7 ottobre 2015

VOLKSWAGEN, OVVERO: INQUINAMENTO DA TRAFFICO, TUTTO DA RIFARE


Lo scorso primo ottobre una quarantina di città dell’Emilia Romagna avrebbero dovuto adottare per effetto di una prescrizione contenuta nel Piano Ambientale Integrato Regionale (il PAIR) un’ordinanza di divieto di circolazione esteso all’intero centro abitato dei veicoli a benzina pre euro 2 e a gasolio pre euro 4; diciamo avrebbero dovuto perché l’applicazione del dispositivo ha trovato una qualche resistenza e il tutto slitterà in pratica di un anno.

10drufuca34FBNel 2018 il divieto dovrà peraltro essere esteso ai veicoli diesel pre euro 5, con un impatto teoricamente tutt’altro che trascurabile dato che verrà a interessare circa un quarto del parco circolante; diciamo “teoricamente” in quanto la determinazione nell’applicare il provvedimento non sembra in realtà essere poi così arcigna. Non è mistero per nessuno infatti che il tasso di rispetto di analoghi dispositivi adottati in passato nella stessa Regione Emilia Romagna, come del resto in molte altre, sia stato molto scarso, come lascia supporre il numero decisamente irrisorio di contravvenzioni a tale titolo elevate.

Lo scandalo della Volkswagen (e delle altre case che presumibilmente seguiranno) aggiunge a questo poco confortante quadro anche la beffa delle emissioni falsamente ridotte dei veicoli autorizzati a circolare, fatto che riduce ulteriormente se non annulla la credibilità di questo tipo di azione e, più in generale, di quanto si sta facendo sul fronte della riduzione degli inquinanti e dei climalteranti prodotti dal traffico autoveicolare.

La verità che sta dietro alla bugia di VW è molto semplice: non è possibile porre obiettivi di progressiva riduzione di consumi ed emissioni senza abbandonare la tradizionale concezione dell’automobile; ci si riferisce alle dimensioni dei veicoli e al loro peso, alle prestazioni richieste, alle potenze installate e al tipo di motorizzazione che necessariamente ne deriva.

Quel tipo di autovettura, e in particolare il tipo di autovettura sul quale non a caso la produzione tedesca è fortemente specializzata, è arrivato al capolinea e nessuna ulteriore evoluzione significativa nella direzione indicata dalle normative anti inquinamento può essere ancora compiuto. Lo scandalo ha, dunque, solo aggiunto un elemento di chiarezza a un quadro già prima poco confortante, per chi lo volesse leggere.

Che i valori limite di emissione di CO2 e i consumi dichiarati dalle case costruttrici fossero quanto meno poco rappresentativi delle reali condizioni di utilizzo delle autovetture su strada era, infatti, cosa nota; ma mentre per questi due parametri gli unici controlli sono quelli effettuati in sede di omologazione (da cui la scarsa rappresentatività dei dati dichiarati), per gli inquinanti atmosferici (PM e NOX) le norme (sia americane sia europee) prevedono periodici controlli sull’intero parco circolante (da cui la necessità di dotare le autovetture di software in grado di “controllare” le emissioni in sede di controllo).

Insomma, è l’idea di “auto pulita” come evoluzione tecnologicamente possibile della vecchia “auto sporca” a denunciare tutti i suoi limiti e a mettere in discussione una politica ambientale ancora troppo soggetta alle pressioni dell’industria automobilistica.

Siamo dunque di fronte ad un bivio: o si continua a fissare limiti alle emissioni sempre più stringenti “sulla carta” e però di fatto irraggiungibili nelle reali condizioni di guida, ma ci si mantiene fedeli alle attuali tecnologie, o si affronta il problema di avviare finalmente e di accelerare il processo necessario di radicale trasformazione del “prodotto automobile”.

Quale debba essere tale prodotto è ormai un dato consolidato: si tratta di passare ad auto a motorizzazione elettrica equipaggiate con gli automatismi e ausili alla guida più avanzati disponibili, con l’obiettivo di arrivare finalmente alla guida automatica. Il perché sia necessario coniugare motorizzazione elettrica e controllo dei comportamenti è semplice: senza la prospettiva di poter scatenare i propri cavalli in strada infatti cade la domanda di prestazioni sproporzionate, e sono tali prestazioni che mettono oggi in condizioni di relativa inferiorità l’elettrico rispetto alle motorizzazioni tradizionali, ne deformano lo sviluppo tecnologico (a cosa serve produrre veicoli capaci di correre a 180 km/h?) e ne limitano la diffusione di mercato.

Le politiche da attuarsi sul fronte della riduzione degli inquinanti da traffico possono dunque lasciare in pace i possessori – peraltro in genere non particolarmente agiati – di autovetture obsolete, che abbiamo oggi imparato essere non molto più inquinanti di quelle fresche di produzione, per concentrarsi sulle azioni che possono facilitare la “grande trasformazione”.

Quali azioni? Occorre ovviamente partire dalle reti dei punti di ricarica, sia pubblici sia privati, a partire dagli ambiti urbani nei quali l’elettrico ha ormai raggiunto una piena maturità funzionale.

Occorre poi riservare incentivi ed esenzioni ai soli ai veicoli elettrici, abolendoli del tutto per quelli a combustione.

Occorre di converso inserire meccanismi di tassazione / tariffazione differenziati e progressivamente crescenti per i motori più inquinanti (cioè quelli di grossa cilindrata) e per le auto di maggiori dimensioni. Occorre infine estendere il più possibile i meccanismi di controllo automatico dei comportamenti, a cominciare dal rispetto dei limiti di velocità. C’è molto da fare dunque, a tutti i livelli amministrativi: internazionali, nazionali, regionali e locali; a patto di abbandonare l’ipocrisia di chi vorrà ancora credere nelle ‘sentite scuse’ di chi ha dovuto barare non per una furberia di basso profilo, ma perché non poteva – e non potrà – fare altrimenti.

Alfredo Drufuca Mario Zambrini



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