9 novembre 2009

IMMIGRATI E CITTADINANZA: FRATERNITÉ … LIBERTÉ, EGALITÉ


Riflettendo sul tema Milano – Immigrazione –Cittadinanza, e accogliendo senza pregiudizi le lezioni che concretamente i processi d’integrazione della nostra città ci propongono ogni giorno, si fa strada oscuramente la percezione dell’insufficienza della ricetta abitudinariamente proposta dalla cultura democratica: transculturalità, accoglienza, mediazione.

Si manifesta tra noi un disagio culturale, di categorie concettuali e di valori, che rendono sempre più difficile aderire così, senza distinguo e articolazioni, all’icona della cosiddetta Società Multiculturale.

Certamente, come ho sostenuto in altri passaggi su Arcipelago Milano, il lavoro è il titolo che fonda la richiesta di cittadinanza: è dal concreto contributo che ciascuno di noi, italiano ed extracomunitario, dà alla società che sgorga la principale legittimazione soggettiva ai diritti di cittadinanza.

Ma, approfondendo, il punto pare proprio questo: Quale Cittadinanza? Quale Diritto? Quale Stato? E quindi alla fine Quale Società?A fagiolo capita poi la “provocatoria” lettera di De Benedetti, che con stile icastico offre ottimo materiale a chi non è mentalmente pigro. Certo non tutto è condivisibile, vi sono spunti in cui l’insofferenza tracima in un disprezzo assolutamente fuori luogo, ma proprio il disagio che ne è alle origini va affrontato con occhiali diversi dal solito.

Non intendo qui approfondire la tesi principale relativa al potenziale pericolo terroristico, ma piuttosto alcuni dei suoi antefatti, i quali tutti mi pare riportino all’indicazione di una persistente (?) alterità della comunità araba (ma non solo essa) di fronte alla nostra società cittadina.

Un’alterità che è prima di tutto culturale, e poi religiosa, per infine tradursi in una potenziale non adesione a specifici istituti giuridici, al punto da determinare quasi una sorta di cittadinanza segmentata, una cittadinanza “a la carte”, che cioè ritaglia dal nostro ordinamento e dai nostri usi quanto utile, ma ne esclude quanto non ancora accettabile.

Società Multiculturale. – Ne comprendiamo appieno significato profondo, premesse e implicazioni, andando oltre la retorica dell’abbraccio tra diversi (Fraternité)? Forse si dovrebbe riflettere sullo stesso concetto di Società Multiculturale, che appare un ossimoro irrealizzabile, in quanto contiene in se stesso le radici della propria negazione. Perché vi sia una società, un’aggregazione cioè d’individui, a loro volta aggregantesi in società naturali (famiglie – comunità) e società artificiali (classi-ceti-reti), occorre che esse, aggregazioni e individui, condividano valori e regole, almeno quelli essenziali, quelli che ci fanno cioè Società.

Occorre in altre parole che questa società, quindi anche la nostra Milano, condivida una Cultura, un insieme relativamente omogeneo di riferimenti etici, giuridici, prassi e valori, che fanno appunto, di un’aggregazione casuale della storia, un popolo che condivide pacificamente un territorio.

Ora, si può ben rappresentarsi le cose in modo consolatorio e vagamente eticizzante, ma non è possibile scantonare dall’unica questione che conta: la Cittadinanza, mentre può essere richiesta, deve essere condivisa nei suoi essenziali contenuti da chi la ricerca.

Vale qui fare riferimento alla Società più Multiculturale attualmente conosciuta: gli USA. Qui il melting pot è in atto da secoli. Decennio dopo decennio, si susseguono le ondate migratorie: inglesi, irlandesi, tedeschi, polacchi, italiani, spagnoli, neri (schiavizzati), ispanici di diversa provenienza, e poi asiatici, giapponesi, cinesi, filippini, e poi di nuovo africani, arabi….

Ciascuno di essi era portatore evidentemente di un proprio originale retaggio, di proprie tradizioni, di proprie culture, ma tutti hanno aderito alla Cultura Americana, criticabile o giusta che fosse, all’American Way of Life, all’Ordinamento giuridico che la regola, sulla base del sogno americano che legittima, con il riconoscimento del merito, l’adesione dell’individuo alla nuova collettività di destinazione: intraprendenza, merito, lavoro. Tutti hanno portato i propri Lari e Penati, li hanno risposti in un angolo privato, ed hanno aderito al nuovo sistema di valori e regole, alla nuova cultura. Vi è allora qualcosa di più distante, in questo caso di successo, dalla cosiddetta Società Multiculturale?

Si badi bene, e non si giochi sulle parole, non ci si riferisce qui alla pratica privata di quelle forme residuali, ancorché persistenti, che portano qualsiasi immigrato (italiano in america o rumeno in Italia) a coltivare memorie, relazioni, convinzioni religiose, fino a gusti e tradizioni gastronomiche.

