21 ottobre 2015

musica – DUE ORCHESTRE


DUE ORCHESTRE

Sono sconcertato da due eventi musicali che hanno ribaltato alcuni miei pregiudizi e mi hanno fatto riflettere sulla forza del potere mediatico. Domenica 11 alla Scala, per il Festival delle Orchestre Internazionali, ho ascoltato l’atteso concerto dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da Sir Antonio Pappano che ha eseguito la Seconda e la Quinta Sinfonia di Beethoven; il giovedì successivo ho assistito all’Auditorium al concerto dell’orchestra Verdi diretta da Eiji Oue che ha eseguito il Concerto numero 3 per violino e orchestra di Mozart – con la violinista Natasha Korsakova – e la Settima Sinfonia di Šostakovič.

musica36FBSi dà il caso che l’orchestra romana sia una delle più antiche (è nata nel1908) e blasonate orchestre sinfoniche italiane e che Pappano sia fra i più acclamati direttori d’orchestra al mondo (tanto che la sua Regina – lui è inglese con genitori italiani – lo ha fatto baronetto), mentre la Verdi è una orchestra giovane (nasce solo nel 1993) e sia Eiji Oue che Natasha Korsakova, benché già affermati come talentuosissimi musicisti, siano assai poco noti al pubblico. In particolare Oue è un giapponese dal nome impronunciabile, nato ad Hiroshima pochi anni dopo la bomba, e la Korsakova è una figlia d’arte greco-russa, che nonostante un pedigree di tutto rispetto è ancora ignota ai più. Non solo, ma mentre le due Sinfonie di Beethoven sono a memoria di tutti e nel repertorio di ogni direttore che si rispetti, sia il terzo Concerto di Mozart che la grandiosa Sinfonia di Šostakovič non si ascoltano frequentemente.

Tutto ciò premesso osservo che il concerto alla Scala, nonostante il larghissimo e scontatissimo successo di pubblico (un pubblico che, ahimè, è ben noto per l’eccesso di benevolenza verso i concerti e per l’esagerata pretesa di perfezione nei confronti della lirica), non aveva nulla di speciale, mentre il concerto all’Auditorium credo sia da annoverare fra gli eventi straordinari cui raramente capita di partecipare.

Cominciamo dal primo. Pappano – che si presenta sul podio sbracato, senza frac né giacca, con una camicia fuori dai pantaloni come se fosse in prova – non sa a memoria le Sinfonie di Beethoven (non è una colpa, solo un indizio), non usa la mano sinistra che per raddoppiare i gesti della destra e per voltare le pagine (tornando persino indietro per la ripetizione dei ritornelli!) e dunque senza raccontare nulla né all’orchestra né al pubblico di ciò che ha in testa. Se poi guardiamo ai risultati la lettura delle due Sinfonie era scolastica e scontata e si capiva assai bene come non fosse stato fatto alcuno sforzo per uscire dalla routine. Non ha detto nulla di più di ciò che già tutti sappiamo, non un brivido, non un’emozione. Può darsi che, abituati a quella del nuovo Auditorium romano in cui l’orchestra è di casa, la zoppicante acustica della Scala abbia messo a disagio professori e direttore. Ma anche a giudicare dalle incertezze degli ottoni, dalla approssimazione degli attacchi, dal timpano sempre sopra le righe, dall’eccesso di fortissimi e di pianissimi a scapito della cura del fraseggio, ho avuto la netta impressione che l’aria che si respira a Roma in questi anni abbia intossicato anche l’Accademia di Santa Cecilia! Spero di sbagliarmi, anche perché a Roma da loro ho sempre sentito cose egregie.

Il concerto all’Auditorium milanese ha ottenuto anch’esso un grande successo, ma a mio giudizio assai più meritato; la reazione del pubblico era fatta più di commozione che di entusiasmo, più di consapevolezza che di eccitazione. Il terzo concerto per violino di Mozart – scritto quando lui diciannovenne viveva ancora a Salisburgo, aveva già fatto i suoi tre viaggi in Italia ed era appena rientrato dall’importante viaggio a Monaco, dunque un concerto “della maturità” – è stato interpretato da Eiji Oue con grande sicurezza e con sincera passione (a dispetto dei gesti teatrali e scomposti), mentre la Korsakova (che al contrario ha gesti e portamento raffinatissimi) ha sfoderato un’eleganza, una radiosità e una freschezza che raramente è dato di ascoltare; le cadenze hanno tenuto il pubblico con il fiato sospeso e la perfetta sintonia fra violinista e orchestra ha assicurato quella particolare compattezza di cui ha bisogno la musica di Mozart. Quando poi la violinista, come bis, ha eseguito la Ciaccona di Bach, si è capita la differenza abissale che passa fra un virtuoso e un interprete; la Ciaccona è uno dei pezzi più “alti” non solo dell’opera di Bach o del repertorio violinistico, ma dell’intero corpo della musica strumentale europea, ed è molto facile che venga trasformata in una “performance” virtuosistica. Nulla di tutto ciò nella morbida e insieme concettuale lettura che ne ha fatto la sorridente Natasha, coinvolgendo gli ascoltatori in una atmosfera intima e severa, affabile e profonda, senza forzature né tecniche né espressive. Forse la migliore interpretazione ch’io ricordi. Indimenticabile.

Infine il clou della serata, l’opera che credo possa definirsi uno dei massimi capolavori del novecento, la Settima Sinfonia opera 60 di Dmitrij Šostakovič detta la “Leningrado“. Si è detto e scritto molto di quest’opera, forse troppo; le si sono attribuiti significati epici e mitici (l’assedio, la guerra, la fame, la paura, l’angoscia e poi la liberazione, la vita ritrovata, il sol dell’avvenire e via di seguito). Come sempre, ovviamente, c’è del vero; d’altronde fu scritta nel 1941 e cominciata durante e dentro l’assedio di San Pietroburgo, vi erano già state le purghe e gli editti staliniani con i quali, come si sa, il compositore ha dovuto purtroppo fare i conti. Ma non si può ridurla a un racconto, a una descrizione, a un manifesto politico o sociale. È una grandiosa opera musicale, costruita da un maestro insuperabile dell’orchestrazione che, in condizioni difficilissime e direi quasi estreme, è riuscito a raggiungere una poesia altissima e travolgente. È musica, solo e soprattutto musica, e nella musica si devono trovare il significato e la ragion d’essere dell’opera. Eiji Oue, e con lui un’orchestra perfetta che l’ha seguito con profonda intensità e consapevolezza, l’ha capito, non è caduto nella trappola delle allusioni (Leningrado ed Hiroshima) e ci ha restituito musica allo stato puro così come sono convinto che Šostakovič la intendesse nonostante le mistificazioni cui dovette soggiacere.

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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