14 ottobre 2015

QUARTO CAGNINO LA COESIONE CHE VINCE


Per fondare una nazione ci vuole una bandiera. A Quarto Cagnino, nella periferia ovest di Milano, si sono portati avanti con il lavoro e ne hanno creata una lunghissima, realizzata con cinquanta tovaglie cucite insieme, su cui ogni famiglia ha disegnato il proprio simbolo. Lo stendardo ha sfilato per il chilometro e mezzo di via fratelli Zoia in due occasioni – l’ultima a fine settembre, durante la seconda edizione della ”Festa in Borgo” – la festa di quartiere assieme alle cascine, alla banda jazz ”Figli di Pulcinella” e agli inquilini dei caseggiati popolari. Festa e parata sono state finanziate col crowdfunding.

08floris35FBUna nazione, o comunque un borgo indipendente, ha bisogno anche della propria spina dorsale: cioè di un’economia. E allora a Quarto Cagnino si raccoglie il riso (l’area è per tradizione dedita alla risicoltura), lo si stipa in alcuni silos nelle scuole e lo si ridistribuisce durante l’inverno alle famiglie meno abbienti.

Il terzo pilastro di una nazione è la legge, da far rispettare in un luogo in cui non sempre è questa l’abitudine. E allora c’è una donna di nome Mara, che ha stilato un breve e chiaro codice penale sui generis, per gli adolescenti dei caseggiati di via Fleming – strada nota alle cronache, sopratutto nere, della città. Queste leggi orali non coincidono con quelle scritte nei codici utilizzati dalle procure della Repubblica italiana, ma per alcuni dei ragazzi che abitano qui è il miglior modo per non fare dentro-fuori dall’Istituto Beccaria – il carcere minorile di via Calchi Taeggi, che si trova poco distante.

Ovviamente, nessuno pensa di dichiarare davvero l’indipendenza del quartiere, perché, anche se è stata creata una bandiera, nessuno ha ancora pensato a un esercito (che è la quarta e ultima condizione per la nascita di una nazione). Si tratta invece di riflettere sul fatto che la periferia, ormai, si consideri sempre più un luogo a sé, come a una cittadella dentro la città, e provveda da sola ai bisogni degli abitanti, troppo spesso sono abbandonati a loro stessi.

È iniziato tutto nel 2013, quando un collettivo di artisti, architetti e designer, con passate esperienze internazionali nella riqualificazione di aree degradate – dalla Transilvania, negli ex quartieri operai anni ’70 del regime di Ceausescu, fino agli arsenali militari abbandonati di Taranto – ha fondato un’impresa sociale di nome Mare Culturale Urbano. È registrata alla Camera di Commercio e ha lo scopo di fare a Milano quello che è stato tentato con successo in altre città europee: per esempio a Madrid, con il recupero del Matadero, l’ex mattatoio chiuso nel 1996 dove oggi esiste un enorme centro artistico e culturale.

Non è nemmeno un sogno da fricchettoni, o almeno non è questo ciò che pensa l’Università Bocconi, che ha addirittura studiato questo fenomeno di sostenibilità e riconversione urbana, all’interno del proprio master in Management delle Imprese Sociali, Non Profit e Cooperative. … Per continuare a leggere l’articolo su LINKIESTA clicca qui.

 

 

Francesco Floris



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