagonisti. C’è un prezzo per tutto e ora pagano gli innocenti, a Parigi come a Aleppo» [Alberto Negri, «Le ambiguità di Erdogan», Il Sole 24 Ore, 16/11/2015, p. 2].

Della strategia della tensione Milano è stata la prima vittima con la strage di piazza Fontana nel 1969 e partecipe testimone per molti lunghi anni dolorosi e, diocesi più grande d’Europa, è luogo di eccezione per togliere la maschera religiosa a conflitti e terrorismi suscitati, finanziati, manipolati e strumentalizzati da potenze e business che ora ci stanno portando alla guerra.

Unica borsa globale italiana, infine, Milano può valutarne la risposta pavloviana agli attentati: «I software, in dote agli High frequency trader [che in Europa scambiano il 42% dei volumi di borsa], tenteranno di cogliere ogni balzo della volatilità per realizzare le loro strategie» [Vittorio Carlini, «Così il robot trader gestisce il “fattore attentato”», Il Sole 24 Ore, 15/11/2015, p. 11]. A dimostrare che i mercati non solo non si autoregolano, ma esaltano le spinte esistenti, spesso creando tsunami devastanti.

L’Europa non è più al centro del mondo e per la sua ricchezza è una preda indifesa. È necessaria più cooperazione internazionale, non più competizione. Ed è urgente fondare il governo centrale europeo e le politiche europee di sviluppo, coesione, sicurezza: è la sola alternativa al tribalismo europeo e mediorientale invischiato in una guerra asimmetrica. L’euro è uno strumento politico da gestire con l’unione politica. Siamo più avanti di quanto pensiamo. Esserne consapevoli, è la chiave del nostro futuro e per molti del diritto alla vita.

 

Giuseppe Gario

 



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