25 novembre 2015

LA MILANO IN PRIMA LINEA SULLA VIOLENZA ALLE DONNE


“Sette anni di maltrattamenti e dieci di stalking. Se sono sopravvissuta è perché ho avuto una gran fortuna”. Lo dice in modo un po’ più colorito, Giulia, una delle protagoniste del documentario “Donne dentro” di Marzia Pellegrino. Ma il senso è chiaro: uscire dal tunnel di una violenza così privata sembra a volte un’impresa impossibile. Un’altra donna, Daniela, nel video dice: “Mio marito mi ripeteva: se mi lasci, io esco di qui in manette ma tu esci in una bara”.  Storie di “ordinaria” violenza domestica. Intrecciate con quella raccontata da Giovanna, madre di una trentenne uccisa dal marito, in cui il tragico epilogo c’è stato davvero.

08longoni41FBC’è grande emozione alla fine del filmato, proiettato sabato 21 novembre alla Casa delle Donne di Milano nel nuovo spazio di via Marsala. E non solo perché sono presenti in sala, insieme alla regista, una delle protagoniste e sua figlia Maura, la ragazza che ha denunciato il padre. Ma anche perché le donne del documentario – la madre della giovane assassinata, le due quarantenni vittime di violenze e le loro figlie ventenni – restituiscono una realtà sconvolgente attraverso gesti e parole quasi banali nella loro quotidianità, intorno a tavoli da cucina e su divani di case normali.

Alla vigilia del 25 novembre, la giornata internazionale contro la violenza sulle donne indetta dall’Onu. Come ogni anno si elencano i dati: 74 donne uccise nei primi sei mesi del 2015 da un uomo con cui avevano avuto una relazione familiare o affettiva, 5 mila denunce. Ma soprattutto si cerca di capire.

“È da quando mia figlia è diventata adolescente che ha preso corpo l’idea del documentario” dice la regista Pellegrino. “L’ho girato pensando a lei, ai ragazzi e alle ragazze della sua età quando si affacciano alle prime relazioni: com’è facile scambiare per amore il possesso, il non-rispetto dell’altro, il controllo della sua libertà, magari solo per un messaggino … . Il mio documentario è nato come progetto per le scuole ed è per questo che sto girando l’Italia. Spesso, prima della proiezione, i ragazzi sbuffano, si aspettano la solita noia. Ma quando le luci si riaccendono sono ammutoliti e assorti, pieni di interrogativi”.

Parlare ai ragazzi e alla ragazze, e ascoltarli, è un passo decisivo per prevenire la violenza contro le donne. Ma ce ne sono molti altri. Perché non siamo all’anno zero e la realtà già ci offre un quadro ricco e articolato di associazioni che da anni lavorano per dare alle donne sostegno psicologico, assistenza legale, case rifugio.

“Non illudiamoci che il maltrattamento riguardi solo situazioni disagiate o donne fragili. In vent’anni di lavoro a Milano abbiamo verificato che la violenza – fisica, psicologica o economica – può colpire qualsiasi donna” dice Cristina Carelli della Casa delle Donne Maltrattate di Milano, 25 mila donne assistite dal 1986, mille colloqui e 200 processi legali avviati solo nel 2014. “Per trovare in sé la forza di reagire, le donne devono essere accompagnate in un percorso personale, che parta dai loro tempi e dai loro bisogni, e rispetti la loro privacy”.

Le fa eco Barbara Carattoni, della cooperativa sociale milanese Cerchi d’Acqua, novemila donne accolte in quattordici anni di attività. “Per ottenere esiti positivi occorre l’anonimato, l’ascolto senza pregiudizi, il rispetto della volontà della donna e dei suoi tempi, cose che non sempre la giustizia e le leggi garantiscono”.

“Nelle aule dei Tribunali spesso manca l’umanità verso le donne vittime di violenza” ragiona Francesca Garisto, avvocata della Casa Donne Maltrattate. “Molti giudici sono ancora pieni di pregiudizi. E mentre in un normale processo penale, pensiamo per esempio a una rapina, la persona offesa è anche il testimone principale, nei processi per violenza c’è ancora diffidenza, servono ‘altre prove’ per dimostrare che la donna dice la verità”.

“Anni fa, in un processo cui ho partecipato, il giudice ha interrogato i vicini della vittima chiedendo loro quale tipo di biancheria intima stendesse fuori dalle sue finestre” conferma Daniela Fantini, ginecologa, attiva nel Servizio Violenza Sessuale e Domestica della Clinica Mangiagalli. “Ora le cose stanno cambiando, ma dobbiamo continuare e rendere sempre più efficace la formazione rivolta ai poliziotti, agli operatori degli ospedali e della Croce Rossa, agli stessi magistrati”.

È un problema di cultura e di sensibilità. Ma non solo. Nonostante la grande presenza dell’impegno volontario, i centri di aiuto e le case rifugio costano. La legge 119 del 2013, chiamata “legge contro il femminicidio”, ha stanziato, per il 2013-14, 17 milioni di euro assegnati alle Regioni. Di questi, 2,7 milioni sono destinati alla Lombardia, che ha 16 Centri antiviolenza e 10 case rifugio e ha assistito, solo l‘anno scorso, 3500 donne. Ma questi fondi ancora non si sono visti: lo ha denunciato, nella conferenza stampa del 23 novembre scorso, la Rete lombarda delle Case delle Donne e dei Centri Antiviolenza.

 

Grazia Longoni



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