14 ottobre 2015

la posta dei lettori_ 14.10.2015


Scrive Roberto Biscardini a proposito della “Lettera aperta” – Caro direttore ho letto la lettera aperta ai decisori del dopo Expo: non entro nel merito dei contenuti, alcuni dei quali certamente condivisibili, ritenendo sbagliato l’approccio. L’unico interlocutore cui spetti dire per competenza la sua sul dopo Expo, non ex post, ma ex ante, è il Consiglio Comunale, che anche voi come Pisapia, Regione e Governo e tutti gli amanti della velocità e dei commissariamenti pensano bene di bypassare, bypassando con ciò il primo livello di confronto largo  e democratico con la città.

Ricordo che l’accordo di programma Arexpo, se modificato, e tanto più il piano attuativo del dopo Expo, dovranno passare dal Consiglio comunale per l’approvazione che naturalmente potrebbe essere consultato in via preliminare e preventiva dalla Commissione come stiamo facendo. Che il Governo arrivi coi soldi e magari con una legge per pagare i debiti già contratti e con ciò chiuda la bocca a tutti, non mi sembra una bella prospettiva, ancorché fatta velocemente. In tal senso un conto è l’individuazione di un soggetto forte per l’attuazione e gestione, un conto è scavalcare le istituzioni negli indirizzi e nelle scelte strategiche e urbanistiche.

Ti sono note le mie argomentazioni anche sostenute recentemente in un intervento in Consiglio comunale. D’altra parte la corsa a trasferire l’Università Statale da Città studi, così come la corsa che già sembrerebbe fatta di trasferire da Città studi il Besta e l’Istituto dei Tumori, pone urbanisticamente il tema della “desertificazione” del polo medico e scientifico esistente in quell’area. Tema che nessuno sembra voler affrontare contestualmente.

Mi auguro infine che tu abbia da dire qualcosa  sul modello altrettanto discutibile di un referendum online lanciato oggi dal Corriere della Sera che evidentemente è un altro modo per sottrarre alla responsabilità politica vera, qualunque processo decisionale. O per condizionarlo malamente.

Ricordo che al momento l’unica cosa certa è un ordine del giorno votato qualche tempo fa dal Consiglio comunale che orienta la destinazione d’uso delle aree del post Expo a parco e a funzioni pubbliche. Poi tutto è possibile a condizione che le scelte siano confrontabili e condivisi da chi di competenza.

Scrive Mario Viviani a proposito della “Lettera aperta” – Grazie della Lettera aperta che condivido pressoché per intero, anche se mi pare messo in evidenza non a sufficienza il ruolo delle assemblee elettive rispetto a quello che viene riconosciuto a sindaci e al ministro: soprattutto il ruolo del Consiglio Comunale di Milano che dovrebbe, a mio parere, essere subito coinvolto (con i consigli di Rho e di Pero) per valutare le possibili destinazioni/utilizzazioni delle aree di Expo, per discutere e concludere sulla destinazione delle aree di Arexpo [la cui disciplina urbanistica spetta anzitutto, anche se non solo (stante la dimensione degli interessi pubblici coinvolti), ai Comuni, oltre che alla Città Metropolitana e alla Regione]. In questa direzione, il ruolo di Arexpo è (e dev’essere chiaramente riconosciuto come) marginale mentre va escluso che essa possa dare a un advisor poteri o competenze che non le spettano. Le gare tra privati non possono sostituire le competenze delle pubbliche istituzioni, com’è sembrato che qualcuno credesse a riguardo della sorte delle aree della Fiera in via Scarampo. Comunque mi pare decisiva la messa a fuoco – da parte della lettera aperta – dell’esigenza di sottolineare la prevalenza assoluta dell’interesse pubblico con esclusione di ruolo alle pur presenti indicazioni immobiliaristiche e alle pretese di valorizzazione patrimoniale da parte dei soci di Arexpo. Per questo sottoscrivo volentieri anch’io la lettera di ArcipelagoMilano.

Scrive Gabriella Valassina a proposito della “Lettera aperta” – Condivido i contenuti della lettera quindi la sottoscrivo, mi permetto di fare alcune osservazioni: 1) credo che molto importante sia affermare che il tema debba essere discusso non solo con i referenti dell’amministrazione, ma siano coinvolti ricerca, imprese e (ribadisco) cittadini. Come dite il paradosso è che i soggetti operativi di questa ipotesi (polo della ricerca) sono a oggi istituzionalmente assenti. 2 )avevamo avuto notizia di problemi relativi a situazioni d’inquinamento ambientale. Questo problema è risolto? 3) i terreni che saranno lasciati liberi dai dipartimenti / facoltà trasferiti, nel caso fosse attuata questa ipotesi, quale sorte subiranno, sono già presenti ipotesi di progetto (senza che nessuno ne sia a conoscenza)? 4) la realizzazione delle vie d’acqua (presenti nel progetto originario) apparterrà definitivamente al passato?

Scrive Valerio Onida a proposito della “Lettera aperta” – Non ho sufficiente conoscenza della situazione e dei progetti di cui si parla per poter prendere precise posizioni di merito (l’idea della Città della scienza mi sembra positiva). Certo le decisioni devono essere prese da istanze pubbliche in modo trasparente, dopo aver fornito gli elementi di conoscenza e consentito un informato dibattito pubblico (sul modello del débat public francese). Certo è preoccupante che un progetto così importante per l’area metropolitana non parta proprio assicurando le premesse istituzionali per il buon funzionamento della Città metropolitana, cioè l’elezione diretta dei suoi organi. Va contestato il silenzio assordante di Governo e Parlamento sulla legge per l’elezione diretta, chiedendone conto a chi di dovere.

