14 ottobre 2015

MILANO TRASFORMAZIONI E INCLUSIONE SOCIALE: AGENDA AL FUTURO


La Milano di domani tra scenari in trasformazione e inclusione sociale“. Questo il workshop che insieme abbiamo pensato e proposto a Peer Milano, la maratona politica del 5/6 ottobre all’ex Ansaldo, con lo scopo di mettere in rete idee e proposte verso la Milano del 2016, progettato a partire da una domanda centrale per noi e per la sinistra: Come coniugare, a livello locale, sviluppo sociale ed economico con l’inclusione sociale? Quali politiche pubbliche saranno capaci di investire sulle persone, desideri e risorse, al contempo capaci di combattere l’esclusione sociale? E di dare invece pari dignità e accesso alle risorse che la città è in grado di sviluppare?

05bartellini_nannicini_oddi35FBNasce da qui l’idea di mettere al centro del workshop la visione della Milano dei prossimi anni. Chi saranno gli abitanti del futuro? Chi abiterà Milano? E intorno a questa domanda interrogare alcuni dei punti di vista di chi Milano la studia, la abita, la vive, e considerando importante collocare questo confronto nella prospettiva di un protagonismo della sinistra verso le elezioni dell’anno prossimo. Sono stati coinvolti il sociologo Alessandro Rosina: “Gli abitanti del futuro“, la ricercatrice Carlotta Cossutta: “Amare e costruire relazioni“, il giornalista ed ecologista Paolo Hutter: “Le nuove pratiche ecologiche di condivisione per un nuovo benessere sociale“. L’urbanista e presidente di Consiglio di Zona 6 Gabriele Rabaiotti: “Abitare e governare la città, tra spazi pubblici e spazi privati” e Cosimo Palazzo dello staff dell’Assessorato alle politiche sociali e della salute del Comune di Milano.

Quindi non solo punti di vista differenti ma altrettante differenze di generazioni, di appartenenza al tessuto sociale o a varie collocazioni nel governo e nell’amministrazione, e soprattutto diversità di competenze e saperi. Siamo rimasti sorpresi anche noi, come chi ascoltava e chi parlava, del dispiegarsi di un evidente filo rosso tra temi, dati, interrogativi, azioni e orizzonti politici espressi. La domanda di partenza per tutti era centrata sulle trasformazioni della città con al centro gli abitanti, non dunque solo cittadini elettori, a cui rivolgere prima i nostri sguardi e in futuro le politiche.

L’incipit arriva da Alessandro Rosina: “Milano tra 10 anni sarà più povera e con maggiori disuguaglianze, a meno che non riusciamo a gestire dei cambiamenti già in corso, perché se li subiamo e ci difendiamo non ne cogliamo le opportunità”. E dunque alcuni i dati indicativi che ci hanno aiutato a immaginare la Milano di domani. Invecchiamento: la popolazione è maggiormente anziana già adesso, infatti ben il 25% è over 65 anni, e solo il 20% ha meno di 25 anni. Diventa sempre più necessario distinguere tra anziani con risorse e gli over 85 non autosufficienti. E ancora l’aumento dell’immigrazione a Milano, il doppio della media nazionale, il 35% dei nati che sono di madre straniera. In aumento il numero di immigrati che si stabilizza, si è superata la fase emergenziale, bisogna passare a un modello d’integrazione. Infine le trasformazioni familiari: più del 50% è single e il dato è in costante aumento, aumenta la monogenitorialità e il rischio dunque di povertà soprattutto quella infantile.