E neppure a quei processi molecolari, quasi impercettibili attraverso i quali, nel tempo, culture diverse si contaminano. Né tantomeno ci si riferisce a concetti apparentemente simili, ma in realtà assai distanti da quello di Società Multiculturale: Società Multirazziale, Società Multietnica, laddove ad esempio la Società Multirazziale non rimanda ad altro che all’affermazione dell’assoluta parità in termini di diritti, cittadinanza e di partecipazione, rigettando senza alcuna distinzione la diversità dei cittadini quanto al colore della pelle. Affermazione che appunto può essere posta nella misura in cui viene culturalmente vissuta come omogenea, e quindi non multiculturale.

S’intende al contrario affermare e ricordare che questo processo d’integrazione sociale e di generazione del concetto stesso di cittadinanza, è stato ed è reso ancora possibile proprio ed esattamente sulla base dell’applicazione del sistema di diritto, e dei diritti, che storicamente ha separato in Europa, e con quali lotte e sangue e dolore, lo Stato dalla Religione, ha dissolto le comunità locali, gli usi e i costumi particolari, non accettando lo Stato alcun altro potere che non fosse quello derivante dalla partecipazione dei cittadini, in quanto tali, ai propri istituti democratici.

Accanto alla Fraternità, stanno allora Liberté ed Egalité, ossia gli architrave culturali, politici e giuridici della nostra società occidentale.

E quindi la Fraternité sia praticata ma accanto, in stretta connessione, non prima e non dopo, con il riconoscimento non ambiguo della Libertà e dell’Eguaglianza quale condizione che qualifica il vivere del singolo cittadino nel sociale, nella famiglia, nel lavoro, senza se e senza ma. Non vi è qui alcuno spazio per una Società Multiculturale che pretenda di ritagliare aree opache, in cui diritto e diritti abbiano poca o nulla applicazione o che pretendesse di porsi su di un piano paritario per concorrere a ridefinire questo nostro Statuto.

Vi è invece lo spazio “necessitato” di un superamento, certamente doloroso, da culture, prassi sociale, costumi, originari e contrastanti con il sistema dei diritti così come lo ha costruito la nostra società occidentale, sistema a cui la sinistra ha dato un contributo essenziale e fondante.

Vi è qui una fase di delicato passaggio dalla comunità originaria che protegge ma isola e conserva istituti confliggenti (multiculturali) verso la comunità allargata della società tutta, un passaggio che chiede da un lato la creazione generosa di un’area di diritti e di risorse, e dall’altra l’emersione rigorosa dalle opacità e dalle riserve culturali e religiose.

Questo a me pare il processo su cui si può costruire una prassi di cittadinanza che sia al tempo stesso gratificante per gli accolti e non foriera di future crisi ingestibili per gli accoglienti.

Valga un esempio per tutti: la condizione della donna, la sua sfera di libertà e di autonomia personale.

Vi è qualche anima bennata democratica e o di sinistra che possa accettare in Milano, in nome della Società Multiculturale, la strutturale sottomissione della donna al rigido sistema patriarcale nella tradizione araba?

Vi è qualche spericolato sperimentatore del relativismo socio culturale che intenda consentire le pratiche dell’infibulazione tra le donne africane oggi residenti in Milano in nome del rispetto delle tradizioni delle popolazioni cui esse appartengono? Ovviamente no, questo ferisce insopportabilmente la nostra sensibilità culturale e mutila senza rimedio l’applicazione del nostro diritto. Ovviamente, quando si passa dalla teoria apparentemente generosa della società multiculturale alla rigorosa analisi delle sue implicazioni, anche i più aperti, generosi e ingenui tra noi, si ritraggono e ve n’è chiaro motivo.

E allora Milano?

Milano, città di mezzo, ha sempre accolto e favorito l’immigrazione, selezionando e promuovendo i talenti, offrendo a tutti la sua etica, un po’ americana alla fine, fatta d’intraprendenza, lavoro, merito. Nell’accogliere, ha sempre affermato i suoi valori distintivi propri, e con questi culture, leggi e usi, proponendoli ai suoi nuovi abitanti come i nuovi valori da cui ripartire nella propria vita.

Certamente, i processi migratori odierni stanno su di una scala che mette a dura prova la sua sperimentata capacità di assimilazione, anche perché avvengono in un tessuto urbano e metropolitano già duramente provato dalle immigrazioni interne degli anni 50 e 60.

Oggi, Milano deve avere il coraggio di avere coraggio, sfuggendo all’abbraccio mortale degli sceriffi della tolleranza zero, superando i limiti dei cantori della Fraternité, per elaborare innovative soluzioni di convivenza che riconoscano i problemi per quello che sono, offrendo a tutti uno spazio di diritti, opportunità e risorse, ma chiedendo a un tempo l’adesione senza riserve alla cultura e al diritto che li sostiene, e imponendo infine l’apertura e la trasparenza alle comunità appena insediate: Fraternità … Liberté, Egalité.

 

Giuseppe Ucciero

 

 

 

 

 

 

 

 



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