17 novembre 2015

IL CONSIGLIO DI STATO SULLE UNIONI OMOSESSUALI: PASSO INDIETRO E LA LEGGE DOV’È?


Ancora una tappa giudiziaria importante sull’intricata questione delle unioni omosessuali per le quali mancando una legge regolatrice nel nostro Paese, la giustizia si trova a far da supplente e non risolve il problema. Il Consiglio di Stato, il 27 ottobre, ha stabilito che le trascrizioni negli archivi di stato civile dei comuni italiani degli atti di matrimonio tra persone dello stesso sesso contratti all’estero sono nulle. Il matrimonio omosessuale, per i giudici, è privo “dell’indefettibile condizione della diversità di sesso fra i nubendi”.

12livigni40FBL’anno scorso il Sindaco di Roma aveva fatto trascrivere nei registri di stato civile matrimoni celebrati all’estero di 16 coppie che ne avevano fatto richiesta al comune. La decisione di Marino seguiva una soluzione simile già adottata dal Sindaco di Bologna e poi seguita anche dal Sindaco di Milano e da altri in base a quel principio di reciprocità per cui due persone sposate all’estero sono sposate anche in Italia, e viceversa.

Solo un breve inciso, per quanto riguarda la nostra città: dall’istituzione del registro delle cosiddette coppie di fatto, a oggi oltre 1000 coppie hanno annotato i loro nominativi in Comune, configurando un vero e proprio record numerico italiano.

Nel frattempo, il Ministro dell’Interno Alfano aveva espresso parere contrario, sostenendo che le trascrizioni erano contrarie alla legge italiana e non avevano pertanto alcuna validità giuridica. Il Ministro dell’Interno, nella circolare inviata ai prefetti il 7 ottobre 2014, evidenziava la non conformità della trascrizioni dei comuni alle leggi italiane. Si diceva inoltre che “la disciplina dell’eventuale equiparazione dei matrimoni omosessuali a quelli celebrati tra persone di sesso diverso” rientra “nella competenza esclusiva del legislatore nazionale”. La circolare riportava anche la “diversità di sesso” come requisito per ritenere giuridicamente valido il matrimonio.

L’allora Prefetto di Roma, basandosi su questa circolare, aveva annullato il provvedimento del Sindaco e la stessa cosa aveva fatto il Prefetto di Bologna: due coppie e lo stesso Comune di Roma avevano presentato tre distinti ricorsi amministrativi al TAR. E ben quattro TAR, in differenti decisioni, avevano stabilito che l’annullamento delle trascrizioni nei registri comunali dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero poteva essere disposto solo dall’autorità giudiziaria ordinaria (quindi da un tribunale civile) e non dal ministro dell’Interno o dal prefetto.

Il Consiglio di Stato ha sostanzialmente accolto gli argomenti di Alfano (i matrimoni omosessuali non possono essere trascritti per lo stesso motivo per cui in Italia non possono essere celebrati) e ha ribaltato la sentenza dei TAR: i prefetti hanno il potere di “autotutela sugli atti adottati contra legem dall’organo subordinato”. Infine, i giudici hanno stabilito che negli atti europei o nei trattati internazionali non è presente alcun “diritto fondamentale al matrimonio omosessuale” che possa risultare vincolante anche per le autorità italiane.

Sono moltissime le coppie italiane dello stesso sesso che si sono sposate all’estero, dove è possibile convolare a nozze con la persona che si ama, non importa se uomo o donna. L’hanno fatto (e continuano a farlo) perché da noi non si può, e ciò non perché la società italiana non sia pronta, ma perché la tematica dei diritti civili, con tutte le implicazioni che ne conseguono, non è mai affrontata in modo chiaro e netto dal Legislatore che rimanda la questione e si limita a generiche petizioni di principio.

La stessa Corte europea dei diritti dell’uomo, lo scorso luglio, ha condannato l’Italia per non prevedere alcuna disciplina in materia di unioni omosessuali, evidenziando tra l’altro, polemicamente, che “il governo ha esercitato persistentemente il proprio diritto a contestare queste pretese [di diritti]”. Una contestazione che ha trovato, nella questione della trascrizione delle unioni omosessuali nei registri comunali dello stato civile, la sua rappresentazione più evidente.

Insomma, l’ultima decisione del Consiglio di Stato, ennesimo atto di un balletto giuridico che dura da tempo, deve davvero suggerire con vigore alla politica che la questione delle unioni tra persone dello stesso sesso è da affrontare subito con gli strumenti legislativi più opportuni, non demandando alla decisione di questo o quel Tribunale un aspetto fondamentale della vita di tanti nostri concittadini.

Lo chiede l’Europa, ma non solo: lo chiedono migliaia di uomini e donne che vogliono avere il diritto di volersi bene e di vedere riconosciuto questo loro amore davanti allo Stato e ai concittadini.

E, sotto questo aspetto, considerato il numero davvero importante di nostri concittadini milanesi che hanno richiesto la trascrizione nei registri comunali della loro unione, la nostra città può dirsi davvero pionieristica con l’espressione di una moderna esigenza di veder riconosciuti dei veri e propri diritti in un aspetto fondamentale della vita di una persona, quale appunto l’affettività.

Ci auguriamo che da Milano giunga forte e chiaro un segnale al Legislatore che prenda una posizione chiara per favorire questo diritto.

 

Ilaria Li Vigni



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