4 novembre 2015

GLI ANTICORPI DI MILANO E L’ANTIMAFIA SOCIALE


Ci sono molti elementi rassicuranti nelle parole spese da Raffaele Cantone nei confronti di Milano durante la cerimonia in cui il Sindaco gli ha consegnato il Sigillo della città, la scorsa settimana. Un riconoscimento non solo alla giunta uscente, che della trasparenza e della lotta alla corruzione ha fatto una bandiera, un vero e proprio modus operandi, ma a tutto il modello Milano i cui risultati sono «frutto di profonda sinergia istituzionale».

02liva38FBDa poche parole – provenienti però da una fonte autorevole – è emersa non solo una rinnovata purezza, di cui andare fieri, ma anche l’apprezzamento per un modello che funziona. Modello che, peraltro, forse con un eccesso di retorica, si prova a esportare, chiamandone gli artefici ad altri ruoli di responsabilità, come dimostrano, da ultimo, le nomine di Paolo Tronca a Commissario del Comune di Roma e di Giuseppe Sala (per ora) a membro del Consiglio di Amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A..

Tuttavia, è noto, la sfida per la legalità, necessita sempre di nuovi stimoli, continui confronti e un’incessante lotta contro l’oblio. In particolare, per dirla con il titolo di un bel libro di Claudio Magris (C. Magris, Livelli di Guardia. Note civili 2006 – 2011, Garzanti, 2011), richiede di mantenere costantemente alti quei «livelli di guardia» necessari la per costruzione di una società in cui gli anticorpi verso corrotti e corruttori siano vivi e attivi.

Certo che, a leggere l’ultima relazione semestrale (pubblicata a fine aprile 2015, appena prima dell’inizio di Expo) del Comitato antimafia del Comune di Milano, presieduto da Nando Dalla Chiesta e composto, tra gli altri, dal Direttore di questo settimanale c’è da essere, per una volta, (moderatamente) ottimisti. Le frasi di Cantone, infatti, trovano una conferma (o meglio un’anticipazione), in maniera puntuale, dettagliata e circostanziata nella relazione.

Già, perché come si legge sin dall’introduzione del documento, pur continuando ad affrontare «quei fenomeni di natura mafiosa che gli è stato chiesto di osservare e segnalare all’Amministrazione cittadina, nelle loro manifestazioni effettive come anche nel loro progredire potenziale» il Comitato questa volta ha ritenuto di fornire anche «un quadro di riferimento aggiornato delle tendenze e dinamiche positive che si stanno affermando nella città di Milano proprio a contrasto del fenomeno mafioso».

Si tratta, in particolare, di espressioni di civismo attivo inquadrabili sotto la definizione di «antimafia sociale», che si vanno rafforzando in città e generano una nuova consapevolezza, per cui si fa più remota la (disdicevole) sensazione di un vuoto di azione. A tal punto che – afferma il Comitato – «è forse possibile dire che oggi a Milano, di fronte alla mafia, nessuno è più solo».

La sfida dell’antimafia e la battaglia per la legalità sono, insomma, sentimenti diffusi, che coinvolgono diverse articolazioni della città, cominciando dalle scuole, le università, le associazioni di categoria, i teatri e si manifestano anche attraverso luoghi, simboli e momenti di condivisione collettiva. Tra questi, ad esempio, si annovera quello del Teatro Dal Verme dove lo scorso 28 ottobre, l’Associazione Civile Giorgio Ambrosoli ha ricordato la figura di Peppino Impastato con parole e musica nell’ormai annuale Giornata della Virtù Civile. Oppure, i tre giorni del quarto Festival dei Beni confiscati alle Mafie, promosso dal Comune di Milano e sostenuto da diversi partners, tra cui l’Associazione Libera, l’Università Statale di Milano e Radio Popolare che divamperà per la città il prossimo fine settimana, dal 6 all’8 novembre.

Tre giorni di dibattiti, letture, spettacoli teatrali, proiezioni, pedalate e giochi di squadra nei diversi luoghi cittadini sequestrati alla criminalità organizzata che saranno sede delle diverse iniziative, quasi come fortini di legalità da conoscere e condividere. Senza dimenticare gli incontri di Palazzo Marino (dove sarà ricordata Lea Garofalo, ospite don Luigi Ciotti) e di Palazzo Reale, dove l’Associazione Sulleregole promuove un dialogo tra Gherardo Colombo e Massimo Recalcati i quali si domanderanno quale sia la responsabilità delle relazioni personali in una società orizzontale per la promozione di comportamenti improntati alla trasparenza ed alla legalità.

Di certo, il Festival si presenta come un’occasione imperdibile per riflettere sull’importanza che la gestione sociale dei beni confiscati alla mafia sta avendo nella costruzione e nel rafforzamento dello spirito di antimafia sociale, di cui parla il Comitato nella citata relazione. Già, perché assistere all’assegnazione di beni una volta sede di malavita e malaffare a enti con finalità sociale trasmette un senso rassicurante sul futuro della città (e forse del paese). Sensazione che aumenta laddove si scopre che, dopo mesi o anni di lavoro la realtà sociale aggiudicataria è stata in grado di far rinascere un sito (vuoi anche solo un box o un piccolo appartamento), dando lavoro, garantendo assistenza e, in generale facendo riscoprire a spicchi di territorio la bellezza della legalità.

In Lombardia i comuni in cui esistono beni confiscati sono più di centottanta. Milano in particolare, fino al mese di gennaio di quest’anno ha ricevuto in carico – ai sensi di quanto dispone l’art. 48 del cd. Codice Antimafia, vale a dire il d.lgs. 159/2011 – ben 155 unità immobiliari, di cui, secondo i dati aggiornati al 29 maggio 2015, ben 148 sono state poi assegnate in concessione a titolo gratuito ad enti no profit promotori di progetti con finalità sociale e istituzionale. Si va da piccoli appartamenti, scantinati, box, mansarde sino ai 2.000 metri quadrati e 15 ettari di terreno agricolo della cascina Chiaravalle, a due passi dalla famosa abbazia, che è ormai divenuta un pensionato per famiglie senza casa e un luogo per iniziative socio culturali di promozione della legalità.

Il quadro complessivo che ne esce è quello di una Milano, per usare ancora le parole della relazione del Comitato, che «non è affatto rassegnata all’avanzata delle organizzazioni mafiose». Anzi, sempre più fiera di alcuni cambiamenti positivi che su questo fronte si sono generati negli ultimi anni. Certo, non basta. Perché la malavita è tuttora ben radicata, l’ndrangheta, diceva bene Corrado Stajano nelle giornate di Book City presentando la ristampa del suo libro sulle vicende del paese calabrese di Africo (C. Stajano, Africo: una cronaca italiana di governanti e governati, di mafia, di potere e di lotta, Il Saggiatore, 2015), miete vittime e compie atti intimidatori a Milano e nel suo hinterland, spesso, purtroppo, nell’inconsapevolezza generale. Sull’altro fronte, però, cresce la coscienza che quella della legalità è una sfida possibile, supportata da esempi di valore e da un nuovo desiderio di partecipazione civica, come risorsa per aumentare la trasparenza e l’accountability.

 

Martino Liva



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