2 dicembre 2015

CORSO BUENOS AIRES 25 AL BRUTTO NON C’È MAI LIMITE


Da qualche giorno si offre a chi passa in Corso Buenos Aires uno spettacolo sconcertante. Al numero 25, rimosse le impalcature, è emersa una facciata dai colori sgargianti e dagli enormi, improbabili elementi architettonici e decorativi: tra gli episodi più kitsch offerti dalla scena architettonica di Milano degli ultimi vent’anni. Prima era un semplice caseggiato ottocentesco: una casa di ringhiera piuttosto dimessa, la cui unica particolarità era l’eccezionale lunghezza della facciata, circa 57 metri. Una casa operaia come tante, con scarni decori intorno alle finestre, cornici marcapiano e un cornicione in alto, e pochi semplici balconi con ringhiere in ferro. Un edificio decoroso, insomma, senza infamia e senza lode.

10sacerdoti42FBNell’Archivio Storico del Comune si trovano solo una planimetria generale e qualche documento scritto, che riportano il nome del committente, Angelo Sesone, e la data di presentazione del progetto, 10 giugno 1864. Ora è un pugno nell’occhio: complici la legge per i sottotetti, che ha consentito un sopralzo di un paio di metri, e gli sconti legati alla normativa per il risparmio energetico, che hanno determinato l’applicazione di un cappotto termico, la facciata attuale è nuova di zecca. Al vecchio giallo sporco, tendente al beige, è subentrato un violentissimo giallo canarino, cui si accompagnano le nuove aggiunte “decorative”: paraste rosso vivo (al posto dei pluviali preesistenti), tondi e riquadri nel sopralzo (anch’essi rossi), e un florilegio di enormi balconi in cemento armato con finte mensole di sostegno e parapetti a balaustrini prefabbricati, che hanno rimpiazzato i vecchi balconi “popolari” in beola e ferro. Per non dire delle ipertrofiche fasce marcapiano e del cornicione in alto, privo di qualunque modanatura e quindi greve e sgraziato. La nuova cromia della facciata è completata dal verde acceso delle persiane e dal grigio chiaro – quasi bianco – di balconi e cornici.

Per ora di autentico resiste solo il portone, ma c’è da star certi che a cantiere ultimato avrà avuto anch’esso la sua “verniciata di nuovo”! L’intervento riguarda tutto il fabbricato, completamente sventrato per cancellare la pur minima traccia dei vecchi alloggi popolari. La facciata interna, verso il cortile, è stata oggetto anch’essa di pesante restyling: al posto della proletaria ringhiera, un nuovo ipertrofico ballatoio in cemento armato con pilastrini metallici – con tanto di controsoffitto sagomato in cartongesso e scatole per gli impianti alloggiate nei parapetti – ed enorme “cornicione” in cima, alto circa 2 metri, degno compagno di quello su strada; anche qui persiane verdi e intonaco di un giallo accecante.

Il risultato, soprattutto per quanto riguarda la facciata esterna, compete con i più blasonati capolavori del kitsch mondiale: dagli alberghi di Las Vegas, alle finte città italiane in Cina, agli outlet italiani (Fidenza Village, Serravalle Designer Outlet …). Anche a Milano non mancano episodi recenti, per fortuna minoritari, di questa fortunata tendenza internazionale: ne sono esempio due piccoli ma appariscenti edifici lungo corso di Porta Ticinese (via Gian Giacomo Mora 1 e via Scaldasole 2) – vergognosamente vicini alle chiese di San Lorenzo e Sant’Eustorgio – e il caseggiato di via Spallanzani 10 angolo via Melzo 23, a due passi da corso Buenos Aires.

Il progetto di trasformazione dell’edificio di Corso Buenos Aires 25 viene presentato nel 2011 con richiesta di permesso di costruire, che viene regolarmente concesso; due varianti, relative soprattutto agli interni degli alloggi, sono presentate nel 2014 e nel 2015. Il risultato evidenzia il basso livello culturale di committenti e progettisti – una società d’ingegneria – e la scarsa capacità di controllo del Comune di Milano: la Commissione per il Paesaggio, presieduta all’epoca da Pierluigi Nicolin, avrebbe potuto almeno contenere gli aspetti più clamorosi.

Oltre alle forme e ai colori messi in campo – una sorta d’involontaria parodia dell’architettura storica italiana, ridotta a volgare scenografia – colpisce un dettaglio che evidenzia la grettezza dell’operazione: il nuovo cappotto termico è ritagliato intorno alle insegne dei negozi preesistenti, che nella loro anarchica difformità si sovrapponevano spesso e volentieri alla cornice marcapiano originaria. Così che la nuova cornice posticcia, applicata sopra il cappotto, consiste di una serie di frammenti incastrati tra le insegne, mantenute tali e quali.

In generale, appare patetico e grottesco il tentativo di “nobilitare” una casa operaia ottocentesca con elementi “in stile” ma palesemente nuovi (le cornici, i balconi con finte mensole e balaustrini, le lesene, i tondi e i riquadri in alto), completamente sbagliati per forma, materiale, colore, dimensione, proporzione. Purtroppo i milanesi si abituano a qualunque cosa, come dimostrano altri orrori edilizi più o meno recenti, e gli sguardi di chi passa in corso Buenos Aires si rivolgono in genere alle sole vetrine, mentre le facciate passano inosservate. Forse è meglio così … .

 

Pierfrancesco Sacerdoti

 

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