7 ottobre 2015

INTERESSI URBANI E CRISI DI RAPPRESENTANZA. IL SILENZIO DELLA POLITICA


In tempi recenti risulta sempre più difficile comprendere il rapporto tra la “politica”, largamente intesa, con tutto ciò che riguarda la trasformazione e il governo della città. Eppure questo rapporto dovrebbe essere naturale, esplicito e intimamente connesso. Forse qualcuno ricorderà la storica associazione tra Urbs, Civitas e Polis che ha da sempre strutturato la definizione di città (oggi diremmo territorio), richiamandone gli aspetti della dimensione fisica, della composizione sociale e, appunto, delle forme e capacità di governo.

05monte34FBLo spunto per questa considerazione deriva dall’assordante silenzio della politica che in queste ultime settimane ha assistito senza fare un plissé al susseguirsi di eventi che hanno caratterizzato le cronache milanesi e il cui specifico appartiene proprio alla trasformazione fisica della città e alle questioni di governance. Come dire, la città si muove ma la direzione e il senso di marcia di questo movimento non sembrano appassionare e coinvolgere il livello della rappresentanza politica.

Silenzio apparentemente bizzarro (colpevole o inadeguato) soprattutto nel clima attuale che prepara l’avvicendamento alla guida dell’Amministrazione comunale, poiché questi temi, se adeguatamente letti e interpretati, costituiscono un’eccezionale occasione per lanciare proposte di governo e costruire l’identità di un progetto politico su cui fondare gli scenari futuri. Veniamo ai fatti specifici.

La questione Dopo Expo: è di alcuni giorni fa la notizia che Arexpo ha rescisso il contratto degli advisor, nominati a seguito di un bando pubblico, che avrebbero dovuto verificare le condizioni di fattibilità delle diverse proposte di riuso del sito. La motivazione di questo atto richiama un non precisato “cambiamento emergente di scenario relativo ai rapporti tra soci e governo”. Questa notizia e, in particolare la sua motivazione, avrebbe dovuto far saltare sulla sedia tutti coloro che hanno o si candidano ad avere responsabilità politiche, interessati a capire quali saranno le future destinazioni, quale sarà il processo di gestione e, soprattutto quale sarà la “catena di comando”. Soprattutto perché la motivazione allude a un lavoro in corso di diplomazia istituzionale e accordi amministrativi di cui non risultano evidenti e trasparenti contenuti, attori, risorse. A quanto pare però questi elementi non sono stati sufficienti a stimolare prese di posizione e porre interrogativi.

Il tema Città Metropolitana: la Regione Lombardia ha finalmente licenziato la Legge Regionale in tema di riordino delle competenze degli enti territoriali sui sopravvenuti cambiamenti dettati dalla confusa legge Delrio del 2014. Come ci si poteva aspettare nel peggiore dei casi, anche in funzione di imperdonabili lacune della stessa legge nazionale, l’attribuzione delle competenze alla neonata Città Metropolitana da parte della Regione è stata compiuta al ribasso, sottraendole strumenti e risorse e facendo evaporare sul nascere le prospettive di un Ente capace di interpretare con autorevolezza e adeguati poteri i grandi temi di integrazione propri del governo dell’area vasta. Anche in questo caso il bollettino delle reazioni politiche è “non pervenuto”, ponendo il serio interrogativo se sia stato o meno effettivamente assimilato da parte delle forze politiche il concetto che il prossimo Sindaco milanese sarà un Sindaco Metropolitano.

Scali ferroviari: dopo una lunga gestazione si è arrivati all’approvazione dell’accordo per la riqualificazione delle aree ferroviarie che occupano circa 1.250.000 mq, la maggior parte delle quali collocate in zone pregiate e strategiche del contesto urbano. Nello specifico condivido tutte le perplessità espresse da Francesco Vescovi su queste colonne e mi chiedo se non sia il caso di ripensare le scelte funzionali, ricollocandole nell’ambito di un ragionamento e di una strategia metropolitana di lungo periodo che non può riferirsi all’inerzia di un P.G.T. che, seppur emendato, eredita lo schema dalla Giunta Moratti che di fatto con l’area metropolitana non dialogava e che era nato in una temperie politica, tecnica ed economica completamente diversa dall’attuale. Si tratta comunque di una sommatoria di interventi estremamente complessi da gestire e che costituiranno l’orizzonte “almeno” delle prossime due amministrazioni. Anche questo tema però ha generato poche o nulle reazioni in termini di riflessioni e proposte.

Stadio Milan: altra querelle della settimana è rappresentata dal contenzioso tra Fondazione Fiera e A.C. Milan per il pagamento delle penali a seguito della rinuncia da parte di quest’ultima alla realizzazione dell’intervento.

Sia in relazione a tutta la vicenda del Bando e dei suoi esiti decisamente indigeribili, sia ora con la questione del contenzioso sulle penali, quello che colpisce è l’atteggiamento distratto del livello di rappresentanza politica che percepisce e interpreta la questione come se fosse un “affare tra privati” in una “zona franca”. Eppure, qualsiasi proposta di insediamento (o trasformazione urbana) dovrebbe essere valutata in base alla capacità dialogare con il contesto in cui si colloca, al corretto funzionamento del sistema, alle direttrici di sviluppo che l’Amministrazione intende perseguire. Non ultima, la capacità dei singoli operatori di assumersi la responsabilità di accettarne le regole.

L’insufficiente protagonismo della politica nei confronti di questa successione di eventi è un indicatore dell’incapacità di afferrarne la dimensione e la portata. Ulteriore dimostrazione della crisi nel rappresentare gli interessi della città e di guidare le scelte in funzione degli interessi della comunità urbana.

A mio parere una delle possibili concause deriva dall’assimilazione e dalla pratica di quel modello di governance ereditato dai governi della destra che ha progressivamente sottratto alla sfera pubblica la guida della città. Una filosofia che ha negato il principio secondo il quale le scelte urbanistiche vanno costruite “con” e non “esclusivamente da” risorse e interessi dei privati, nella prospettiva di realizzare scenari il cui orizzonte è fondato sulla ricerca del bene comune. Ovviamente a queste motivazioni che risiedono specifica dimensione urbanistica, se ne aggiungono altre legate all’incremento del tasso di autoreferenzialità e allo straniamento dei meccanismi della produzione e comunicazione politica rispetto all’agire sociale quotidiano (come sottolineato dagli interventi di Luca Beltrami Gadola ed Elenora Poli). C’è un’urgenza ormai inderogabile di tornare a parlare con la comunità urbana, non con i tweet ma nel merito dei suoi interessi. Mi auguro che il clima e il protagonismo delle prossime primarie siano un’occasione in grado di interpretarla e rimetterla al centro della proposta e della riflessione politica.

Michele M. Monte



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