Scrive Roberto Camagni a proposito della “Lettera aperta”- Caro direttore e cari amici di ArcipelagoMilano, apprezzo grandemente la vostra iniziativa della lettera aperta, le sue intenzioni e gran parte del contenuto. Tuttavia non condivido alcuni elementi importanti che a mio avviso la avvicinano troppo alla retorica del momento: sull’estrema urgenza di decidere subito magari con procedure eccezionali, Sul fatto che trasferire docenti ricercatori e studenti da un luogo all’altro della città costituisca un avanzamento tecnologico, sulla necessità di sgravi fiscali e di una zona franca come fossimo la periferia di Napoli e dopo aver strapagato un’area inquinata, sull’assenza di quesiti sull’abbandono di città studi e la possibilità e anzi la necessità di estrarne le solite rendite immobiliari. Continuerò naturalmente di inviare ad ArcipelagoMilano mie riflessioni su questo e su altri temi come ho sempre fatto con estremo piacere in passato.

Scrive Gregorio Praderio a proposito dell’articolo di Sergio Brenna – Vorrei fare notare però a Sergio Brenna che il PGT di Milano non si sta “avviando a scadenza” come dice lui. Innanzitutto, è solo il Documento di Piano (DdP) che scade dopo cinque anni; il Piano delle Regola e il Piano dei Servizi (dove peraltro è previsto circa l’85% della nuova edificazione – controllare per credere: si parla di circa 10 milioni di metri quadri di nuova slp) hanno validità a tempo indeterminato. (ma come mai tanta nuova edificazione nella città consolidata? Certo, perché a differenza di quanto ci si aspetterebbe, sono stati classificati come TUC – tessuto urbano consolidato – oltre ad aree degradate che di consolidato non hanno proprio nulla, anche vaste aree agricole; questo nonostante l’ipotetico “stop al consumo di suolo” da parte di questa amministrazione – più sbandierato che negli atti – il tutto ci si immagina per non fare decadere i relativi diritti edificatori).  Comunque, anche il DdP andrà a scadenza solo un anno dopo l’adeguamento del PTR e del PTCP alla nuova legge sul consumo di suolo; diciamo che grosso modo si va come minimo al 2017. Inutile dire che invece sono d’accordo sulle molte illogicità della LR 12/05  (così come sull’opportunità di rivedere questo PGT – scadenze o meno).

Replica Sergio BrennaRingrazio Praderio per le sue precisazioni, che accolgo volentieri, ma che non mi pare inficino la sostanza delle mie considerazioni: l’urbanistica à la carte della sommatoria di AdP e PII è un’urbanistica strabica che privilegia gli accordi con gli interessi consolidati e senza una visione generale della città che il PGT, pur con tutti i suoi limiti, garantisce meglio.

Scrive Francesco Silva a proposito delle ferrovie – L’intervento di Gadola sulle ferrovie è molto lucido e importante. Avendo come obiettivo una maggiore efficienza dei criteri di gestione del servizio ferroviario, la privatizzazione ha anche trasformato una proprietà pubblica in un patrimonio privato, quello della S.p.A., creandole una cospicua dote. La costituzione di questo patrimonio pubblico era stata frutto dell’esercizio del potere pubblico, ma ora la situazione si è rovesciata e il potere pubblico deve contrattare con la S.p.A. per recuperare l’uso pubblico delle aree ex FF.SS. Non ritengo che sia pensabile un intervento legislativo che affronti il problema, non foss’altro per l’interesse contrario della S.p.A. ., che non vuole vedersi ridotto il patrimonio (maltolto, giustamente dice Gadola ). L’unica via possibile, per quanto debole, è la sensibilizzazione collettiva al problema, ossia l’esercizio della voce dei cittadini. Ottimo quindi questo intervento di Gadola. Il passo successivo è l’uso del megafono. Quale ?

Scrive Giovanna Senesi a proposito delle aree ferroviarie – Ho letto l’articolo che condivido, vorrei ricordare a chi ha i capelli bianchi, che l’allora Vice Sindaco e Assessore ai Trasporti, ing. Korach, in occasione della nascita del Passante Ferroviario di Milano che vedeva coinvolte anche le FNM fece analoga battaglia rivendicando proprietà comunali milanesi per le aree cedute a suo tempo per attività ferroviarie poi trasformatesi con altra destinazione. Naturalmente tale rivendicazione non fu soddisfatta. Mi auguro che a distanza di tempo le questioni sollevate abbiano soluzioni migliori.

 

Scrive Walter Monici a proposito delle aree ferroviarie – Caro direttore grazie della chiarezza che hai fatto sulla proprietà delle aree ferroviarie ma allora mi chiedo quale sia stata l’abilità della De Cesaris che è riuscita a concordare la restituzione della metà di quanto apparteneva alla collettività. Più che un successo mi sembra una svendita, una cessione in cambio di non si sa cosa. Come la concessione alla fondazione Burri e studio NCTM di un’area al centro della più bella veduta panoramica di Milano per costruire un tributo ad un artista controverso e discusso anche quando era in vita. Tributo da cui i beneficiari hanno ricavato enorme seguito pubblicitario e nelle intenzioni una cospicua rivalutazione dei valori di vendita delle opere del defunto che sono nei magazzini della fondazione in attesa di ingenui compratori arabi o americani.

 

 

 



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