Attenzione a quei “processi corrosivi” che colpiscono chi subisce eventi negativi (si pensi all’effetto “a catena” di alcune separazioni), attenzione ai giovani NEET – Not in Education, Employment or Training – (forte crescita relativa a Milano), che ancora parlano del difficile percorso di transizione alla vita adulta (il tasso di occupazione giovanile – 25/34anni – in città è 29% nel 2008, del 18% nel 2014!). Rosina ci ha poi raccontato delle risorse di questa città. “La grande opportunità della popolazione studentesca, abitanti e non cittadini, non elettori, non stanziali eppure fascia consistente e rilevante”. Questa l’immagine che appare: una città non statica ma fatta di flussi e veloci cambiamenti. Dal punto di vista sociale, sono in molti a concordare che una delle sfide maggiori sarà proprio rappresentata dai modelli di convivenza che sapremo sviluppare e sostenere nelle città europee mete dei progetti migratori epocali.

Carlotta Cossutta ha portato da subito lo sguardo di chi riflette sui processi sociali a partire dal viverli. Giovani abitanti milanesi che vogliono vedere riconosciuti e legittimate le forme di legame affettivo che è sempre più spesso abitativo e che non sono, né vogliono essere, famiglie. “Condividere le case e la mancanza di reddito con gli amici, il lato oscuro della sharing economy“. Legami e relazioni non visti che non trovano accesso nel rapporto con le istituzioni cittadine. In una fase storica di contrazione dei redditi per i giovani è necessario “immaginare spazi fruibili senza spendere e consumare, dal bar al coworking!” Con queste parole Carlotta Cossutta ci ricorda che “privato” e “pubblico” non sono due termini necessariamente sovrapponibili.

Paolo Hutter sottolinea con grande convinzione che “La nuova politica del benessere si deve basare sulla riduzione degli sprechi e sulle pratiche di condivisione, in particolare quelle ecologiche. Basta auto private, ciclabilità per tutti, le lavatrici siano di condominio, ogni casa il suo orto, scambio e recupero del cibo eccedente, risparmio energetico, “cool-sharing” (condivisione del raffrescamento), riciclo totale dei rifiuti. L’ecologia da radical chic a sociale. Ogni candidato firmi un suo codice ecologico con i progressi previsti nei prossimi mesi e anni”.

Appare abbastanza evidente che anche il modo di concepire lo sviluppo delle attività economiche in un contesto cittadino sia in grado di influenzare la dimensione culturale delle relazioni e la costruzione dei legami sociali.

Molto interessante il punto di vista di Gabriele Rabaiotti, il quale ha premesso “come passaggio necessario per il prossimo mandato sia quello di non sottovalutare l’azione che la macchina amministrativa produce (o non produce) autonomamente, a prescindere dalle forze che governano. Non basta avere buone idee e buoni principi affinché si sviluppino buone azioni e buoni progetti. Per il futuro dobbiamo anche prestare attenzione a quella che si configura come una deriva in atto da tempo: la città si è chiusa, lo spazio privato è diventato spazio “egoisticamente difeso”, lo spazio pubblico diritto il cui utilizzo sembra essere riservato a chi vi risiede.

Sono evidenti le forze che spingono nella direzione di una città fatta di quartieri dormitorio provinciali, dove sicuramente è facile prendere sonno ma dove altrettanto certamente l’energia urbana si riduce fino a spegnersi. E sono proprio i luoghi in cui il pubblico e privato si incontrano a diventare spie e paradigmi di questa deriva e del suo probabile esito. Abbiamo avuto esperienza di immissioni di azione pubblica in quartieri popolari già molto provati (Lorenteggio – Giambellino, Martinelli) dove le persone hanno reagito mostrando capacità di ascolto e accoglienza e un livello di tolleranza non prevedibile e, per contro, reazioni molto dure e difensive in contesti di maggior agio economico, culturale e sociale (Darsena e area Navigli, Via Tortona e Via Solari).

La città ha bisogno di trovare spazi e occasioni per parlare e dare voce a un “pubblico” che non si risolve nella sola popolazione che risiede. La pluralità degli abitanti, la loro diversità e molteplicità, costituisce la sfida per lo spazio di domani che o è pubblico (e perciò stesso inclusivo) o non è spazio urbano. Anche su questo competiamo e competeremo con le altre città d’Europa e del mondo e a questa sfida non possiamo rispondere chiudendoci noi stessi e anestetizzando le strade, le piazze, gli spazi della collettività”.

