14 ottobre 2015

DOPO EXPO: TRAGICO COME LA TORRE DI BABELE?


La “Lettera aperta” che abbiamo pubblicato la settimana scorsa e che in molti stanno ancora sottoscrivendo, spero otterrà risposte alle tante domande. Alcuni motivati rifiuti a sottoscrivere sono pure giunti, chi per ruolo ricoperto nelle pubbliche istituzioni chiamate in causa, chi per dissenso, ma anche commenti all’iniziativa. Ne diamo conto con gli articoli di Giorgio Goggi e Damiano Di Simine e con la lettera di Roberto Biscardini.

01editoriale35FBVorrei a quelle domande aggiungerne una che non mi pare irrilevante: siamo sicuri di capirci parlando del futuro delle aree di Expo (ma non soltanto di questo)? Mi piacerebbe veder scendere in campo, per darci una mano, gli esperti di semantica che dottamente registrassero, se ci riescono, i significati che diamo alla stessa parola, assegnandole una sorta di hashtag distintivo per ogni significato (almeno per i principali). Lasciamo da parte le parole più diffuse e bistrattate come democrazia (uno dei tormentoni preferiti dell’ultimo Berlusconi), libertà, destra, sinistra e così almanaccando, perché sarebbe un lavoro improbo.

Gli esperti di semantica ci farebbero un favore se cominciassero da quelle che stiamo usando nel dibattito sul “dopoexpo”: ricerca, innovazione, progresso, compatibilità, visione, condivisione, partecipazione, campus … . Operazione semantica non solo utile ma indispensabile perché la politica ormai si fa per slogan e scavalcando i comunicati ufficiali con i tweet, spesso comodi nella loro sintetica ambiguità: da chiosare, da interpretare e da smentire secondo il comodo, tanto ognuno usa le parole a modo suo.

Tornando alle nostre beneamate aree e al loro destino, io penso che la fase degli slogan comunque debba finire che si debba arrivare presto alla fase delle idee (appunto comprensibili), alla fase delle decisioni, a quella dei programmi, a quella dei tempi, a quella che le comprende tutte: l’assunzione di responsabilità.

Emerge prepotente dal dibattito sulla stampa e dalle reazioni alla nostra “Lettera aperta” un interrogativo: chi deve decidere? Anche qui dovremmo chiarirci le idee: chi deve proporre? Chi deve decidere? E chi decide nell’interesse di chi deve prendere le decisioni?

È esemplare da questo punto di vista la lettera che pubblichiamo qui accanto e che abbiamo ricevuto dal consigliere comunale nonché presidente della Commissione urbanistica Roberto Biscardini: “L’unico interlocutore cui spetti dire per competenza la sua sul dopo Expo, non ex post ma ex ante, è il Consiglio Comunale …”. Dunque il Consiglio Comunale dovrebbe prendere decisioni che riguardano in parole povere forse uno degli episodi più significativi nel mondo della ricerca? Dovrebbe decidere su una parte dei destini italiani in tema di economia della conoscenza? Ne dubito. Non solo ne dubito ma mi domando: chi avrebbe in Consiglio il coraggio di stendere una “Proposta di delibera di iniziativa consigliare” sul destino di queste aree? Quanto tempo ci vorrebbe per discuterla? Quale sarebbe l’atteggiamento della maggioranza che non sembra così compatta?

Forse se ognuno dei livelli istituzionali chiarisse, il che è più facile e meno divisivo, quali ricadute sarebbero auspicabili per il Paese e i cittadini in relazione alle specifiche competenze territoriali di ognuno, faremmo un passo avanti. Si avrebbe un panorama utile a tutti. Sarebbe comunque meglio non seguire la vecchia strada di aspettare le decisioni altrui e mettersi di traverso per ostacolare quelle che si ritengono dannose o tropo poco utili per i propri amministrati, la classica scelta al ribasso.

Il problema del “decisore” è dunque aperto e, di conseguenza, quello dell’attuatore.

Credo che debba essere ovvio che il caso “aree Expo” è un banco di prova per tutti: classe politica, classe dirigente, i cosiddetti oggi poco amati intellettuali, la classe imprenditoriale, il mondo dell’università e della ricerca, i cittadini e le loro organizzazioni e per finire i media. Una scommessa di civiltà. Mission impossibile?

E Babele che c’azzecca? Tra me e me vedendo la vicenda “dopoexpo” mi vien da pensare alla torre di Babele e alla confusione dei linguaggi, perché è uno dei versetti della Bibbia (1) che si presta a molte interpretazioni ma che parla di certo della difficoltà di fare se non ci si capisce. Cosa vogliamo dire? Un vecchio problema.

 

Luca Beltrami Gadola

 

 

 

(1) «Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: “Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra. » (Gen. 11, 1-9)



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