25 novembre 2015

INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA. LA LOMBARDIA NON APPLICA LA LEGGE


In Lombardia l’obiezione di coscienza è quasi al 70%. Il ricorso alla pillola abortiva, la RU486, ferma al 4,5%. Sono questi i risultati più salienti dell’indagine che abbiamo condotto, come gruppo Pd, in tutta la regione, raccogliendo i dati in ogni presidio.  Il quadro è sconfortante. Solo il 65% delle strutture effettua interruzioni volontarie di gravidanza. In 7 ospedali tutti i ginecologi sono obiettori (Calcinate, Iseo, Gavardo, Oglio Po, Melzo, Broni-Stradella e Gallarate), in altri 12 sono tra l’80% e il 99% (tra questi il Fatebenefratelli e Niguarda di Milano) e solo in 8 strutture sono meno del 50%.

06valmaggi41FBDietro i numeri c’è una chiara pregiudiziale ideologica, invariata sia con Formigoni sia con Maroni, che implica il non impegno a dare piena attuazione alla legge 194, in particolare all’articolo 9, che impone di garantire la possibilità di effettuare le interruzioni volontarie di gravidanza in tutte le strutture. A oggi in Lombardia ci risulta che nessun presidio privato pratica interruzioni volontarie di gravidanza e in quelli pubblici, per sopperire alla mancanza di medici non obiettori e poter effettuare gli interventi, sono chiamati medici esterni, gettonisti, il cui costo nel 2014 è stato di 255.556 euro. Alle donne si nega il diritto alla libera scelta, garantito da una legge in vigore da 37 anni, che la giunta regionale, ancora oggi cerca di ignorare.

Ai miei occhi tutto questo è inaccettabile.  Chiediamo che nelle strutture pubbliche si mettano in atto modifiche organizzative tali da portare l’obiezione al 50%, creando bandi su progetto per l’assegnazione di ore di attività medica finalizzate alle interruzioni volontarie di gravidanza e prevedendo forme di mobilità del personale per riequilibrare il numero di obiettori e non obiettori nelle diverse strutture.  Quanto ai presidi privati è dovere della Regione attuare un controllo e imporre loro di garantire l’applicazione delle misure previste dalla legge.

La mancata applicazione della legge 194 in Lombardia è confermata anche dall’ultima relazione di attuazione del ministero della Salute. Se a livello nazionale c’è un dato positivo, la costante diminuzione delle interruzioni volontarie di gravidanza che, ricordo, era il primo obiettivo della legge 194, non si può dire altrettanto per la Lombardia. Nel 2014 per la prima volta in Italia, gli aborti sono stati meno di 100 mila (97.535) con una riduzione del 60% rispetto al 1982, anno in cui si era riscontrato il valore più alto. Nella nostra regione le Interruzioni volontarie di gravidanza sono state 15.912, il 5,2% in meno dell’anno precedente, un decremento minore di quello di altre 15 regioni, tra cui Valle d’Aosta (-17,5%), Umbria (-11,2%) e Marche (-10,2%). Una profonda contraddizione.

La Regione che, se non altro per i pregiudizi ideologici che la muovono, dovrebbe puntare di più a ridurre le interruzioni volontarie di gravidanza è in realtà una di quelle che meno raggiunge l’obiettivo. Questo, nonostante sia stata l’unica a finanziare una misura economica di sostegno alle donne che rinunciano ad abortire, il “Nasko”. La misura, evidentemente inefficace, racchiude in se la matrice oscurantista ma anche la miopia della giunta Maroni.  L’accesso è stato limitato alle donne straniere: vi possono accedere solo quelle che risiedono da almeno 2 anni nella regione e questo nonostante siano proprio loro quelle che, in percentuale, ricorrono di più all’aborto.  Nel 2013 il 41.4%, (per un totale di 6913) delle interruzioni di gravidanza sono state effettuate da donne straniere, a fronte di un’ovvia presenza minoritaria nella popolazione femminile lombarda.

Meglio sarebbe, come abbiamo chiesto più volte, aderire, come già altre regioni, al progetto di prevenzione dell’aborto mirato alle straniere, promosso dal ministero della Salute. Ma questo alla giunta Maroni pare non interessare. Se i dati generali sono sconfortanti quelli sull’utilizzo della pillola abortiva, la Ru486, sono ancora peggiori. Dalla nostra indagine, condotta anche in questo caso presidio per presidio, è emerso che la Lombardia è al quindicesimo posto tra le diverse regioni per l’uso del metodo farmacologico autorizzato dall’Aifa nel 2009; nel 2014 è stato utilizzato solo nel 4,5% dei casi (era il 3,3 nel 2013), a fronte del 30,5% della Liguria, del 27% della Valle d’Aosta e del 23,3% del Piemonte.

All’origine di questo c’è, in primis, il fatto che 30 strutture sulle 62 che effettuano interruzioni di gravidanza non utilizzano la RU486. Spesso non viene neppure proposta come metodo alternativo a quello chirurgico; inoltre passa troppo tempo tra la certificazione e l’effettiva esecuzione delle interruzioni volontarie di gravidanza e questo fa scadere i termini (49 giorni) entro i quali è possibile somministrarla. A questo si aggiunge che, per la RU486, viene applicata in maniera ferrea l’indicazione nazionale dei tre giorni di ricovero, a differenza dell’Interruzioni volontarie di gravidanza chirurgica che è eseguita in day hospital.

Altre regioni hanno deciso di non applicare alla lettera la legge e consentire alle donne che decidono di interrompere la gravidanza di scegliere il metodo meno invasivo: in Emilia Romagna, per esempio, la RU486 viene usata in day hospital e in Toscana è possibile somministrarla anche nei consultori. Il nostro auspicio è che la Lombardia faccia altrettanto.  Applichi le linee guida nazionali in modo più ragionato e soprattutto informi le donne di questa possibilità, mettendole nella condizione di scegliere.

 

Sara Valmaggi

Vicepresidente del Consiglio regionale

 

 



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