Cosimo Palazzo introduce il punto di vista del governo delle politiche di welfare. Parlare di welfare (cioè “benessere”) significa parlare innanzitutto della cultura con cui costruiamo l’idea di città. Tutt’altro che una politica residuale ma anzi il cuore della proposta di valore su cui costruire convivenze e appartenenze. Il nostro (ma non solo) welfare da anni e anni affonda le proprie radici in quella che viene definita “libertà di scelta” che presuppone l’idea che al centro del nostro vivere, vi sia il singolo individuo e non la dimensione collettiva delle relazioni umane (vengono in mente le famose parole dell’allora Primo Ministro inglese Margaret Thatcher “La vera società non esiste: esistono gli individui” 1987), quindi singoli individui espressioni di singoli bisogni a cui dar risposta attraverso singole prestazioni sociali, costruite su meccanismi burocratici e amministrativi a cui si aggiunge “una forte frammentazione delle responsabilità (Stato, Regione, Provincia, Comune, Asl), delle funzioni, delle fonti di finanziamento e delle unità di offerta”.

Cosimo Palazzo è chiaro: “Dobbiamo continuare nella strada intrapresa e passare da un welfare individuale a uno comunitario. Anche a Milano, nel tempo, si sono sviluppati servizi che, paradossalmente, tendono a favorire la frammentazione anziché promuovere la ricomposizione sociale, ad escludere più che a includere, a istituzionalizzare (implicitamente) barriere di separazione tra chi accede ai servizi del “pubblico” e chi no. Meccanismi di selezione e logiche di gestione dei servizi definiscono nei fatti, in modo spesso implicito, chi beneficia degli interventi e chi ne viene lasciato fuori: una “città dei servizi” contrapposta “alla città di tutti” e ancora “Garantire servizi gratuiti a chi altrimenti non potrebbe permetterseli, sia chiaro, deve continuare a essere responsabilità del “pubblico” ma oggi, a fronte di situazioni in cui i bisogni sociali delle persone non coincidono necessariamente con un disagio di tipo economico si pone la necessità – ineludibile – di intervenire in molti ambiti tradizionalmente lasciati sullo sfondo. Detto altrimenti, il welfare deve imparare a guardare alla società nel suo complesso, a tutte le “sofferenze urbane” e infine “dobbiamo continuare a considerare le politiche di welfare come strumento per il benessere dei cittadini e come occasione di sviluppo inclusivo dell’intera comunità. Un welfare, quindi, che sia per e “di tutti”.

Qual è oggi la sintesi di questa esperienza che è anche un piccolo tentativo di immaginare i prossimi 10 anni caratterizzati da una sempre maggior sintonia (e dialogo) tra abitanti e governo?

L’incrocio tra letture differenti costruiscono un focus che non è solo la sempre evocata “visione della città” ma la condivisione di un’analisi e una lettura partecipata sia da chi la città la studia sia da chi la governa sia da chi la abita. Questo incrocio comprende e non separa il governo delle politiche cittadine e ne evidenzia la richiesta di superare le tradizionali ripartizioni di assessorati, quasi fotocopia di letture anch’esse tradizionali e non più attuali della città. Non una politica settoriale ma un approccio che proponga interventi rivolti all’intera popolazione di un dato territorio, affinché sia il territorio stesso a essere luogo di produzione del benessere di tutti.

Superarla con un disegno coraggioso, radicato nella realtà e non nelle ideologie (amministrativiste comprese!) che governi il territorio?

A proposito di sguardi sulla città, può il lavoro promosso da Peer Milano può diventare l’inizio di un percorso che metta insieme i tanti e frammentati punti di vista della sinistra? Ce ne sarebbe davvero un gran bisogno!

 

Silvia Bartellini, Adriana Nannicini, Paolo Oddi



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